Le manifestazioni italiane che dimenticano il Donbass
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Proprio in questi giorni (dal 21 al 23 ottobre) sono indette diverse iniziative per la pace sul nostro territorio, promosse da Europe for Peace – gruppo eterogeneo di realtà pacifiste italiane – e con l’adesione di movimenti e organizzazioni.
Comprendere esattamente quale sia la piattaforma di questo arcobaleno di sigle è però difficile. Sicuramente il punto di partenza è la condanna “dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia” che ha riportato “la guerra nel cuore dell’Europa ed ha già fatto decine di migliaia di vittime e si avvia a diventare un conflitto di lunga durata”, portando conseguenze nefaste “anche per l’accesso al cibo e all’energia di centinaia di milioni di persone, per il clima del pianeta, per l’economia europea e globale” (come leggiamo su retepacedisarmo.org).
Il giornalista Andrea Bellavite, sulla manifestazione ad Aviano – che si terrà domani, 22 ottobre alle ore 16.30, sempre nell’ambito di queste iniziative diffuse – scrive: “Si manifesterà per dare sostegno a chi è contro la guerra, in Russia, in Ucraina e in tutto il mondo. Si chiederà a gran voce che Putin fermi l’inaccettabile aggressione dell’Ucraina, che Zelensky accetti immediatamente di trattare una pace che riconosca i diritti dei russofoni che abitano nel Donetsk e nella Crimea, che gli Stati Uniti non interferiscano aggravando una situazione tremendamente delicata, che l’Unione europea si adoperi in tutti i modi per portare i contendenti alla trattativa e al dialogo, che non si inviino più armi all’Ucraina, le quali – come ampiamente previsto – hanno trasformato un conflitto risolvibile in un incubo acuito dalla minaccia nucleare”.
In breve, il diritto all’autodeterminazione del Donbass e della Crimea (che è rivendicato da entrambi fin dal 2014) scompare. La Crimea, russa dal 1783, deve essere restituita a quell’Ucraina che probabilmente è dietro all’attentato al ponte Kerch. Un Paese, il nostro alleato, civile e democratico, dove – come scrive La Repubblica: “gli ucraini sono entusiasti delle immagini che circolano da questa mattina sul web. Ruslan Stefanchuk, il portavoce del Parlamento di Kiev: «La Crimea è Ucraina, tutte le strade artificiali e i ponti che rappresentano un cordone ombelicale (con la Russia, n.d.r.) non resisteranno»”. E più oltre: “Myhailo Podolyak, consigliere dell’Ufficio della presidenza: «La Crimea, il ponte, l’inizio. Tutto ciò che è illegale deve essere distrutto, tutto ciò che è stato rubato deve tornare all’Ucraina»” (1).
Si distrugge un’infrastruttura utilizzata anche dalla popolazione civile (che sarebbe sotto il ‘giogo russo’), sapendo che gli occidentali hanno già dimenticato i fatti di Odessa, il referendum svoltosi proprio in Crimea nel 2014, il precedente del Kosovo (che può separarsi unilateralmente dalla Serbia), il diritto all’autodeterminazione dei popoli che prevarrebbe (secondo l’Onu) sui diritti territoriali dello Stato centrale – quel “tutto ciò che è stato rubato deve tornare all’Ucraina” dimostra come Kiev voglia esercitare un potere territoriale dispotico e centralista, avido e aggressivo che nulla ha a che spartire con il rispetto delle popolazioni residenti.
La memoria, però, almeno dal febbraio 2020 è diventata sempre più labile nei cervelli degli italiani (giornalisti e politici in primis). E allora sfogliamo qualche pagina online per capire come il problema dei cittadini del Donbass non sia solo la lingua russa e quando è realmente iniziata la guerra. Su La Repubblica leggiamo: “Ucraina, colpi di mortaio su una scuola di Donetsk: 10 morti, illesi i bambini”. Non è il 2022, è il 1° ottobre 2014. Nel giorno della riapertura delle scuole a essere colpiti sono gli abitanti di Donetsk, a colpire l’esercito di Kiev (2). Altro articolo, di BalcaniCaucaso.org: “Le bombe sono tornate a fischiare sulle teste degli abitanti di Donetsk. Anzi, non hanno mai smesso. La tragedia del 22 gennaio, quando un filobus cittadino è stato colpito da colpi di mortaio e 13 persone sono morte, è solo l’ultima in ordine di tempo. Ma la gente di Donetsk non ha mai smesso di vivere nel terrore” (3). È il 2 febbraio 2015 – non il 2022.
