Scuole, bombe e ambasciatori
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
Good news e bad news in questo universo-mondo che vira sempre più verso un futuro distopico che nemmeno J. G. Ballard avrebbe potuto immaginare.
Cominciamo dalle buone nuove. Il 1° settembre 1.422 scuole hanno riaperto i loro portoni a 326.438 scolari nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, oltre che nelle regioni di Zaporozhye, Kherson e Kharkov – secondo fonti russe. Ancora una volta il popolo del Donbass dimostra tutto il suo coraggio e la sua voglia di tornare a una normalità che, dovrebbe ormai essere chiaro anche in Occidente, va di pari passo con l’indipendenza da Kiev. Tutto ciò accade mentre alcuni rappresentanti dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare (AIEA) – su decisione del direttore, Rafael Mariano Grossi – resteranno nella Centrale nucleare di Zaporižžja per evitare incidenti (che, tradotto, significa per fermare i continui tentativi di sabotaggio e bombardamenti alla stessa da parte dei nazionalisti ucraini).
E così, minacciati dalle bombe a farfalla di Kiev, i bambini russofoni del Donbass tenteranno un’impresa che non è riuscita ai nostri per oltre due anni e che forse sarà funestata anche il prossimo: andare a scuola. Mentre i loro genitori (e i loro governanti) pensano che la cosa più importante per un bambino o un ragazzo sia proprio andare a scuola, per imparare ma soprattutto per socializzare ed esorcizzare la paura, i nostri – dopo essere stati rinchiusi in casa (senza nemmeno poter comprare matite, biro e quaderni: Conte/Speranza diktat) così da evitare un virus che non gli avrebbe causato più di una comune influenza, oltre che per ‘salvare i nonnetti’, per non contagiare un eventuale immuno-depresso, per non far spendere soldi allo Stato in aeratori (sperperati però per i banchi a rotelle), e per inculcare a tutti l’idea che solo i vaccinati erano immuni e sarebbero stati al sicuro – rischiano di rimanere nuovamente a casa perché i Presidi paventano la mancanza di fondi per pagare il riscaldamento e immaginano sabati in Dad. Solo da questo fatto si potrebbe comprendere la differenza tra un russo e un italiano.
Nel frattempo, anche sul fronte diplomatico si stanno muovendo molte pedine sia tra Italia e Stato della Palestina sia tra Colombia e Venezuela.
In Italia, questa campagna elettorale tutta slogan e niente contenuti – che finirà in un ennesimo governo tecnico a meno che gli italiani non si sveglino e smettano di votare per partito preso o ‘turandosi il naso’ e inizino a valutare alternative radicali allo status quo dei Governi del Presidente, propri della Seconda Repubblica – ecco l’ennesima provocazione del leader della Lega, Matteo Salvini, che annuncia (in caso di vittoria) di voler trasferire l’Ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme – dimenticando che Gerusalemme Est è stata “occupata militarmente da Israele a partire dal 1967 insieme al resto della Cisgiordania e a Gaza” (come precisa l’Ambasciata della Palestina in Italia, nel documento ufficiale che accludiamo: 1). Ma come in Donbass, il volere della popolazione locale (in questo caso quella palestinese) non conta nulla sulla scacchiera degli interessi geo-strategici internazionali e il servilismo verso gli States vira quasi al ridicolo – se non fosse tragico.
Al contrario, grazie all’elezione del primo Presidente di sinistra della storia in Colombia – un ex membro del movimento rivoluzionario M-19 – Gustavo Pedro (di cui abbiamo già scritto https://www.inthenet.eu/2022/05/20/la-colombia-volta-pagina/), si sono ristabilite relazioni diplomatiche tra Colombia e Venezuela. Ricordiamo che Nicolás Maduro, il Presidente venezuelano, era e resta inviso agli States, e che gli stessi fino all’elezione di Pedro esercitavo un forte potere politico sulla Colombia e sulle decisioni dei suoi governanti.
But the world goes ‘round…
1) Documento ufficiale dell’Ambasciata di Palestina in Italia, datato 1° settembre 2022
venerdì, 16 settembre 2022
In copertina: Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay.