Sofferente e disperato
di Francesca Camponero
Era il 22 agosto del 1922 quando a Milano, al Teatro Olimpia fu presentato il dramma in 4 atti di Čechov, Zio Vanja. Era la prima volta che l’opera teatrale del drammaturgo russo veniva rappresenta in Italia, dopo ben 23 anni dalla sua prima in patria al Teatro d’Arte di Mosca (1899).
In questa grande opera si delineano i tipici personaggi di Čechov. Mai eroi, ma uomini che conducono la propria esistenza cercando più di sopravvivere che di vivere. La banalità del quotidiano emerge in modo forte, consuma il tempo e spinge la ricerca affannosa di una via d’uscita che non si troverà mai. Zio Vanja ci porta a guardare il mondo borghese, i suoi drammi, le sue complicanze, le sua banalità, presentando l’intreccio di nove personaggi con tanta semplicità espositiva quanto complessa indagine psicologica. Tanti i temi toccati, quelli che in fondo coinvolgono la vita di tutti: dal distacco generazionale, all’alcolismo per dimenticare una vita infelice, alla quotidianità tanto noiosa da rendere schiavo l’uomo ancor più dell’alcool.
Personaggi sofferenti che ritroviamo anche nei suoi racconti, opere forse meno note di quelle teatrali, ma non per questo meno preziose.
È in queste novelle in cui si palesa totalmente il vero animo dello scrittore… assolutamente inquietante.
Quel suo pacifismo nasceva dalla nuova realtà di Russia, una realtà che lo porta a un’indifferenza e impassibilità nell’affrontare la vita.
Čechov diventa così il ʻcantore della disperazione’ come lo definì il filosofo esistenzialista Lev Šestov. Nel corso di tutta la sua quasi venticinquennale attività letteraria, infatti, non avrebbe fatto altro che ripetere in modo ostinato, dolente e monotono un solo atto: uccidere in ogni modo le speranze umane. Questo il parere di Šestov che è difficile contestare se si pensa ai finali de Il gabbiano, Il giardino dei ciliegi e nella bellissima quanto amara novella Reparto n. 6.
È come se stesse di continuo in agguato per spiare e guatare le speranze umane, attendendo di distruggerle.
Qualcuno scrisse che bastava che Čechov toccasse l’arte, la scienza, l’amore, gli ideali, l’avvenire perché questi all’istante sbiadissero e morissero. Quello che è certo è che il protagonista del mondo cechoviano è l’uomo disperato.
Čechov è un osservatore di quegli infiniti cerchi magici in cui gli uomini si dibattono per poi perdersi. È animato da una fredda passione di superiore razionalità che gli fa guardare gli sforzi umani con grande compassione, ma per lui non vi è nessuna possibilità di riscatto, né via di uscita.
I suoi personaggi sono incapaci di aiutare gli altri in quanto non riescono ad aiutare neanche sé stessi. Sono inetti ad agire e quindi a vivere. L’unica salvezza è intravista nel mondo intellettuale, inteso come mondo in cui attraverso la lettura si può trovare evasione e comprensione. Ma anche questo non riesce a salvare né il giovane Konstantin de Il gabbiano, né il dottor Andrej Efimyc di Reparto n. 6 perché, come scrive nel racconto: “esiste gente per cui la sofferenza degli altri è materia d’ufficio, di mestiere, come i giudici, i poliziotti, i medici. Costoro non si differenziano in nulla dal contadino che, nel suo cortile, sgozza montoni e vitelli senza neppure far caso al sangue”.
venerdì, 2 settembre 2022
In copertina: L’attore e regista Daniele Giuliani mentre interpreta Memorie dal Reparto N. 6, foto ©www.mantoz.it.