Potremmo continuare. La verità non è mai da una sola parte ma quando un popolo decide di autodeterminarsi e, per farlo, vive in un perenne stato di belligeranza contro un potere centrale che non lo riconosce e che lo perseguita, qualsiasi movimento per la pace e qualsiasi manifestazione pacifista dovrebbero partire dal rivendicare il diritto di quel popolo. Si sorvola sul fatto che in questi otto anni l’Occidente ha armato l’Ucraina per la riconquista del Donbass (ucraini nazionalisti contro ucraini separatisti) e nulla si è fatto per rifare, eventualmente, il referendum del 2014 e far accettare il risultato – qualunque fosse – a Kiev. Si parla di far tornare i profughi a casa, ma mai un accenno a quelli scappati in Russia per sfuggire agli attacchi di Kiev – solo tra il 2014 e il 2017, secondo La Repubblica, circa 2 milioni e mezzo: “In tre anni il conflitto nell’Est Ucraina ha falcidiato e travolto migliaia di vite. L’Onu parla di oltre 10 mila morti, di cui 3 mila civili. La maggior parte dei sopravvissuti è stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni” (4). E nessuno rammenta quale minaccia costituirebbe per la Russia l’entrata dell’Ucraina nella Nato nonostante sia stata una delle ragioni dell’Operazione Speciale russa (e usiamo tale termine come si sono usati termini simili per mistificare oltre trent’anni di guerre occidentali).
Eppure da qualche parte, forse meno seguiti dalla stampa mainstream, vi sono pacifisti che vanno oltre e chiedono da anni la chiusura delle basi militari statunitensi e la fuoriuscita dell’Italia dalla Nato – perché, come riporta geopop.it: “Tra esercito, marina ed aviazione, in Italia ci sono più di 120 basi americane, ma l’ubicazione di alcune di queste è segreta” oltre a “15.000 soldati statunitensi e, nel Mediterraneo, la VI flotta”. Il Paese che ‘ripudia la guerra’ ospita altresì basi Nato indipendenti o integrate con quelle statunitensi e sarebbe forse da aggettivare come ‘Stato occupato’.
La confusione sotto il cielo non è sempre segno di situazione eccellente
Il Nobel per la Pace è ormai un premio che potremmo definire screditato – basti pensare a quello conferito ‘sulla fiducia’ all’ex Presidente Obama che non si è certo tirato indietro dal proseguire o intraprendere azioni di guerra (dalla Siria alla Libia, dall’Afghanistan al Pakistan (5). Quest’anno però si è andati oltre, con l’assegnazione del Nobel alla Ong Center for Civil Liberties (Ucraina) che, secondo i colleghi di PeaceLink.it (6): sostiene “l’adesione dell’Ucraina alla NATO, esprimendo riprovazione verso coloro che cercano un compromesso con la Russia e chiedendo all’Occidente di impegnarsi in una guerra contro la Russia da parte ucraina imponendo la no-fly zone e la consegna di armamenti”; oltre al “fatto che la guerra è necessaria per la sopravvivenza e che non sono possibili negoziati” e che “le istituzioni internazionali sono inutili e pertanto gli attivisti per i diritti umani devono chiedere armi per le forze armate ucraine”.
Ma la confusione va oltre con il Partito democratico. Il 6 ottobre “il Parlamento Ue ha invitato gli Stati membri dell’Unione europea a «rafforzare massicciamente la loro assistenza militare» all’Ucraina, per permetterle di «riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale»” e “i 14 eurodeputati del Pd presenti in aula hanno votato tutti a favore” (7). Il che conferma l’impegno diretto dell’Europa nella guerra in Donbass e l’affossamento di qualsiasi richiesta di indipendenza di quest’ultimo, in spregio non solamente ai principi dell’Onu ma altresì in netta contrapposizione rispetto a quanto sancito per il Kosovo.
Il 5 marzo, quando il PD era ancora al Governo, il partito democratico non aderì alla manifestazione per la pace e, anzi, il Segretario Enrico Letta affermò che rifornire di armi l’Ucraina significa “aiutare la resistenza” di un Paese assediato. Al che viene da chiedersi come mai non ne abbiamo inviate, in questi anni, al Donbass assediato da Kiev.
Adesso che è il Governo del centro-destra a doversi far carico dell’invio di armi in spregio all’articolo 11 della nostra Costituzione, del 2% del Pil dedicato agli armamenti, delle sanzioni, della crisi economica ed energetica, eccetera, il segretario Letta partecipa – giovedì 13 ottobre – alla mobilitazione lanciata da un gruppo di sigle pro Kiev (il che non sembra proprio una scelta super partes), affermando: “Noi partecipiamo a tutte le iniziative che vogliono ribadire la necessità della pace”. Sit-in no war – ma con l’elmetto in testa.
