Da PPP a Kevin Spacey: la caccia alle streghe è finita?
di Simona Maria Frigerio
Molte in questi ultimi anni hanno confuso la difesa del corpo e dell’integrità delle donne (da stupri, violenze domestiche, molestie e femminicidio) con il do ut des per far carriera rinnegato a partita finita. Molti hanno confuso scelte sessuali e anche il fare sesso con minorenni con stupri o pedofilia. Il #MeToo ha dimenticato due principi fondamentali del garantismo: il primo, che una persona è innocente fino a prova contraria (mentre la gogna mediatica invertiva la regola e uomini e donne diventavano colpevoli prima ancora di essere giudicati in un tribunale); il secondo, che la prova spetta all’accusa e che non basta una semplice testimonianza, tanto più se è solo quella della presunta parte lesa (e va aggiunto che, dopo tanti anni, se potrebbe essere difficile per chi accusa provare il subìto, per chi si difende – specialmente se innocente – può essere impossibile dimostrare la propria estraneità ai fatti).
Grazie a questi due principi inderogabili per qualsivoglia ordinamento giudiziario che dicasi democratico, l’attore Kevin Spacey è stato dichiarato non colpevole da una Corte federale di Manhattan dall’essersi (una trentina d’anni fa) accasciato vestito (e ubriaco) sul corpo di un quattordicenne anch’egli vestito – l’accusa precisa era sexual misconduct (condotta sessuale inappropriata/molestie). Viene da pensare che se non fossimo subissati da oltre vent’anni di Law & Order Special Victims Unit una tale accusa, vecchia per di più sei lustri, non sarebbe nemmeno stata presa in considerazione.
È sempre reato fare sesso con un minore consenziente?
Aldilà dell’insulsaggine dell’accusa contro Spacey (se un ubriaco ti si accascia addosso, gli dai una spinta e te ne vai), vediamo cosa prevede il nostro ordinamento. Secondo le leggi italiane un o una quattordicenne è libero/a di avere rapporti sessuali con chiunque (minorenne o maggiorenne, del proprio o di altro sesso), dato che questa è considerata l’età valida per dare il proprio consenso. Un o una tredicenne, poi, può avere rapporti sessuali ma solo con persone che non abbiano più di 17 anni di età (vige la regola dei quattro anni massimi di differenza). Solo al di sotto dei 13 anni compiuti si ravvisa il reato di atti sessuali con minorenne, punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Ovviamente tutto il discorso implica il consenso ma, dopo anni, chi può provare che non ci fu (o viceversa)? Nel caso Spacey, poi, non ci fu nemmeno rapporto sessuale, anzi i corpi dello stesso e del quattordicenne erano ben protetti da strati di abiti, il che rende l’intera vicenda più ridicola che tragica se la vita e la carriera di uno tra i migliori attori statunitensi degli ultimi trent’anni non fossero state distrutte.
La verità è sempre labile mentre la morale è suscettibile ai cambiamenti di costume, ogni legge o regola è relativa (a un preciso periodo storico), i diritti sono precari e il puritanesimo non è mai morto – negli States come in Italia.
Pensiamo a ciò che accadde a Pier Paolo Pasolini, il quale il 26 ottobre del 1949 – ben prima della conclusione dei vari gradi di giudizio processuali – fu espulso dalla Federazione del PCI di Pordenone per ‘indegnità morale’ (come pubblicato sull’Unità). Ma Pasolini non si accasciò ubriaco su un giovane vestito, bensì – il 29 agosto 1949 – mentre partecipava a una sagra a Ramuscello, intrattenne un rapporto omoerotico con uno o più minori, regalando loro 10 Lire e dolci. Per le attuali leggi in materia, avendo offerto dolci e soldi (e configurandosi la prostituzione minorile), Pasolini rischierebbe “la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 1.500 a euro 6.000”. Al contrario, il sesso consensuale tra un adulto (lui 27enne) e un minore (aventi due ragazzi 15 e altri due 16 anni) non sarebbe, come abbiamo già visto, considerato reato (per l’intero iter processuale l’assoluzione finale, leggasi (1). Scrivevamo di relatività, non a caso.
Perché il #MeToo non ci ha convinto, ma essere eterne vittime è deleterio
Come scritto in precedenza (2 e 3) il #MeToo non ha mai indagato le eventuali colpe della cosiddetta vittima. Chi fa carriera usando il proprio corpo non è meglio dell’atleta che usa sostanze dopanti, in quanto falsifica le carte in gioco a detrimento di chi, per una medaglia o un avanzamento di carriera o una parte in un film, concorre lealmente e, sebbene migliore, viene scartato (o scartata). Questi uomini e donne, poi, che hanno denunciato dopo decine d’anni e a mezzo stampa, invece che immediatamente e alle forze dell’ordine, hanno semplicemente dimostrato come il nostro sistema di diritto sia estremamente fragile, e come lo stesso possa essere tuttora incrinato da una campagna stampa ben orchestrata.
Ma i pericoli sono anche altri. In primis, quello di banalizzare reati gravi come la violenza e lo stupro – contro le donne ma anche contro gli uomini (pensiamo, ad esempio, a quanto si ventila continuamente nel medesimo Law & Order SVU, ossia che in carcere si possa essere violentati e, questo, nei confronti di un pedofilo, per quegli stessi integerrimi agenti, sarebbe ‘giusto’).
In secondo luogo, se le donne continuano ad auto-definirsi sempre e solo come vittime, sarà lecito alla lunga considerarle anche come soggetti da tutelare a prescindere, come minori non in grado di gestire la propria esistenza e auto-gestire il proprio corpo. In questi due anni e mezzo, con l’obbligo vaccinale e il Green Pass (l’abbiamo scritto più volte) si è rimesso in discussione il diritto all’autodeterminazione. Anche programmi che raccontano il femminicidio hanno puntato – per colpire gli spettatori – sull’uccisione del ‘bambino’ che era ‘in grembo’ alla donna. Ma se la donna ha in sé un ‘bambino’ e non un ‘embrione’, se si chiede che l’uomo paghi per due e non un omicidio, si facilita l’iter per nuove leggi che non saranno certamente a favore della libertà di scelta femminile.
Questa deriva non poteva che portare al primo atto a firma Maurizio Gasparri, ossia il DDL 165/22 il cui titolo è: Modifica dell’articolo 1 del Codice Civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito. Se l’embrione umano dovesse essere tutelato dal momento della fecondazione sarebbe l’affossamento della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Smetterla di fare le vittime e riprendersi in mano la propria esistenza passa anche dalla consapevolezza che siamo adulte, senzienti e in grado di decidere per noi stesse – e non siamo sempre né le migliori, né vittime, né tanto meno siamo nate madri.
(1) https://www.inthenet.eu/2022/03/05/morte-di-pasolini/
(2 e 3) https://www.inthenet.eu/2021/02/12/marilyn-manson-ultima-vittima-della-caccia-alle-streghe/ e https://www.inthenet.eu/2020/05/20/il-pensiero-della-differenza/
venerdì, 11 novembre 2022
In copertina: Foto di Jessica45 da Pixabay.