La deriva del giornalismo italiano
di Simona Maria Frigerio
Premessa. Ci occuperemo solamente del giornalismo nostrano perché non sarebbe serio allargare il discorso a colleghe e colleghi che non leggiamo quotidianamente o a coloro che in molti Stati – considerati democratici e non in guerra, come il Messico – sono arrestati o uccisi per difendere il diritto d’informazione.
Dai titoli a effetto all’esca per click
Un tempo i quotidiani e i settimanali erano famosi per i loro contenuti – soprattutto le inchieste o le pagine esteri, di economia o culturali, che attiravano lettori, informando su luoghi e fatti di difficile comprensione senza adeguati mezzi culturali o tecnici (dato che il giornalista avrebbe altresì il compito della mediazione culturale) o senza internet; ma anche per quei titoli che, con accostamenti perturbanti o sagace ironia, sapevano colpire la fantasia o giocavano con il senso dell’umorismo. Solo per fare un esempio abbastanza recente si ricorda quello de Il Manifesto per l’elezione di Ratzinger al soglio pontificio: “Il pastore tedesco”.
Da qui ai titoli per attrarre lettori a ogni costo – giusto per far loro cliccare sull’icona della testata e così aumentare i click ai fini delle statistiche pubblicitarie di Google o per piazzare un banner – c’è di mezzo… il coronavirus. Sebbene ormai largamente comprovato che il Covid-19 non si trasmette per via aerea all’aperto (eppure si impone di indossare la mascherina anche quando si passeggi sulla riva di un fiume o su una stradina di campagna) e che è inutile sanificare continuamente le superfici perché tale via di trasmissione, nella vita reale, è altamente improbabile (se non impossibile), i titoli che strombazzano diversamente sono all’ordine del giorno – salvo poi smentire, nel contenuto, quanto dichiarato nel titolo o diluirlo al punto che non se ne ravveda il continuum logico-sintattico. Ai tempi della carta stampata forse il danno sarebbe stato meno grave ma in tempi in cui la maggior parte dei lettori usa internet e non si abbona alle testate, avendo quindi solo la possibilità di leggere il titolo e, al massimo, le prime righe, il titolo a effetto (soprattutto se mira nella direzione sbagliata) può essere paragonato alla frode: in quanto dà un’informazione fuorviante o del tutto falsa. E non si sta scrivendo di blog, bensì di quotidiani anche blasonati che ormai inseguono i like e i tweet, invece della verità.
Il giornalista quando legge la palla di vetro
Dopo otto mesi di notizie allarmanti, l’italiano medio si è un po’ assuefatto – se non altro per naturale istinto di autoconservazione. Ha capito che a morire di coronavirus sono perlopiù persone ultraottantenni e/o malate e ha cominciato a disinteressarsi del dato giornaliero su contagiati e morti. Il bollettino delle 18.00 – messa sotto naftalina la Protezione Civile – è stato surclassato dall’angoscia per le proprie finanze o per il futuro della propria attività, dal rientro su mezzi pubblici sovraffollati o, ancora, dal concorso a premi che regala migliaia di euro in tempi di crisi (dato che la tivù, al contrario del teatro o dei musei, non è mai stata messa in lockdown).
E così i giornalisti si sono dovuti trasformare in cartomanti. Si è iniziato a presagire sciagure ‘di giornata’ – del tipo, che la mattina escono articoli sui dati dei contagi, che saranno pubblicati, magari completamente diversi, solo nel tardo pomeriggio – e si è finito per fare dietrologia su cenoni natalizi e settimane bianche. Nell’amalgama moralistica che ci ricorda, mentre c’è chi pontifica sul fatto che non saremo tutti riuniti per il prossimo cenone (ogni anno, in Italia, muoiono a centinaia di migliaia di cancro e infarto ma, a parte gli stretti congiunti, di ciò nessun personaggio pubblico si era mai occupato) e chi prevede un secondo inverno senza sciatori, i colleghi giornalisti cosa fanno? Non analizzano le dichiarazioni; non si pongono il dubbio di intervistare coloro che lavorano nel settore interessato – in questo caso nel turismo invernale; non avviano un’inchiesta su cosa accada all’estero o sui costi reali per l’economia di tali scelte (e si permetta di aggiungere che, senza economia, non ci sarà nemmeno sanità – pubblica o privata), bensì rimpallano titoli che prevedono – come cartomanti – o rilanciano acriticamente affermazioni spurie, prive di fondamento. Tutto ciò sulla scia di quei giornalisti da talk show che, da anni, hanno assuefatto i telespettatori a quel modo di fare ‘qualunquismo’ – più che giornalismo – che lascia gli ospiti di turno parlare a ruota libera senza mai porre una domanda, o frapporre un fatto o un dato reale, una critica motivata, una sagace controprova, con l’aggravante della presunzione di sapere cosa accadrà – salvo poi smentirsi nel giro di poche ore. Un esempio?
