La transizione ecologica e l’inflazione strangolano la classe media
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
AAA Cercasi.
Docente obbligata a trovarsi una sistemazione a Milano per i mesi in cui tiene i corsi in Università. Gli affitti temporanei sono tuguri che obbligano a contratti più lunghi e a sei mesi di anticipo. Un esborso come minimo di 6.000 Euro cash.
Addetta comunicazione, quindi con un contratto a tempo determinato, obbligata a cercare una sistemazione a Torino – come sopra.
Alternative temporanee? Basta sfogliare AirBnB per scoprire che un appartamento anche modesto o al massimo di edilizia civile, magari anche periferico o addirittura nell’hinterland milanese viaggia sui 100 Euro al giorno (3.000 al mese persino a Sesto San Giovanni o in quella Monza tuttora senza metropolitana).
Per far fronte a una tale spesa, su quanto può contare un lavoratore? Secondo We-Wealth.com, “L’italiano medio – dipendente single senza figli – percepisce 21.246 Euro, al netto di tasse e contributi. Si tratta di 1.533 euro al mese per 14 mensilità”. Al che si comprende che per quello stesso single è praticamente impossibile affittare anche un tugurio in una grande città, ove effettivamente dovrebbe esserci la maggiore offerta di lavoro.
L’alternativa può essere affittare a molti chilometri dai centri urbani e poi spostarsi in auto. Ma anche in questo caso, oltre ai costi di autostrada e carburante, scopriamo che – in un momento di effettiva crisi economica e inflazione galoppante – il sindaco di Milano ha deciso che “dal 1° ottobre di quest’anno, se si viaggia con un Euro 2 benzina o un Euro 4 e 5 diesel (anche in presenza di FAP installato sul veicolo) si debbono versare 4 Euro per entrare in Area B”. E così si grava ulteriormente sulle economie di chi è meno abbiente e, magari, non può cambiare quel diesel che, in ogni caso, potrebbe avere solo 7 anni (visto che l’Euro 6 è entrato in circolazione nel 2015). Ma non solo, la città di Milano è ormai un enorme parcheggio a pagamento: il suolo pubblico è stato privatizzato sotto lo sguardo indifferente di chi vi paga le tasse. Tra soste blu e gialle è ormai impensabile lasciare l’auto in sosta anche per poche ore, e non si è minimamente preso in considerazione chi lavori di notte o su turni e/o abiti fuori Milano (e tacciamo sul fatto che, per una donna sola, potrebbe essere difficile usare la metropolitana o l’autobus dopo certi orari).
Si potrebbe parcheggiare in zona A e prendere la metropolitana o altri mezzi. Ma in questo caso ci si deve comunque fare carico, se si viene dalla provincia di Monza e Brianza, di 240 Euro annuali di parcheggio a Cologno Nord e 440 di abbonamento ai mezzi pubblici (dato che la fermata di Cologno è già considerata extraurbana).
Se, al contrario, si arriva da zona sud (che abbiamo notato ha affitti anche più elevati) e si lascia l’auto a San Donato, il parcheggio – ovviamente nei parcheggi ATM (che sono i meno cari, ma molti ormai all’interno della Fascia B) – costa, dalle 5.30 alle 21.00, 350 Euro annuali con posto riservato fino alle 10.00 e 440 Euro con posto sempre riservato (indispensabile, ad esempio, per chi lavori il pomeriggio) e fino a 750 Euro H24, per chi magari ha turni anche notturni; oltre ad autostrada e carburante.
E veniamo all’affitto. Quanto costa un monolocale in qualche paesino della Brianza? A Correzzana, scelto tra i tanti più o meno similari in un sito dedicato, si pagano 450 Euro mensili per 35 mq. Inserendo i dati di un benzina sul sito Michelin, da Correzzana a Milano, il costo A/R tra autostrada/tangenziale e carburante si aggira sui 14 euro.
A questo punto un single che, invece di 1.000 euro mensili per un monolocale in zona anche periferica milanese, si sposti nella provincia di Monza e Brianza, dovrebbe calcolare 450 euro di affitto, circa 300 euro al mese di carburante e autostrada/tangenziale (su 22 giorni lavorativi) e, lasciando la vettura a Cologno Monzese, altri 65 Euro circa tra parcheggio e mezzi pubblici (sempre che abbia una continuità lavorativa certa che gli permetta di fare un abbonamento annuale). Totale: 815 Euro – a cui andrebbe aggiunto il maggior costo derivante dal fatto che chi vive in un paesino dovrà utilizzare molto di più l’auto per uscire la sera (sempre che possa permetterselo), fare la spesa o, nel caso di Correzzana, recarsi a Casatenovo se ha bisogno di un presidio ospedaliero.
In breve, in uno come nell’altro caso, tenendo conto anche dei rincari di luce e gas, spese condominiali, acqua, qualche visita medica mutuabile e/o farmaco, ci si domanda se il famoso single che finalmente è riuscito a trovare lavoro guadagnerà abbastanza per mangiare!
Ma le cose possono andare anche peggio ‘grazie’ alla transizione energetica
Come riportano i colleghi di ByoBlu: “Luigi Federico Signorini, direttore generale di Banca d’Italia, che è intervenuto all’assemblea annuale dell’Associazione nazionale fra le Imprese Assicuratrici, parlando dell’attuale crisi energetica ed economica attraversata dall’Italia” ha affermato: “Sono d’accordo con le misure di molti governi per mitigare l’impatto immediato dei rialzi eccezionali dei prezzi energetici, ma va ricordato come tali prezzi devono crescere per raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine nella transizione climatica, obiettivi che l’attuale transizione rende ancora più vitali”. Sempre i colleghi di ByoBlu sintetizzano perfettamente: “Il costo della transizione scaricato sugli ultimi” (1).
