Quando il mezzo fagocita il contenuto
di Simona Maria Frigerio
Avevamo applaudito, convinti, Birdie, la performance di Agrupación Señor Serrano, presentata l’anno scorso sempre a Contemporanea.
Avevamo applaudito il felice connubio tra multimedialità e teatralità, a livello tecnico; così come il rispecchiamento simbolico tra le migrazioni degli uccelli, liberi di volare in ogni dove, e quelle degli umani – costretti e limitati da frontiere politiche e, soprattutto, ragioni economiche (https://teatro.persinsala.it/birdie-2/55956).
Ritroviamo, quest’anno, la Compagnia catalana e ne riconosciamo immediatamente la cifra stilistica e gli stilemi ma quel perfetto equilibrio, raggiunto nel precedente spettacolo, sembra essersi rotto. La multimedialità, come tecnica, si esaspera virando da un drone in esibizione dal vivo a un uso invasivo del live face mapping fino alla moltiplicazione e parcellizzazione delle immagini, proiettate su tre schermi che, sebbene possano rimandare metaforicamente alla parzialità della nostra visione (e, quindi, della nostra percezione della verità), spesso rendono solamente difficoltosa la visione stessa, con parti dell’immagine incastrate nelle fessure tra gli schermi.
Al centro del discorso vi è la verità (e/o la realtà) con tutte le possibili implicazioni di una sua analisi. Dalla narrazione massmediatica presa per vera solo perché si crede al mezzo che ce la consegna (in scena La guerra dei mondi di Orson Welles come esempio di credulità eccessiva del pubblico nei confronti della radio, negli anni 30; ma si sarebbe potuto giocare più efficacemente con la narrazione della pandemia, soprattutto ma non solo in Italia) alla demonizzazione di un presunto nemico dell’establishment politico-economico europeo, come Vladimir Putin che, però, snocciola perle di saggezza. Fino alla scomparsa dell’esploratore George Mallory il quale, tuttora, non si sa se abbia raggiunto o meno la cima dell’Everest prima di cadere in un dirupo e rimanervi sepolto per 75 anni (il suo corpo essendo stato ritrovato nel 1999) – e, quindi, se la sua leggenda meriti tale appellativo o meno.
In un tempo in cui si divide il mondo tra ‘negazionisti’ e ‘fideisti’ (“io ci credo, al virus”, è frase comune ed emblematica dell’antropomorfizzazione compiuta dal linguaggio politico e massmediatico nei confronti del Covid-19), quando il discorso dovrebbe vertere su mezzi e strategie di contenimento a fronte di specifiche esigenze economico-sociali (il coronavirus non è l’arcinemico, bensì un virus che viene a otto anni dalla Mers e a una quindicina dalla Sars e, quindi, denota una cadenza di infezioni respiratorie di genere influenzale con la quale dovremo convivere), diciamo che questo spettacolo avrebbe potuto volare ben più in alto.
Spicca il discorso di Putin sulla fiducia che non deve mai trasformarsi in fede, perché la prima contiene in sé il germe della verifica e della possibile critica, mentre la seconda è accettazione passiva di una cosiddetta verità data (e in questi mesi di atti di fede, la politica come la scienza, il giornalismo come l’economia ne hanno chiesti fin troppi ai popoli del mondo).
Tra richiami alle fake news e rimandi a un immaginario collettivo sempre più sclerotizzato su concezioni stereotipate e, spesso, su convinzioni in cerca di validazione invece di scoperte della realtà che ci circonda che portino a verità più complessive, The Mountain sembra continuamente inciampare sui propri passi – come se il meccanismo troppo farraginoso mancasse d’olio (ovvero di una fluidità che la sovrabbondanza di temi e di mezzi multimediali impediscono, invece di favorire).
Il discorso sulla narrazione dell’esistente, falsificata proprio da coloro in cui penseremmo di fidare, non può esaurirsi in un monito. Tutti mentono, quindi nessuno mente? Andando oltre il manicheismo della relativizzazione (che rischia di dare per scontati la povertà endemica come il surriscaldamento globale) e l’accettazione che non esista una verità univoca – o pura, e nemmeno una verità asettica; è comunque possibile – secondo noi – attraverso il metodo scientifico che procede per ipotesi, verificate da prove, che si trasformano in teorie, a loro volta, verità parziali che saranno successivamente modificate grazie a nuove scoperte, avvicinarci sempre più alla consapevolezza – che è aspirazione sublimamente umana, senza la quale, resta solamente il vuoto dell’egotismo.
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Contemporanea:
Teatro Metastasio
via Benedetto Cairoli, 59 – Prato
domenica 20 settembre 2020, ore 18.00
Agrupación Señor Serrano presenta:
The Mountain
creazione Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal
performance Anna Pérez Moya, Àlex Serrano, Pau Palacios e David Muñiz
video-programmazione David Muñiz
video creazione Jordi Soler Quintana
musica Nico Roig
spazio scenico e modellini in scala Àlex Serrano e Lola Belles
assistente scenografia Mariona Signes
costumi Lola Belles
design luci Cube.bz
maschera digitale Román Torre
produzione Barbara Bloin
produzione esecutiva Paula Sáenz de Viteri
diffusione in Italia Ilaria Mancia
management Art Republic
Venerdì, 25 settembre 2020
In copertina: The Mountain. Foto TM Graner (gentilmente fornita dall’ufficio stampa di Contemporanea. Vietata la riproduzione).