Nel coacervo di sigle pacifiste o presunte tali, si sta poi imponendo la voce di Stop guerra in Ucraina, che ha convocato una manifestazione a Roma, venerdì 7 ottobre. Interessante leggere la piattaforma: “L’invasione dell’Ucraina, voluta dal regime autoritario e reazionario di Vladimir Putin è un crimine senza alcuna giustificazione, di cui l’autocrate del Cremlino porta tutta la responsabilità. La resistenza del popolo ucraino ha messo in crisi i piani dell’invasore, che ora minaccia apertamente l’utilizzo di armi atomiche, con la concreta possibilità di innescare un conflitto nucleare nel cuore dell’Europa. L’annessione da parte della Russia dei territori ucraini occupati, malamente mascherata con i referendum farsa organizzati negli scorsi giorni, e la coscrizione forzata da decine di migliaia di giovani russi è un altro aspetto di quella escalation”. In questa frase si nota che il Donbass e il referendum del 2014 sono scomparsi, che non vi è rispetto per il Presidente Putin (e senza il rispetto per tutte le parti come si può agire da mediatori?) e che si dimentica che la coscrizione esiste anche in Ucraina – e non solamente in Russia.
Il manifesto pubblica un’altra chicca sempre di questo Comitato: “Centinaia di migliaia di Russi stanno lasciando il Paese per sottrarsi alla mobilitazione militare”. Ci permettiamo di dubitarne: dove sarebbero tutti questi russi in fuga come le famose ‘galline’? Chi li sta accogliendo?
Micromega aggiunge persino altri input, grazie a un’intervista a Germano Monti, del Comitato promotore della manifestazione che afferma: “Dall’inizio dell’invasione russa ci sono state manifestazioni del pacifismo contro la Nato, contro l’Ue, contro la guerra in generale senza che venissero mai nominati i veri soggetti della guerra: chi l’ha cominciata, dove si svolge, chi sono le vittime” – traduciamo: l’ha cominciata Kiev rifiutando di riconoscere il referendum del 2014 in Donbass e poi bombardando, uccidendo civili e costringendo alla fuga in Russia milioni di profughi provenienti da quelle regioni. Immaginiamo che la nostra non sia l’interpretazione esatta quando proseguiamo nella lettura: “La causa principale che ha trascinato la sinistra italiana fuori dalla realtà è che tuttora nella stragrande maggioranza si tratta di una sinistra stalinista, che non è mai mentalmente uscita dalla Guerra Fredda e da un pensiero su monorotaia”. E qui si sfiora la fantascienza o il ridicolo: il PD (l’unica cosiddetta sinistra ormai presente in Parlamento di cui scrivevamo sopra), che ha appoggiato dall’inizio l’invio di armi all’Ucraina e si defila tuttora dalle manifestazioni pacifiste (fatto salvo per qualche parlamentare contro-corrente), starebbe sostenendo la Russia in quanto ex URSS? No comment.
Il ruolo dei media al tempo della peste
Come mai la stampa occidentale e italiani in primis non pone dubbi e, soprattutto, avalla il colpo di spugna sull’esistenza del Donbass e sulla minaccia per la Russia che sarebbe l’entrata dell’Ucraina nella Nato?
Dall’esplosione dell’epidemia di Covid-19 abbiamo visto un omologarsi dei mezzi di informazione a un pensiero unico che ha toccato vertici di asservimento mai visti prima. La frase dell’ex Premier Mario Draghi: «Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore» è diventata un mantra, un assioma – ovvero un principio evidente in sé e perciò che non ha bisogno di essere dimostrato. Così come:«Il green pass non è un arbitrio, è una condizione per tenere aperte le attività economiche. Una misura che dà serenità». Ci occuperemo in altra sede di come – dopo l’audizione di Pfizer da parte della Commissione del Parlamento Europeo – tutto il castello di carte (inficiato da oltre un anno di dati ufficiali dell’Istituto Superiore della Sanità che smentivano quella stessa affermazione) sia crollato. Quello che qui occorre valutare è come si sia potuto spostare il metro di giudizio degli italiani, smentendo continuamente se stessi e contando sulla corta memoria, la disattenzione, l’ignoranza e la paura di un popolo. E come l’inoculo forzato dei vaccini non sia stato visto come una grave minaccia all’autodeterminazione del singolo – dalle sinistre – mentre la sospensione del lavoro senza stipendio non sia stata rifiutata – dai colleghi di chi voleva esercitare quel diritto e dal sindacato che i lavoratori, dovrebbe difenderli tutti. Al contrario, sindacati, media e Governo sono riusciti nel divide et impera – bollando i dubbiosi, di epiteti tra i peggiori (no-vax, complottisti, terrapiattisti, eccetera).
