Tra editti bulgari e dietrofront: le migliori dichiarazioni dei nostri politici sul Covid-19
di Simona Maria Frigerio
L’autoironia fa bene. All’umore, ma anche a ridimensionare le problematiche e noi stessi. Quando l’umorismo, però, è involontario e proviene da chi dovrebbe governare saggiamente, “non ci resta che piangere”. Ecco una veloce carrellata delle sottigliezze elaborate dalla politica nostrana – anche prima di essere coadiuvata dalle 15 (e forse più) task force.
Il Ministro Speranza, già il 27 gennaio affermava: “L’Italia ha immediatamente attivato significative misure di prevenzione. Tra queste, misurazione della temperatura corporea, identificazione e isolamento dei malati, procedure per il rintraccio e la quarantena dei contatti stretti che, unitamente a un efficiente sistema di sorveglianza epidemiologico e microbiologico, possano consentire il rapido contenimento di eventuali casi”. Ci sfugge come mai il 12 febbraio, a Codogno, il famoso paziente 0 fu rimandato a casa dai medici del Pronto Soccorso e solamente alla terza visita, nuovamente in ospedale, saltò in mente a qualcuno che forse occorreva fare un tampone. E anche chi, come e dove misurasse la temperatura dei viaggiatori senza thermoscanner (utilizzavano il termometro a mercurio della nonna?).
Sempre il Ministro della Salute, in pari data, affermava che stavano: “prevedendo misure di prevenzione diffuse tramite i più moderni sistemi telematici”. Non sapevamo che la rete funzionasse anche come misura di profilassi…
Chicca dello stesso periodo: “Siamo prontissimi” ad affrontare il virus: “L’Italia è il Paese che ha adottato misure cautelative all’avanguardia, più incisive degli altri Paesi” (il Premier Conte a Otto e Mezzo a fine gennaio). E difatti possiamo affermare, oggi 11 maggio, di essere al quinto posto al mondo per maggior numero di casi (ma gli Stati Uniti, vista la popolazione, è fuori scala), e sempre al quinto posto per morti ogni milione di abitanti (ma Belgio, Andorra e la Repubblica di San Marino sono anch’essi fuori scala).
Il 31 gennaio il Premier Conte chiudeva il traffico aereo da e per la Cina, con l’affermazione lapidaria: “A quanto ci risulta siamo il primo Paese dell’Unione europea che adotta una misura cautelativa di questo genere…” (primi e unici). “Ci conforta nell’adozione di questa misura precauzionale che il Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha da poco completato una conferenza stampa, nella quale ha preannunciato l’emergenza globale per il coronavirus”. Tradotto: ci consola il fatto che l’Oms annunci l’emergenza globale, altrimenti come avremmo potuto giustificare la chiusura dei voli? Peccato che l’Oms affermasse – come da dichiarazione della Commissaria UE alla Salute, Stella Kyriakides: “non servono le restrizioni ai viaggi”, mentre Walter Ricciardi (il 23 febbraio) rincarava: “Abbiamo chiuso i voli, una decisione che non ha base scientifica, e questo non ci ha permesso di tracciare gli arrivi, perché a quel punto si è potuto fare scalo e arrivare da altre località”. Come capirebbero anche i bambini: in un mondo globalizzato, se non puoi volare direttamente da Beijing a Milano, voli a Parigi e da lì a Milano.
Le ultime parole famose: “In questi momenti si capisce quanto conta avere uno dei migliori servizi sanitari al mondo… Abbiamo una rete di strutture per le malattie infettive di altissimo livello” (Ministro Speranza, 1° febbraio). No comment (ma ricordiamo che il 10% dei contagiati sono operatori, che hanno troppo spesso lavorato senza alcuna protezione).
