Esce, per Milano University Press, il nuovo libro di Anna Monteverdi – con Flavia Dalila D’Amico e Vincenzo Sansone
La Redazione di InTheNet
In vista della mostra che si inaugurerà il prossimo 25 giugno al CAMeC di La Spezia, Liberare Arte da Artisti. Giacomo Verde artivista, esce il primo di una serie di volumi dedicati alla vita e alle opere di Verde, da fruire gratuitamente scaricando il .pdf da https://libri.unimi.it/index.php/milanoup/catalog/book/69.
Il libro/catalogo è davvero corposo, contando oltre 230 pagine divise tra approfondimenti e il corpus di “disegni inediti e bozzetti a matita, pastello e collage per video, videoinstallazioni e video performance dell’artista” nel periodo 1992-1986 – così da rispettare il desiderio di Verde di utilizzare la sequenza cronologica inversa.
Ma chi era Giacomo Verde? Affidiamo il lettore alla biografia che apre il volume, scritta da Anna Maria Monteverdi, noi preferiamo consegnarvelo con queste sue parole, tratte da Per questo forse – sulla mia videoarte (in calce all’opera): “Faccio videoarte perché / voglio mettere / il dito nella piaga. / La piaga tele-media-visiva / del nostro vivere essere contemporaneo futuro. / Ma lo voglio mettere il dito / con disinvoltura disincanto / giocando segnalando / appunto indicando quello / che tutti possono vedere. / Pochi veramente sanno. / Ma quasi nessuno osa dire. / Forse che la piaga è necessaria, / che è al tempo stesso / immateriale e concreta / dolorosa ed estatica / quasi comica”.
Il volume si apre, come scrivevamo, con l’introduzione di Monteverdi e una citazione da Verde: “Le tecnologie miglioreranno il mondo solo se saranno usate con un’etica diversa da quella del profitto personale incondizionato”. Attraverso il racconto di una vita, si scoprono le scelte artistiche di un uomo sempre coerente con le proprie idee. Ad esempio, si comprende cosa siano le sue oper’azioni, ossia “variazioni in low tech sul tema della necessità di un uso politico e di un’appropriazione dei mezzi tecnologici”; oppure perché siano indispensabili disegni e appunti quali fasi preliminari nella costruzione delle sue performance e installazioni; o ancora, come Verde utilizzasse il teleracconto per illustrare ai bambini che l’immagine della cosa non è la cosa (come Magritte con la sua pipa), mentre lo scarto fra la realtà e la sua rappresentazione può essere valorizzato come potenziale creativo – una strada, questa, aperta da Verde, che ha poi avuto molteplici epigoni ed è stata in grado di operare una demistificazione potente del mezzo televisivo, in quel momento fabbrica di immagini/notizie dominante.
Si entra nelle specifiche artistiche di Verde con il capitolo Frantum’Azioni e Gemm’Azioni tra video e teatro. L’est-etica politico-poetica di Giacomo Verde. Sarebbe deviante cercare di raccogliere in poche frasi l’immenso patrimonio di informazioni etico-estiche ivi contenuto, ma è importante che il lettore che affronterà questo volume sappia che Verde ha perseguito un’arte ‘precaria, comunitaria, politica’ non disgiungendo mai la sua arte (declinata in molteplici linguaggi e approcci) da una vita, che è stata sempre intesa come azione sociale e politica, come presa di coscienza del reale e sua contestazione – in funzione, però, creativa. Dal teatro soprattutto di strada si passa alle azioni improvvisate di un cantastorie poeticamente disincantato, fino alla critica feroce sia della reviviscenza stanislawskiana sia del Terzo Teatro (entrambi “troppo distaccati, separati dalla vita reale”). E poi il viaggio in Africa – perché questo volume non ha solamente la precisione del tomo accademico ma anche l’afflato dell’esistenza di un artista, che ha visto tutto, ha sperimentato tutto, ha contestato tutto e, poi, ha anche rivoluzionato tutto. E l’Africa è quella del Teatro delle Albe di Ravenna, di Mor Awa Niang, Luigi Dadina, Nico Garrone, Marco Martinelli, Ermanna Montanari e Mandiaye Ndiaye – dal quale nascerà la video-opera Ottica Dakar.
Spazio anche alla videoarte underground – agli U-tape. La co-autrice ripercorre la sperimentazione di Verde che non sarà da meno di quella di ben noti filmmaker statunitensi, come Stan Brakhage. Riportiamo solo uno tra i molti esempi citati, ossia l’utilizzo, nel 2004, di “strati di immagini, ottenuti tramite una pellicola sovrapposta allo schermo (modalità che aveva sperimentato negli anni Ottanta) per creare il video dell’opera poetica Rap di Fine secolo e fine millennio di Lello Voce: scritte, disegni e acquarelli si muovono in sincrono con la poesia declamata da Voce e con la musica di Frank Nemola e Paolo Fresu. L’aspetto è quello di un décollage animato di grande raffinatezza ed estetica documentaria”. I video daranno spunto anche a diverse installazioni e qui si entra in un altro campo artistico in cui Verde si è cimentato, raggiungendo risultati di grande pregnanza espressiva e, spesso, di forte impatto ideologico ed emozionale. Proseguendo nella lettura si ha una resa anche iconografica dei vari progetti grazie alle molte foto scattate da Jacopo Benassi (attualmente protagonista di una propria mostra presso la Fondazione Carispezia di La Spezia), che seguì il lavoro di Verde per anni.
