Perché non funziona?
di Simona Maria Frigerio
In quest’ultimo anno le televisioni italiane non a pagamento hanno proposto alcune serie, sempre made in Us ma almeno nuove (o quasi nuove, dato che Prodigal Son ha debuttato nel 2019 ed è stata cancellata nel 2021 dopo una seconda stagione più breve della prima), da intercalare con gli onnipresenti CSI+spin-off e Law and Order+spin-off.
Nonostante la fotografia dark di Nigel Bluck, Anthony Wolberg e Benji Bakshi, le scelte artistiche di Prodigal Son (nuovamente sugli schermi di Top Crime dal 10 ottobre) che non hanno funzionato sono state molte e hanno a che vedere con l’aver ‘scopiazzato’ qua e là senza la sufficiente convinzione e senza una sceneggiatura e un protagonista (Tom Payne nel ruolo di Malcolm) all’altezza della complessità del ruolo.
Il profiler figlio di un assassino psicopatico con strani flashback che potrebbero indurlo e indurci a pensare che coltivi un lato (e/o un passato) oscuro avrebbe bisogno di una dose di cattiveria assolutamente maggiore, uno squilibrio che si espliciti anche nelle piccolezze, un linguaggio e idee anticonformiste, una raffinatezza che tocchi ben altre sfumature di senso. Andando nello specifico, per la cattiveria pensiamo a un Breaking bad; per lo squilibrio anticonformista potremmo proporre Sherlock – sia quello British di Benedict Cumberbatch e sia, soprattutto in quanto statunitense e, quindi, doverosamente più pruriginoso, quello interpretato da Jonny Lee Miller in Elementary; per la raffinatezza macabra il capolavoro del genere, Hannibal (che si giovava anche di un protagonista un gradino al di sopra di tutti gli altri come Mads Mikkelsen).
Qui il confronto padre assassino/figlio profiler vira verso un grottesco che non ha mordente. Le allucinazioni non toccano certo i vertici né riescono a sconfinare nell’orrore di American Horror Story: risulta tutto troppo edulcorato, un vorrei ma non posso, un ci provo a infilzare la carne ma lo faccio in punta di forchetta (niente a che vedere con il sangue nel piatto della sigla di apertura di Dexter).
Anche il rapporto tra Malcolm e Gil Arroyo (un solido ma ‘pallido’ Lou Diamond Phillips) non ha la complessità psicologica del dualismo Sherlock/Thomas Gregson, il fascino perverso di Hannibal/Will Graham o il peso ‘pedagogico’ di Dexter/Harry Morgan.
Ovviamente l’errore è stato fatto anche nella scelta dell’interprete. Pensiamo a un Michael C. Hall, che ha saputo entrare sotto la pelle di un serial killer con una propria etica senza banalizzare il male né sublimarlo ma restituendo appieno la complessità della mancanza di empatia – e che, anni prima, era riuscito a essere altrettanto credibile nel ruolo di becchino gay nel grottesco capolavoro sull’industria della morte, Six Feet Under.
D’altronde anche i dialoghi tra assassino e figlio profiler non sono in grado di trasmettere l’orrore, che non può disgiungersi da una certa fascinazione verso il male. Il giallo per ricostruire i frammenti dei flashback scade o si frammenta nell’onirico, i casi indagati non hanno mordente e, soprattutto, non sembra che Malcolm entri nella mente del killer di turno più di quanto farebbe qualsiasi normale investigatore – per non dire che, dopo Criminal Minds (logorato dal lato soap), qualsiasi cultore del genere sa ormai tutto sull’SI (soggetto ignoto).
Restiamo in attesa di migliori idee per il prossimo futuro ma, soprattutto, di maggior coraggio.
venerdì, 14 ottobre 2022
In copertina: La locandina della serie.