Il Premier Conte, durante la conferenza stampa del 23 febbraio, a ridosso del DPCM del 25 (che avrebbe creato le zone rosse in 11 provincie) affermava: “Disporremo dei presidi e dei controlli. Abbiamo già dato indicazione alle forze di polizia, alle forze dell’ordine perché provvedano. Se necessario, ci saranno anche delle forze armate. Ma direi che confideremo molto sulla collaborazione dei cittadini. Piuttosto che a presidi di forze dell’ordine, io sono sicuro e fiducioso che nascerà una forma d’intensa collaborazione con la comunità locale”. Ma di fronte alle successive misure “draconiane” nell’intero Paese, invece della fiducia ci ritrovammo gli inseguimenti con droni ed elicotteri di runner su spiagge desolate; o le continue ronde di autopattuglie di polizia, vigili urbani, carabinieri e guardia di finanza, impegnate a controllare le temibili file di fronte ai supermercati o se il comune cittadino, magari con cane al guinzaglio o bambino al seguito (“un solo genitore”, tuonava il politico di turno a ogni piè sospinto), varcava i famosi 200 metri – oltre i quali, chissà perché, ci saremmo sicuramente contagiati. E tutto questo dispiegamento di forze e mezzi nonostante il Siulp, da almeno dieci anni, lamenti la mancanza persino della benzina per le operazioni contro mafie e criminalità, e nei prossimi mesi le forze dell’ordine dovranno occuparsi di riportare in carcere personaggi quali Francesco Bonura – condannato in via definitiva nel 2012 per associazione mafiosa ed estorsione, ai domiciliari per tema del coronavirus. Nel finale dello stesso discorso, il Premier – mentre affermava di non voler sospendere l’accordo di Schengen – aggiungeva: “Che cosa vogliamo fare? Dell’Italia un lazzaretto? Non ci sono le condizioni perché si arrivi a questo e né vogliamo arrivarci”.
Il 28 febbraio, nonostante la Corea del Sud come la Thailandia (ma anche la zona rossa in 11 provincie italiane) dimostrassero che fare tamponi a tappeto e circoscrivere i focolai precocemente serviva – così come curare prima, per evitare ricoveri in fin di vita poi – Angelo Borrelli, a capo della Protezione Civile, in un’intervista a QN dichiarava: “Adesso che il focolaio è stato circoscritto, potremo limitarci [a fare i tamponi] ai casi sintomatici e con fattori di rischio”.
Domenica 1° marzo il Ministro per gli affari regionali, Francesco Boccia, mandava il messaggio: “Da oggi 17 regioni tornano alla normalità” (non vedeva molto lontano. Smentito in corner nel giro di dieci giorni).
Dopo la fuga dal nord, a seguito del Decreto dell’8 marzo, che trasformava in zona rossa una fascia più estesa dell’Italia settentrionale, permettendo però il rientro al proprio domicilio in meridione di studenti e lavoratori presenti in Lombardia, nel giro di tre giorni (neanche il tempo di verificare se i “fuggiaschi” avessero davvero contratto il virus ma certi che avrebbero impestato l’intero centro-sud), l’Italia si trasformava davvero in un “lazzaretto” grazie all’hashtag #Iorestoacasa. Secondo i Dati ISS del 7 maggio, su 9.360 casi esaminati (a questo ritmo forse avremo i dati finali nel 2030), dal 7 aprile al giorno del rapporto, il 58,4% dei pazienti avrebbe infatti contratto il virus in una residenza sanitaria assistenziale o comunità per disabili (quelle inaccessibili a parenti e familiari per la sicurezza degli stessi ricoverati) e il 28,3% tra le sicure mura domestiche, mentre l’8,7% in ospedale o ambulatorio (visto il numero dei medici e infermieri ammalatisi e deceduti, in quanto privi di protezioni, immaginiamo che anch’essi avranno contribuito involontariamente all’ecatombe).
Il 31 marzo si inaugurava il reparto di terapia intensiva presso la Fiera di Milano e il Governatore Attilio Fontana dichiarava (nella conferenza stampa dal vivo – a riprova che la propaganda politica non si fa sempre online): “Stiamo facendo la storia” e “Sarà il simbolo della nostra battaglia”. 21 milioni di Euro per una struttura che accoglieva, il 15 aprile, solo dieci pazienti, nonostante la capienza di 200 posti letto circa (e sebbene solo un quarto allestito effettivamente alla stessa data). Il cardiologo Giuseppe Bruschi dell’Ospedale Niguarda non lesinava critiche e alternative: “Una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’ospedale. Una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre strutture complesse… Sarebbe stato più logico… ristrutturare o riportare in vita alcuni dei tanti padiglioni abbandonati degli ospedali lombardi”. La risposta dell’Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, non si faceva attendere: “Siamo contenti [dell’esiguo numero dei ricoverati]: vuol dire che oggi c’è un bisogno sanitario inferiore”. Certo che approntare un reparto quando non serve più ha poco senso ma si potrebbe anche ammettere che, vista la crisi economica che ci attende e le poche certezze di ripresa soprattutto a livello di grandi eventi, il reparto di intensiva potrebbe diventare l’unico padiglione in funzione in Fiera ancora per molto tempo.