Il Premier Conte affermerebbe alla stampa: “A Natale divieto vacanze sulla neve, non possiamo ripetere Ferragosto”. Titolo da preveggente che non pone domande, del tipo: il disastro dell’autunno è stato provocato dai bagnanti – che hanno salvato la stagione estiva per migliaia di lavoratori del settore – o dall’affollamento sui mezzi pubblici causato dalla riapertura di scuole e PA, dal non aver concordato (sindacati e governo) turni di lavoro, dal non aver investito (a livello regionale e nazionale) in medici, infermieri, strutture per malattie virali e terapie intensive come promesso? Secondo, perché il Premier Conte non guarda all’Alto Adige invece di aumentare il debito pubblico per dare oboli che non salveranno, comunque, le attività produttive – o per comprare inutili monopattini? Visto anche che in Svizzera le stazioni sciistiche sono già aperte e in Austria pare che riapriranno a breve. Ma questo significherebbe fare giornalismo, non le Cassandre.
Propaganda v/informazione – Montelli v/Assange
Se A si candida per un partito che il nostro editore non appoggia o, addirittura, avversa, è sempre stato nella logica di molti quotidiani italiani (ma anche statunitensi) cercare fatti e misfatti per danneggiarne l’immagine. Chi ricorda una frase di Sbatti il mostro in prima pagina, film culto del cinema civile e impegnato (con un Gian Maria Volonté epico), recitata dal succitato ingegner Montelli: “Ciascuno deve stare al suo posto: la polizia a reprimere, la magistratura a condannare, la stampa a persuadere la gente a pensarla come vogliamo noi”? Anche allora accadeva – ma i lettori ne erano consapevoli e, soprattutto, gli intellettuali e gli artisti denunciavano il malcostume.
Oggi si va oltre. Non si cerca neppure più il fatto – da manipolare – ma lo si crea, lo si monta e lo si arricchisce di sfumature senza preoccuparsi di fornire prove, fatti e cifre a sostegno di quanto si denuncia. Al contrario un giornalista come Julian Assange, che non fa propaganda politica bensì denuncia puntuale – comprovata da dati inoppugnabili – finisce in galera ed è perseguitato da anni nel silenzio generale e nel disinteresse dei colleghi, che si trincerano dietro al fatto che avrebbe violato il segreto di Stato, contravvenendo alle leggi. Ma un giornalista ha un solo obbligo, quello della verità, e se uno Stato è democratico non può pretendere di avere segreti perché questi ultimi inficiano la capacità dell’elettorato di comprendere e votare con coscienza (e, quindi, le basi stesse della cosiddetta democrazia rappresentativa).
Il moralismo dalla memoria corta
Mentre l’economia affonda, il giornalismo economico sembra latitare. I miliardi del Recovery Fund, ad esempio – nonostante paiano allontanarsi e ormai, se concessi, si teme servano soprattutto a ripagare gli interessi sul debito pubblico, lievitato meglio di una torta paradiso – non sembrano tangerlo. Cosa occupa, al contrario, i nostri mass media, espressione dell’intelligencija e del mondo economico-finanziario? La movida.
