Dal Governo e dall’Europa fatti o promesse?
di Simona Maria Frigerio
Il nuovo Decreto Liquidità così come gli accordi raggiunti in Europa sono stati oggetto di un tripudio di retorica belligerante (che va tanto di moda) sia da parte dei politici sia dai mass media. Per qualche giorno ci si è sentiti investiti da una pioggia di miliardi che sarebbe ricaduta sulle teste degli italiani, in stile manna biblica. Non fidandoci dei proclami in tempi di propaganda, siamo andati a leggere i documenti originali per capire effettivamente di quali cifre si stia parlando e a quali soggetti le stesse saranno versate.
Il Decreto Liquidità dell’8 aprile
Ovviamente, in questo caso, non stiamo parlando di monete tintinnanti ma solamente di garanzie sui prestiti. 200 miliardi per le imprese e altrettanti per sostenere l’export. L’Associazione Bancaria Italiana specifica che le imprese (le PMI avranno 30 dei 200 miliardi) che potranno chiedere prestiti agli istituti di credito, italiani o stranieri operanti su territorio nazionale, saranno quelle che: al 31 dicembre 2019 non erano classificate nella categoria delle imprese in difficoltà; e che al 29 febbraio 2020 non avevano esposizioni deteriorate rispetto al settore bancario. In parole povere, eventuali aziende già in crisi e che, col lockdown, potrebbero essere al collasso non potranno accedere ai prestiti garantiti dallo Stato. Lo Stato garantisce, quindi, solamente le aziende in buona salute che potranno ripagare interessi e capitali senza bisogno dell’intervento degli eventuali 200 miliardi messi ipoteticamente nel piatto.
Ma non basta. Il finanziamento deve essere erogato entro il 31 dicembre di quest’anno e restituito al massimo in 6 anni. Tempi, quindi, abbastanza contenuti per far fronte all’impegno quando un’impresa potrebbe preferire un prestito molto più diluito nel tempo. Inoltre, l’ammontare del finanziamento non potrà essere superiore al maggiore tra i seguenti importi: il 25% del fatturato del 2019, o il doppio dei costi del personale dell’impresa relativi sempre al 2019. Traducendo: lo Stato rischia ma molto relativamente dato che è difficile pensare che un’azienda, per di più sana, possa fallire a fronte di un aiuto che copre solamente un quarto del suo fatturato annuale. Ciliegina sulla torta, come fa notare Il Sole 24 Ore, le modalità delle garanzie definite nel decreto devono passare il vaglio di Bruxelles e i prestiti saranno comunque erogati dopo le analisi sul merito del credito, operate dalle banche stesse. Quindi, occorre mettersi il cuore in pace, i tempi presumibilmente non saranno brevi.
E passiamo ai 200 miliardi per l’export. Anche qui, ovviamente, non si parla di reale liquidità bensì di garanzie – quelle garanzie che anche a noi, magari, sarà capitato di dare in banca per facilitare la concessione di un mutuo a tassi agevolati a un figlio o a un genitore.
Nello specifico, introducendo un sistema di coassicurazione “in base al quale gli impegni derivanti dall’attività assicurativa di Sace sono assunti dallo Stato per il 90% e dalla stessa società per il restante 10%”. Sempre in parole povere: lo Stato diventa un assicuratore in caso di mancato pagamento, revoca del contratto, ma anche distruzione o danneggiamento di beni. Vista la buona salute del comparto assicurativo, diremmo che anche in questo caso si può parlare di rischio ben calcolato.Chiudiamo con una nota sull’obolo per i lavoratori in nero – soprattutto dopo l’indignazione suscitata dall’articolo tedesco che paventava un trasferimento dei fondi europei nelle casse delle mafie nostrane. Sappiamo bene che molti lavoratori sono costretti a percepire parte del salario o l’intero importo dovuto in nero da mafie o anche da imprenditori che sguazzano nell’evasione fiscale imperante nel nostro Paese. Favorire, perciò, tale pratica con un aiuto economico è come legittimare legalmente la stessa e le mafie, oltre che l’evasione fiscale, che la determinano. Al contrario, nessuno vieterebbe allo Stato di fornire un sostegno economico anche a questa categoria di lavoratori laddove gli stessi denunciassero per chi e da quanto tempo lavorano.
Dall’Europa pioggia di miliardi?
Il Mes per la Sanità
Passiamo adesso al sostegno al settore indubbiamente più sotto pressione – non solamente a causa dell’emergenza da coronavirus ma soprattutto per colpa dei continui tagli al budget e al personale operati negli ultimi dieci anni da Governi di ogni colore – ossia la Sanità pubblica.
La prima misura di portata europea è un fondo da 240 miliardi, a disposizione di tutti gli Stati membri, che vi potranno accedere per un massimo del 2% del Pil registrato nel 2019, e solamente per sostenere le spese sanitarie connesse all’attuale emergenza epidemica. Per l’Italia sarebbero previsti circa 35 miliardi – tenendo conto che l’Italia contribuisce al MES con circa 18 miliardi di Euro, ne recupererebbe quasi il doppio. In parole povere, l’assicurazione avrebbe funzionato o il gruzzolo impegnato avrebbe fruttato bene.
