Il serial che usa il meccanismo del true crime
di Simona Maria Frigerio
In questi anni i true crime statunitensi (ma anche programmi televisivi nostrani, quali Il terzo indizio) si sono spostati sempre più verso lo stile narrativo, cercando di scopiazzare le serie del genere per restituire più il lato fiction che non quello reale del crimine con antefatti ricostruiti artificialmente. Nel contempo, alcune serie hanno provato a fare l’inverso, inserendo presunti canali televisivi con operatori che riprendono un’indagine per qualche loro programma di prima serata o, addirittura, utilizzando le riprese video di un membro della squadra quale mezzo di prova per il caso in tribunale – un metafilmico apprezzabile soprattutto in quanto sporca e destabilizza l’immagine più che come elemento narrativo qualificante.
Qui, però, si va oltre.
In The Thing about Pam, la vicenda, come ogni true-crime (pur essendo una fiction), è innanzi tutto scandita dalla voice over – ossia un narratore di stampo letterario o da conduttore televisivo, onniveggente, che sa tutta la storia dall’inizio e, con arguzia invece che con pedante sussiego, indica la via allo spettatore per seguire le ‘briciole di Pollicino e tornare sano e salvo a casa’. Le sfumature di senso, quindi, moltiplicano le possibilità di interpretazione di una stessa scena. Per esempio, la vicina amorevole sarà davvero tale o sta fingendo per qualche motivo che il narratore adombra? La verità si fa sempre strada o possono esistere ostacoli insormontabili affinché si affermi? Come, ad esempio, il fatto che i pettegolezzi sono più succulenti e, quindi, facili da far girare; o che le piccole comunità amichevoli e amorevoli di cui si glorificano glia States nascondono intrallazzi e interessi che quella stessa verità possono cancellarla con un colpo di spugna – senza tema di perdere il loro smalto di comunità modello. Le statistiche hanno sempre ragione? Le centinaia di episodi di Law &d Order ormai ci hanno convinto che è sempre il marito ad ammazzare la moglie, ma se l’assioma fosse falsato dal suo essere assurto a bibbia in qualsiasi omicidio che coinvolga una donna?
Il confine labile tra realtà e simil-realtà è continuamente messo in crisi da quel proporre versioni che si contraddicono ma che, lentamente e inesorabilmente, innescano meccanismi psicologici che spostano l’interpretazione dei fatti in noi, spettatori, ma soprattutto nei personaggi principali e secondari, a loro volta lampante espressione di come qualsiasi comunità – familiare o sociale – tenda a preservarsi appiattendo le differenze, rifiutando l’estraneo, omologando il pensiero in un’unica verità che appare accettabile solo perché conserva lo status quo (e conferma le statistiche). Nessuno, soprattutto in una piccola comunità con limitati strumenti educativi e critici quali sono, spesso, le cittadine di provincia (italiane come statunitensi), può sottrarsi all’unica visione imposta dal potere costituito: la giudice, la procuratrice, gli investigatori e la testimone dell’accusa sono tutti tesi a inculcare la loro verità e non a cercare la verità – ognuno per i suoi fini.
Ma la denuncia va oltre e, con un’insospettabile sottigliezza, rivela come il sistema giudiziario statunitense non tenda alla ricerca del colpevole ma si concentri, per fare giustizia (il che equivale alla vendetta biblica ‘dell’occhio per occhio, dente per dente’), su un colpevole sul quale costruisce l’accusa e persino le prove. Emerge altresì il ruolo capitale del giudice che, accettando o escludendo prove e linee di difesa, può letteralmente falsificare le carte in tavola. Cosa vede e sente la giuria? Tutto ciò in barba a quella scientifica che, per decenni, ci è sembrata dettare legge sui nostri teleschermi come la risposta tutta Stelle e Strisce al crimine dilagante. E solamente l’infallibilità della giustizia (che, poi, nella pratica – come dimostra, ad esempio, il caso del Cermis – è tutt’altro che giusta) sembra dare motivo a uno straniero di avere ancora voglia di visitare un Paese che, se produce così tante serie crime e programmi di true-crime, forse non è più sicuro del Messico dei rapimenti e del narco-traffico (solo per fare un esempio a caso).
L’apparenza inganna, mai come in questa serie. I piani della finzione e della realtà, dell’interpretazione e reinterpretazione della verità, e i toni che dal surreale scivolano nel grottesco fanno venire alla mente film culto come Da morire di Gus Van Sant, del lontano ʻ95, o il più recente e patinato Gone Girl del 2014 per la regia di David Fincher. Ma forse qui si va oltre in quanto non si è solamente di fronte a una serie che utilizza il meccanismo del true-crime ma a un vero crimine, ossia l’omicidio di Betsy Faria del 2011, avvenuto nella cittadina di Troy – in Missouri. Crimine per il quale era stato giudicato colpevole, in primo grado, il marito Russ: condannato all’ergastolo più trent’anni senza possibilità di libertà sulla parola. E se lo avessero giustiziato? Il Missouri è tuttora uno tra gli Stati in cui tale pena si applica.
Serie da seguire, ottimamente interpretata da Renée Zellweger che, per una volta, ha potuto usufruire di protesi invece di dover ingrassare oltre una decina di chili per calarsi nei panni dell’amorevole vicina di casa che tutti vorremmo avere.
venerdì, 21 ottobre 2022
In copertina: Immagine tratta da Wikipedia. Foto by NBC – https://www.nbc.com/the-thing-about-pam, Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=69982634