Come ai tempi in cui l’Aids flagellava l’occidente c’era chi voleva imporre la castità invece di consigliare un preservativo, oggi – mentre le Case di riposo abitate da ultraottantenni (ossia dalle persone maggiormente a rischio se contraggono il Covid-19) sono luoghi di contagio (e non per colpa dei parenti, che non vi hanno accesso) – la politica e i giornali gettano fumo negli occhi, puntando il dito contro i giovani. La memoria è così corta che nessuno si rammenta come, solamente pochi mesi fa, si minacciavano i pensionati con un famigerato quanto fantomatico patto generazionale. I vecchietti, oggi così cari perché usati per nascondere il rischio di default e le continue scelte antieconomiche, sono forse al centro di inchieste sui costi proibitivi delle succitate Case di riposo – che dissanguano le loro famiglie da anni? Sono stati pubblicati articoli sul probabile, ennesimo mancato aumento delle pensioni che depaupera quegli stessi vecchietti? Il giornalismo italiano, lancia in resta, si batte contro i giovani della movida senza rendersi conto che anche i vecchietti, quando erano giovani, andavano tutte le sere all’osteria e, a quei tempi, lasciavano le donne a pulire la cucina o a badare ai figli. Non solo, non si legge – in questo amalgama moraleggiante – alcuna inchiesta su come si sentano i giovani, privati, sì, della birra o dell’apericena (forme di socializzazione, altrettanto legittime quanto quelle del passato), ma soprattutto dell’università, dei viaggi di studio all’estero, delle scuole superiori, dei pomeriggi con gli amici – magari a studiare o, altrettanto importante, a chiacchierare vis-à-vis – degli sport, di due tiri al pallone, di un’uscita scolastica a teatro o al museo, dell’appuntamento con il ragazzo o la ragazza, tanto da ridursi – pur di socializzare con i compagni – a far lezione seduti su un marciapiede. Persino le decorazioni natalizie sembrano vietate nelle zone rosse – con buona pace dei pubblicitari che imbellettano gli spot di festoni! Ma il moralizzatore che pare essersi appropriato dell’animo giornalistico, invece di rammentare le prediche degli scorsi anni contro i giovani che si stavano scollando dalla realtà per colpa dei social, si ferma alla movida.
Informazione, terrorismo mediatico e… tutti vissero felici e contenti
Informare significa fornire dati e fatti di interesse pubblico affinché il cittadino sia maggiormente consapevole nei propri comportamenti e nel momento in cui eserciterà il diritto democratico al voto. Dal 7 marzo, però, il giornalista sembra essersi trasformato in portatore di sciagure, pubblicando stralci di Dpcm prima della loro emanazione – dimostrando le continue falle di un apparato politico che parrebbe incapace di non far trapelare documenti in fase di elaborazione ma perfettamente in grado di occultarne altri, come i verbali del Comitato Tecnico Scientifico. Sebbene infondere paura nel lettore (e nell’elettore) sia uno sport nazionale da lungo tempo, il martellare messaggi allarmanti non è l’equivalente di informare. Non solamente è controproducente a livello effettuale, in quanto di fronte a una paura irrazionale (ossia la morte inevitabile da coronavirus, sebbene ormai credenza dimostrata erronea da milioni di guariti) si tende a fuggire, invece di seguire misure efficaci di prevenzione; ma è nocivo a livello emotivo – e l’aumento degli spot pubblicitari dedicati a farmaci contro l’ansia è l’ennesima riprova che l’informazione, in questo momento, sta raggiungendo l’obiettivo – sempreché lo stesso sia angosciare una popolazione già stremata dalle continue restrizioni e minacciata dalle presagibili difficoltà economiche.
Informare, però, dovrebbe essere altro, ossia fornire strumenti perché le persone assumano comportamenti che le proteggano, senza violarne le libertà. Se negli anni 80 e 90 era invitare la madre e il padre a comprare ai figli (e alle figlie) un preservativo, e usarlo anche col proprio partner, amante o marito/moglie che fosse, senza imporre castità o monogamia; oggi sarebbe l’invitare i famosi nonni a non abbracciare nipoti e figli, bensì a stare loro lontani almeno un metro, trascorrendo il tempo in luoghi molto più sicuri della casa, ossia i cinema, i musei, le piscine e i teatri. Ma in quegli anni il giornalismo si rispecchiava in una società ancora in grado di analizzare, criticare e contestare; oggi non omologarsi alla narrazione politica corrente appare più blasfemo di una vignetta di Charlie Hebdo. Se i lettori dei quotidiani sono sempre meno, e smettono di leggere i giornali perché ‘uno vale l’altro’, non diamo sempre la colpa ai blogger – che, forse, essendo indipendenti economicamente (o semplicemente poveri) sanno almeno essere originali.
Venerdì, 27 novembre 2020
Foto di Michael Gaida da Pixabay.