Il 2 maggio anche la voce della Ministra all’Istruzione Lucia Azzolina tornava a farsi sentire per sconfessare l’idea dei “doppi turni” (in quanto avrebbero moltiplicato il numero degli insegnanti necessari) e ribadire che “gli studenti hanno diritto di tornare a scuola”. Però c’è sempre un però, e mentre nel resto d’Europa gli studenti tornano in classe, in Italia, dove si accorgono dell’esistenza delle “classi-pollaio” (che finora andavano benissimo), invece di riaprire le scuole chiuse e aumentare classi e docenti (stesso discorso della sanità pubblica), la Ministra garantirà il diritto con “una didattica mista”, in parte in presenza e in parte online. Ci sfugge la consequenzialità del ragionamento. Ma anche chi sceglierà chi deve restare a casa e su quali basi. I migliori o quelli con difficoltà di apprendimento? A seconda delle possibilità economiche della famiglia e dei mezzi informatici in dotazione? Nel caso che entrambi i genitori lavorino o che l’alunno abbia o meno disabilità fisiche? Ma la soluzione sarebbe perfino più fantasiosa: alcuni giorni alla settimana in classe, poi a casa – a turno, appunto.
Il Decreto del 4 maggio è una vera miniera di risate. A parte la visita ai congiunti “siano essi coniugi, partner conviventi, partner delle unioni civili” (che solitamente vivono con noi, verrebbe da dire), “parenti fino al sesto grado e affini fino al quarto grado” (per capire la differenza e rintracciare i nominativi, rimandiamo a un buon notaio specializzato in procedure testamentarie), si prescriveva che se si viaggiava da soli o con il convivente, era possibile stare in auto anche senza mascherina (bontà loro: hanno capito che non ci si auto-contagia…). Sulla posizione dei passeggeri (perché a tanto è arrivata la machiavellica voglia di imporre regole cervellotiche ai cittadini) si ricordava che “se c’è un solo passeggero, lo stesso deve sedersi al posto del guidatore”. Mentre in moto si dovrebbe viaggiare da soli (tranne nel caso di conviventi) “non essendo possibile la distanza minima di un metro” e indossando la mascherina nel caso di casco jet (perché in moto si viaggia guardandosi in faccia e sia mai che, mentre si corre, un virus reietto ci passi davanti e chieda un passaggio). Ovviamente il tutto condito con le frasi alle quali il Premier ci ha abituati, considerandoci bambini da redarguire e ammansire, del tipo: “Non è un libera tutti”.
Qualche chicca qua e là. Perché non si può prendere il sole in spiaggia? Perché sarebbe un’attività ludico-ricreativa (quella che è ormai diventata un reato peggiore dell’associazione mafiosa). Si può andare a fare trekking con il convivente ma bisogna recersi sul posto con autovetture separate (per aumentare traffico e inquinamento). Si può fare una passeggiata, ma guai ad arrivare al parco o sul lungofiume in auto (ci si potrebbe contagiare guidando?). La distanza va da un metro a un metro e 80 centimetri: gli italiani sono diventati tutti sarti o falegnami? Panetterie e alimentari da sempre aperti, ma le gelaterie no (così foraggiamo il gelato confezionato della grande distribuzione). La salute è il bene primario (refrain del Premier Conte), ma le sigarette sono state considerate bene essenziale (mortalità dal 1° gennaio all’11 maggio a causa del fumo: 1 milione 820 mila persone al mondo) e così le rivendite di vini e liquori (mortalità nello stesso periodo provocata dall’alcolismo: 901 mila persone). Non dimentichiamo nemmeno la manovra da 750 miliardi, la famosa “potenza di fuoco”, il “bazooka” sparato dal Premier, che si componeva – a parte i bonus da 600 euro, quelli per le babysitter e la Cassa Integrazione, che ci risulta ancora a bagnomaria – quasi esclusivamente di garanzie del Governo nei confronti dei prestiti delle banche, e che è poi diventata una pia richiesta alle stesse banche di “un atto d’amore” verso imprese e cittadini (al riguardo, consigliamo: http://www.opinione.it/politica/2020/04/30/franco-torchia_conte-cura-italia-paesi-europei-italia-germania-francia-olanda-austria-spagna-lockdown-von-der-leyen-sace/).
Tutto questo e molto altro ancora… in attesa del Decreto per il 18 maggio (dopo quelli del 25 febbraio, 1-4-8-11-22 marzo, 1-10-26 aprile, 4 maggio) e della prossima ordinanza regionale (la sola Regione Toscana avrebbe raggiunto quota 54, con triplette anche nella stessa giornata).
12 maggio, 2020
In copertina: Hanoi. Il futuro dei parrucchieri italiani? Foto di Simona Maria Frigerio (vietata la riproduzione).