La BEI
Ecco un’altra sigla molto cool di questi tempi – che nulla ha a che fare con la Fiera milanese di Sant’Ambrogio. Scusate la battuta. Ma a volte occorre alleggerire e ridimensionare le situazioni per sopravvivere. Soprattutto quando tutto ciò che ci circonda è teso a impanicare e confondere le idee.
La Banca Europea per gli Investimenti non elargirà direttamente prestiti o liquidità, teniamo subito a precisarlo. E non metterà sul tavolo i 200 miliardi sbandierati. Il meccanismo, in effetti, è più complesso. La BEI ha infatti raggiunto una capitalizzazione di 25 miliardi, che le servirà da base per fornire alle banche garanzie per concedere prestiti a tasso agevolato alle piccole e medie imprese – fino a un massimo di 200 miliardi. La tripla A della BEI dovrebbe permettere condizioni agevolate ai debitori (ossia tassi molto convenienti), mentre i bilanci nazionali saranno i garanti delle eventuali richieste di restituzione dei capitali alla BEI.
La Sure
Anche a livello linguistico, districarsi nel marasma politico-economico diventa sempre più difficile. Mentre ci stiamo accorgendo che l’intera crisi è scaricata sulle spalle delle banche – ma, del resto, il coronavirus è arrivato in business class e non ci strapperemo le vesti per questo, sebbene con la Tassa sulle Speculazioni Finanziarie (https://www.theblackcoffee.eu/il-virus-e-la-cura-passano-da-wall-street/) potremmo coprire con fondi reali e non garanzie le necessità attuali e future – proseguiamo con il Fondo per la Cassa Integrazione Europea, pari a 100 miliardi.
Specifichiamo che detto fondo è costituito da un vero e proprio prestito da restituire secondo modalità certe, che sosterrà misure come la Cassa integrazione italiana o altre, a seconda degli Stati che lo richiederanno e delle politiche messe in atto per evitare i licenziamenti. Soldi sul piatto, quindi, ma non a fondo perduto e che saranno garantiti dai bilanci nazionali (quelli che, con il lockdown, rischiano il tracollo).
Il Fondo di Rilancio targato Francia
Per arrivare ai 1.040 miliardi sventolati dalla bandiera della retorica europea bisogna aggiungere i 500 miliardi del Fondo finanziato con i cosiddetti Recovery Bond. Proposti dalla Francia, sostenuti dall’Italia, nella fase attuale sono una richiesta che dovrà essere discussa dal Consiglio Europeo e che Germania e Olanda non sembrano voler accettare perché, come ha affermato la Cancelliera Merkel: “Non credo che dovremmo avere un debito comune a causa della situazione della nostra unione politica ed è per questo che rifiutiamo questa opzione”.
Nonostante ciò, ci saranno varie carte che saranno giocate sul tavolo delle trattative e, se da un lato, il fallimento di una risposta economica comunitaria potrebbe comportare un ulteriore allontanamento dei cittadini dall’idea stessa di Europa (soprattutto dopo la Brexit), anche il rischio di una recessione a catena nell’intera Eurozona – dato che, in questo caso, non si parla del fallimento di un singolo Stato, poco popoloso come la Grecia – potrebbe essere un bell’asso nella manica di Francia e Italia. Dall’altra, Stati con un rapporto debito/Pil sano, come la Germania, sanno bene che un fallimento controllato di un Paese come l’Italia darebbe loro larghi margini speculativi (da far impallidire l’acquisizione della gestione degli aeroporti turistici greci: https://www.theblackcoffee.eu/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-mes/).
La buona notizia arriva dalla BCE
Tra tante promesse con poca sostanza, è la Banca Centrale Europea ad aprire il portafoglio. Condensando al massimo, possiamo dire che la BCE, invece dei 240 miliardi l’anno per acquisire titoli dei diversi Stati europei, ha deciso – grazie all’azione della sua Presidente Christine Lagarde – di lanciare il Pandemic Emergency Purchase Programme offrendosi di acquistare, fino a fine anno, non solamente titoli aggiuntivi degli Stati membri ma altresì della BEI, del Mes e di banche o imprese europee.
L’ammontare totale previsto è di oltre 1100 miliardi, che saranno distribuiti senza rispettare le quote di capitale che ciascuno Stato ha nella BCE, posticipando gli stress test sulle banche e allentando le regole di vigilanza, ossia non obbligando le banche stesse ad aumentare il loro capitale per pareggiare l’aumento di crediti deteriorati.
Se ovviamente questo mette a rischio l’intero sistema finanziario europeo (e, quindi, Germania e Olanda dovranno stare doppiamente attente a portare avanti eventuali giochi speculativi), con possibili ricadute sull’intera Eurozona; d’altro canto, potrebbe fungere da calmiere assicurando che i titoli del debito dei vari Stati non soffrano di un innalzamento eccessivo dei tassi d’interesse al momento dell’emissione, ma altresì eviterebbe la scalata speculativa di gruppi finanziari o di Paesi ostili. Oltre a creare una situazione di condivisione del rischio che potrebbe disincentivare le mosse come l’haircut (in quanto, tagliando il debito dell’Italia, si andrebbe anche a tagliare il credito della BCE).
Stiamo alla finestra, finché c’è concesso, e vediamo cosa accadrà.
18 aprile 2020
In copertina: Il Parlamento Europeo a Bruxelles. Immagine di Florian Pircher da Pixabay.