Aldilà della retorica green, che non tiene conto che se anche l’Europa da domani usasse solo le rinnovabili, il resto del mondo continuerebbe a utilizzare anche petrolio, carbone e gas e non si risolverebbe la questione né del surriscaldamento globale né del cambiamento climatico; è criminale pensare che in un Paese democratico debbano essere i meno abbienti (ma ormai anche la classe media) a sostenere il maggior costo di una transizione energetica che, come abbiamo già detto, avrà un impatto modesto sulle problematiche connesse con l’ecosostenibilità. E infine è ora di denunciare il fatto che le misure reali che sta adottando l’Unione Europea non solo dimostrano la disomogeneità persistente tra i Paesi (alcuni destinano 200 miliardi a famiglie e imprese, come la Germania, mentre l’Italia scarica sui cittadini inflazione e restrizioni da tempo di guerra), ma anche come le premesse e le promesse siano fallaci dato che il nucleare è entrato tra le energie green (e non si potrà dire che è scelta temporanea visto che per costruire una centrale ci vogliono mediamente vent’anni) e stiamo ricorrendo al carbone (tra i primi a farlo, gli italiani, riaprendo o massimizzando la produttività delle sei centrali presenti sul nostro territorio), oltre che all’inquinante e costosissimo gas di scisto statunitense. E tacciamo sul fatto che le guerre sono sempre inquinanti e foraggiare quella in Donbass, prolungandola grazie alle nostre armi, non è scelta né etica né green.
Inflazione, debito pubblico, Pil e PNRR: tutti i nodi verranno al pettine
Chiudiamo con una considerazione sulle ‘magnifiche sorti e progressive’ del post-pandemico. Le previsioni di crescita per quest’anno, fatte l’autunno scorso, secondo il sito ufficiale della Ue erano pari a un 4,0% nel 2022 e a un 2,8% nel 2023. L’inflazione, al contrario, nella zona Euro, dopo il picco del 4,8% nel primo trimestre del 2022 sarebbe dovuta rimanere al di sopra del 3% fino al terzo trimestre dell’anno corrente per poi scendere al 2,1% nell’ultimo trimestre e attestarsi nel 2023 al di sotto del 2%.
La realtà, a settembre 2022, è completamente diversa. La Commissione europea adesso pronostica una crescita del Pil del 2,4% per quest’anno, cui dovrebbe seguire un misero 1,9% nel 2023. L’Italia – fanalino di coda – crescerebbe solo dello 0,9% (mentre, secondo Confindustria, rimarremo al palo con uno 0% secco). Secondo la BCE l’inflazione toccherà, al contrario, un picco dell’8,1% nel 2022, scenderà al 5,5% nel 2023 e al 2,3% nel 2024 (ma teniamo conto che continuano a rivedere tali previsioni ogni tre mesi).
Nel frattempo, si registra un nuovo record per il debito pubblico italiano che, nella rilevazione relativa al mese di luglio 2022, ha superato i 2.770 miliardi di Euro e nei primi tre mesi del 2022 ha toccato quota 152,6% del Pil. Nel periodo pre-pandemico, ossia a fine 2019, il debito pubblico italiano era di 2.400 miliardi, pari al 134,8% del Pil (e andavamo già male, dato che la UE ci inviava una lettera in cui ci chiedeva di rispettare i dettami del Fiscal Compact (2).
Se non bastasse, dal 2027 non solamente dovremo restituire capitale e interessi sui 122 miliardi di prestiti del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, ma occorre tenere in considerazione – come scrive il collega Giuseppe Liturri (3) – che: “nessuno oggi è ragionevolmente in grado di dire quanti contributi dovrà versare l’Italia a fronte dei 69 miliardi di sussidi, per determinare così il saldo netto. Se, per ipotesi, fosse chiamata a contribuire alla copertura dei 312 miliardi di sussidi in proporzione al PIL, dovrebbe versare circa 41 miliardi (a dati attuali) con un saldo positivo di 28 miliardi”. In pratica, solamente agli ipotetici 28 miliardi si ridurrebbe l’aiuto europeo alla nostra economia in crisi già prima della pandemia e senza contare che ogni tranche dei 122 miliardi di prestiti finisce direttamente sul nostro debito pubblico, rendendolo sempre più inaccettabile per quella stessa UE e rendendoci un Paese sempre meno affidabile per gli investitori italiani e internazionali (che latitavano già prima del 2020).
(1) L’articolo completo su: https://www.byoblu.com/2022/10/11/i-prezzi-devono-crescere-per-la-transizione-climatica-la-dichiarazione-inquietante-di-bankitalia/
(2) A proposito si veda: https://www.ilpost.it/2019/05/29/italia-lettera-commissione-europea-debito/
(3) L’articolo completo su: https://www.startmag.it/economia/pnrr-ecco-come-e-perche-leuropa-non-regala-soldi-allitalia/
venerdì, 21 ottobre 2022
In copertina: Foto di Harry Strauss da Pixabay.
Nel pezzo: Strasburgo, il Parlamento Europeo (terrazza). Foto di Erich Westendarp da Pixabay.