La stessa manovra si sta ripetendo oggi. Nella politica come nei mass media l’opera di cancellazione della verità è stata pressoché totale: gli ultimi otto anni e le menzogne statunitensi sul non allargamento della Nato in Europa sono state messe sotto naftalina perché, altrimenti, ci chiederemmo come mai dobbiamo tenere i termosifoni spenti per un Paese nazista. E se non bastasse, i social (in prima linea a diffondere quella truffa legalizzata che è stata l’immunità da vaccino) cooperano a cancellare ogni prova di nefandezze commesse dai cosiddetti alleati. Non a caso non sono più visibili le immagini che riguardavano le esecuzioni sommarie di civili a Kupyansk, prima rivendicate da Maksim Zhorin, ex comandante della Azov (9), e poi che si è cercato di attribuire ai russi.
Si sono cancellati la corruzione dilagante in Ucraina; la guerra ingaggiata da Kiev contro il popolo del Donbass e che ha causato morti civili e milioni di profughi per ben otto anni; la messa al bando del 1° Maggio (festa dei lavoratori) e l’istituzione del 30 giugno quale Giorno del ristabilimento dello Stato ucraino, in onore di Stepan Bandera (che durante la Seconda guerra mondiale ha portato avanti la pulizia etnica in Galizia e Volinia uccidendo almeno 60mila polacchi e, alleatosi coi nazisti, ha contribuito allo sterminio degli ebrei in quelle regioni); la messa al bando di undici partiti dell’opposizione; il dilagare degli scandali bancari e lo strapotere degli oligarchi; il colpo di Stato di piazza Maidan e il coinvolgimento degli statunitensi (da Biden Sr e Jr a John Kerry fino ad apparati Cia (10); l’appello per ridare a Bandera il titolo di ‘eroe’, mentre il sindaco di Kiev fa apporre una targa in ricordo di Dmitry Denzov (teorico dell’antisemitismo durante la Seconda guerra mondiale). E così via. Dimenticare, dimenticare per sempre – come in Profondo Rosso, come per la gestione pandemica.
Forse tutto questo si può sintetizzare con l’arguto commento dell’Ambasciata Russa in Sudafrica riguardo a un tweet del New York Times che affermava come la Russia, con gli attacchi missilistici che hanno ucciso 19 persone in Ucraina (in risposta all’attentato, probabilmente per mano ucraina, al ponte Kerch), non siano stati così letali come avrebbero potuto e questo rinnoverebbe la “domanda sulla qualità delle armi russe”. L’ironica risposta dell’Ambasciata è stata: “Il NYT dubita della qualità delle armi russe perché non è stata uccisa abbastanza gente. Logica davvero sadica. Ci chiediamo se il NYT applichi i medesimi criteri per valutare l’armamento statunitense. Nel caso, solamente l’invasione Us in Iraq ha provocato circa un milione di morti tra i civili. È questa la ‘qualità’ di cui parla il NYT?” (Fonte Ministero degli Esteri russo). E non pensate che la cifra del milione di vittime sia un’invenzione della propaganda putiniana perché emerge da uno studio condotto dall’Istituto britannico Opinion Research Business (ORB) e dall’Independent Institute for Administration and Civil Society Studies (IIACSS) iracheno, e interessa il periodo 2003/2007 (11), ossia i primi quattro anni di guerra e occupazione dell’Iraq da parte dell’esercito statunitense (con UK, Australia e Polonia, e in seguito anche l’appoggio fattivo dell’Italia) e che terminerà solamente nel 2011.
Per non dimenticare.
(1) https://www.repubblica.it/esteri/2022/10/08/news/crimea_ponte_kerch_distrutto_attacco_russi_ucraini-369076723/
(3) https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Sotto-le-bombe-di-Donetsk-158549
(6) https://www.peacelink.it/pace/a/49253.html
(7) https://www.pagellapolitica.it/articoli/pd-contro-armi-ucraina-parlamento-europeo
(8) https://www.micromega.net/in-piazza-contro-la-guerra-di-putin/
(9) https://tass.com/world/1520843
(10) https://ilmanifesto.it/kiev-2014-chi-sparo-davvero-a-maidan
(11) https://www.lastampa.it/esteri/2008/01/31/news/in-iraq-un-milione-di-vittime-civili-1.37113553/
venerdì, 21 ottobre 2022
In copertina: Foto di Ri Butov da Pixabay.
Nel pezzo: Foto di Joe e di Gerd Altmann entrambe da Pixabay.