Capolavori grandi e piccoli
di Simona Maria Frigerio
Il piano terra del Prado è più caotico del primo e le opere esposte vanno dalle immagini su tavola tardo-gotiche e la pittura murale del XII secolo, a Bosch e Brueghel (padre e figlio) fino a un Sorolla, di cui è esposto Chicos en la playa (1909, olio su tela), pienamente post-impressionista. Tra i vari universi e le due ali, la libreria, il punto informazione e il bar.
Dell’ultimo periodo ricordiamo Los poetas contemporáneos. Una lectura de Zorrilla en el estudio del pintor del romantico spagnolo Antonio María Esquivel (1846, olio su tela), che ritrae il mondo letterario dell’epoca raccolto in un salotto – e rimanda inevitabilmente a opere con tema similare, come Un coin de table di Henri Fantin-Latour (1872), conservato al Musée d’Orsay e che ritraeva un giovane Rimbaud e l’amico Verlainw.
In quest’ala alcune sale tematiche mostrano il cambiamento del gusto e dei committenti a partire dall’Ottocento, con l’avvento della paesaggistica realistica, il ritratto di borghesi e una nuova attenzione verso il sociale – dai diritti dei lavoratori alla prostituzione fino alla rivoluzione. In mostra Los fusiliamentos di Goya (1814, olio su tela), che ritrae la fucilazione degli spagnoli in rivolta, avvenuta a Madrid il 3 maggio 1808. Il realismo di questa scena pone in primo piano i condannati – illuminati dalla forza delle loro idee, sconfitte solo dalla violenza della morte.
La maggior parte delle statue in mostra sono di epoca romana. Da notare, però, in un angolo, un torso di kouros greco, in marmo, del 545 a.C. e una testa di cavallo del 515 a.C. di origine attica; un altare di epoca romana (50/25 a.C.) ritrae una festa dionisiaca ove le scene di danza scorrono accanto alle esecuzioni dei musici e alla preparazione del banchetto, a cui faranno seguito i postumi del bere con protagonista lo stesso Dioniso retto da satiri. Originale la testa in bronzo di età ellenistica (307/300 a.C.), che rappresenta Demetrius I Poliorcetes. A parte, v segnaliamo anche la scultura di Camillo Terreggiani, Isabel II, velata (1855, marmo di Carrara) che rimanda per grazia, espressività e precisione nella trattazione della materia al Cristo velato di Giuseppe Sanmartino di oltre un secolo prima – conservato nella Cappella Sansevero a Napoli.
Superato il punto ristoro, volgiamo verso l’altra ala, ricominciando il tour dalla Sala 55A, che ospita Paisaje nevado con patinadores y trampa para pájaros (1601, olio su tavola) di Pieter Brueghel il giovane, un piccolo capolavoro fiammingo, ove la scena di vita popolare si smaterializza nel lucore del paesaggio imbiancato, nei riflessi che la neve sui rami riverbera tutt’intorno. Accanto, El triunfo de la muerte (1562/63, olio su tavola), di Pieter Brueghel il vecchio, in cui la morte giunge su un cavallo scarnificato, recando la falce ma colpendo in ogni forma e, soprattutto, in modo violento, sia il re e il prelato sia il popolano – e già suona la sua musica funerea alle spalle de cantore della serenata.
Accanto, la sala dedicata a Hieronymus Bosch con uno tra i suoi massimi capolavori, il Jardín de las delicias (1490/500, olio su tavole). La complessità della figurazione è ben nota e occorrerebbe restare per ore a osservarlo per comprenderla – in ogni caso, mai fino in fondo. Il pannello di sinistra mostra Adamo ed Eva congiunti dal Padre nel Paradiso terrestre, quello centrale come la scoperta della mela (qui soprattutto intesa come conoscenza carnale) porti ai piaceri della lussuria che si dispiegano in un paradiso artificiale pre-lisergico, il quale a sua volta causa la cacciata. Per cui, nel terzo pannello, siamo di fronte alla dannazione – dalla lama che pare conficcarsi tra due orecchie prive di cervello (di ragione) alla più enigmatica delle figure concepite da Bosch, il ritratto maschile che sembra contemplare, dal centro della tavola, ciò che accade tutto intorno, senza giudicare né compiacersi ma con un velo di tristezza nello sguardo. La fantasia di Bosch si dispiega nelle forme di piacere come nei martiri, ma è il macchinismo che lascia basiti: la creazione di macchine per la tortura partendo da semplici utensili o strumenti musicali (vedasi, ad esempio, l’uomo crocefisso nell’arpa). Leggermente meno complesso ma altrettanto affascinante, il Tríptico del Carro de heno (1512/15, olio su tavola). Qui, nel pannello di sinistra è raccontata l’intera parabola di Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre – dall’alto in basso (anche allegoricamente) – in quello centrale dolori e piaceri, miserie e ricchezze effimeri quanto la festa della mietitura, e nell’ultimo l’eterna dannazione, che resta fine inevitabile, costantemente adombrata, memento mori di vite che trascorrono brevi come la stagione estiva di fronte all’inverno del nostro scontento.