La parte di Flavia Dalila D’Amico si concentra sulle ultrascene di Giacomo Verde e, specificamente sui progetti installativi e installazioni realizzate dall’artivista nel periodo trattato dal volume. D’Amico analizza le varie fasi attraversate da Verde – dalle opere che risentono della “teoria matematica delle catastrofi di Renè Thom”, passando per l’indagine sul rapporto tra immagine e realtà che parte dal progetto Teleracconto e arriva alla Tele-pittura, fino alle riflessioni sull’interattività e alla “riflessione critica sull’addomesticamento percettivo esercitato dal medium televisivo”. La co-autrice approfondisce con dovizia di particolari sia le scelte etiche sia quelle estetiche che portano Verde a queste continue metamorfosi, le sue affinità con artisti che lo avevano preceduto o che incontra sulla sua strada e con i quali, però, condivide solo brevi percorsi creativi, e la ricchezza di commistioni artistiche che lo porta a padroneggiare media e linguaggi fino a fonderli in unità espressive autonome.
Interessante, tra i molteplici spunti che D’Amico regala al lettore, quello relativo al fatto che le videoinstallazioni e le videosculture siano “interessate da una dimensione performativa che, da una parte richiama la necessità al fare, dall’altra circoscrive una fenomenologia del corpo plasmato e plasmante il mezzo tecnologico”. E quindi Verde non potrà mai essere inserito in quelle categorie prestabilite – amate dal Ministero quando si tratti di assegnare i fondi – continuando egli a oltrepassare i confini tra arti figurative e performative, tra pre-registrato e live, tra impresso/immortalato sulla pellicola ed es/imploso nella pratica.
Prima di passare ai disegni, Vicenzo Sansone ci regala un saggio approfondito sul Teleracconto, decisamente tra le sperimentazioni più feconde di Verde – video artista e “fautore di una teatro tecnologico” che, però, si basava come Sansone puntualizza: sull’uso della “bassa tecnologia” (sia perché non è detto che sia più performante la tecnologia più costosa o all’avanguardia, sia perché ciò che davvero conta è l’idea alla base della narrazione e del processo creativo). Verde è “autore, regista, responsabile della componente video e, soprattutto, è il narratore dello stesso racconto” ma è anche in continuo ‘dialogo’ con gli spettatori anche perché non usa un testo definitivo bensì un canovaccio, che gli permette improvvisazioni sul tema – essendo egli per scelta narratore e rifiutando sempre il ruolo di attore. Pensiamo a quanti, in questi anni, devono alla sua visione, il loro modo di interagire con il mezzo tecnologico ma anche con il pubblico – tra i migliori, Andrea Cosentino (vedasi Fake Folk).
Altro capitolo imprescindibile per comprendere le ibridazioni tra le tecniche e i media che Verde sempre persegue, è quello dedicato ai video-fondali. In RI-: immagini d’eco, del 1992, Verde “non prevede l’uso della voce” ma si concentra “sull’incontro di immagini e musica” – dove un attore-narratore trasmette riprese effettuate al momento e che mostrano “punti di vista inediti di cose o azioni”, il che trasfigura in maniera creativa il dato reale. E, al contempo, disabitua il pubblico a concentrarsi sul palco come fosse uno schermo televisivo, ossia piatto/bidimensionale, dato che il corpo che agisce sul palco, frapponendosi tra lo spettatore e l’immagine trasmessa, restituisce a quest’ultimo la percezione della sua propria appartenenza, come corpo, al contenitore teatro che si fa esperienza tridimensionale. Inoltre, l’immagine ripresa (in macro) sarà nel prosieguo modificata dal vivo, da Verde stesso, “con lucidi sovrapposti, acetati, striscette colorate, veline” e trasposta astrattamente dando vita a nuovi percorsi di senso, che utilizzeranno le immagini, invece delle parole, come linea di narrazione.
Seguono le testimonianze di due compagni di percorso, ossia Renzo Boldrini, già direttore artistico dell’Associazione Culturale Giallo Mare Minimal Teatro, e l’attrice e regista Vania Pucci; e poi i disegni e gli appunti di lavoro che sono il vero cuore del volume e potrebbero essere non solamente sfogliati da un lettore che voglia conoscere il lavoro di Verde, ma andrebbero indagati da studiosi che ricostruiscano le tappe dei processi creativi di performance, installazioni e video ideati da Verde in quegli anni.
Pagine da leggere prima, durante e dopo la mostra spezzina.
Venerdì, 22 aprile 2022
In copertina: Giacomo Verde durante le riprese per Residenze temporali (1998). Foto di Jacopo Benassi dall’Archivio Giacomo Verde (tutti i diritti riservati).