Tra tanti rimandi religiosi, spicca un’opera di genere fortemente borghese e intrinsecamente olandese (e fiamminga), El cambista y su mujer di Marinus van Reymerswale (1539, olio su tavola). Qui l’ambiente domestico, le monete in primo piano, i personaggi reali con abiti che ne contraddistinguono lo status, la dimensione quotidiana e l’accento sul lavoro – e il guadagno – già delineano nuovi interessi e una nuova classe di committenti che soppianterà l’ecclesiastica e la nobiliare.
Nella sala 56B, piccolo tanto da rischiare di non essere notato, El Tránsito de la Virgen (1462, tempera su tavola) di Andrea Mantegna. Come sempre il pittore italiano gioca con la prospettiva e, curiosamente, aprendo una finestra su una laguna con edifici disposti in diagonale riesce a restituire profondità a una tela ingombra di personaggi, con il corpo di Maria che abbassa l’orizzonte tagliandolo a circa un terzo del quadro e con dimensioni davvero ridotte.
Di Fra Angelico, nella medesima sala, si può ammirare l’Anunciación (1425/28, tempera e oro su pannello) in cui i colori sgargianti e l’oro profusi per l’angelo e Maria si contrappongono alle tinte brune e smorte di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre. In un’unica opera e, apparentemente, in un unico tempo e spazio (come nella pittura anteriore) si compie la storia dell’umanità.
Sempre tra gli italiani, tra gli esponenti del Rinascimento (filosofico prima ancora che pittorico) accolti nella Sala 49, si nota per la grande raffinatezza del tratto, il Parmigianino con Pietro Maria Rossi, Conte di San Secondo (1535/38, olio su tavola); mentre di Raffaello spicca La Sacra Famiglia (1518, olio su tavola) per la composizione che si stratifica in più piani aprendo al paesaggio sul fondo; il piccolissimo La Sacra Famiglia con agnello (1507, olio su tavola), dove la minuzia del tratto e la composizione raccolta risaltano su uno sfondo bucolico azzurrino; e La Sacra Famiglia sotto la quercia – eseguito con Giulio Romano – del 1518, che inserisce ancor più l’essere umano in un’ambientazione bucolica, mentre gesti ed espressioni si distendono perdendo del tutto la ieraticità delle pitture anteriori. Delizioso il piccolo Correggio, La vergine, il bambino e San Giovanni (1515/17, olio su tavola) e, nella stessa sala, alcuni pregevoli e austeri Sebastiano del Piombo.
Al Prado sono anche presenti opere di Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi – entrambe pittrici di talento, attive tra le metà del 1500 e la metà del 1600. Sempre in ambito femminile, curioso l’accostamento dei ritratti di Mary Tudor, regina d’Inghilterra (Antonio Moro, 1554) e dell’Imperatrice Isabella di Portogallo (Tiziano, 1548). Se in entrambi le regine mostrano sussiego, siedono di tre quarti, e indossano abiti e gioielli importanti, finemente restituiti, nel volto di Mary si ravvisa un’intransigenza e una durezza d’animo che non lasciano indifferenti – mano del pittore o animo della protagonista?
Note negative. A differenza di tutti gli altri musei visitati nel mondo, al Prado non si può fotografare per uso personale e alcuni custodi sono particolarmente molesti. L’Ufficio stampa non ci ha fornito alcuna foto da pubblicare.
(Prima parte su: https://www.inthenet.eu/2022/07/08/il-prado/)
venerdì, 22 luglio 2022
In copertina: Foto di Donfalcone da Pixabay.