Molto rumore per nulla?
di Simona Maria Frigerio
Da oltre vent’anni siamo letteralmente bombardati da Law and Order Unità vittime speciali e da un’orgia di pedofili violenti che assedierebbero i nostri ‘bambini perenni’ – a scuola, in piscina, nel parco, ovunque.
Come dimostrano, ad esempio, i fatti della Bassa Modenese (https://www.google.com/amp/s/www.avvenire.it/amp/attualita/pagine/innocenti-16-anni-dopo), basta un bambino che si inventi – coscientemente o meno – una storia e non solo le forze dell’ordine e la magistratura si muovono come carri armati, ma anche e soprattutto i media, che fiutano il mostro e lo sbattono in prima pagina o in qualche contenitore tv – distruggendo reputazioni ed esistenze.
Ma a ben guardare questa nostra società dell’opulenza vive e prospera sulle paure. Del pedofilo violento, del migrante, della crisi economica, del virus o, adesso, della guerra – magari atomica. Sembra che Europa e Stati Uniti siano arrivati al tramonto della loro civiltà e non resti ormai che la paura a creare quel collante sociale che, ieri, era imbevuto di affetti, condivisione, ideali politici ma anche battaglie civili.
Se poi si parli di sesso, siamo talmente sopraffatti dalla cattiva informazione da non sapere nemmeno che l’età del consenso, in Italia, è 14 anni e, quindi, se un/una cinquantenne ha una relazione con un/una quindicenne non si può muovere accusa di abuso su minore (16 in caso il/la maggiorenne sia un tutore o simile); si confonde l’abuso su minore con la violenza sessuale; si accusa di pedofilia un/una 16enne che ha una relazione con un/una 13enne (perfettamente legale); e peggio ancora (come racconta questo spettacolo) si equipara l’omosessualità con la pedofilia – fermo restando che se il protagonista fosse omosessuale e pedofilo non sarebbe contemporaneamente attratto da una dodicenne (femmina e già in fase puberale); ma soprattutto qualsiasi gesto affettuoso per un minore che non sia il proprio figlio (da notare il possessivo) è equiparato ad abuso: in ogni gesto si intravede la violenza forse perché è la nostra mente a esserne ormai intrisa.
Purtroppo ciò che domina è la paura. Ma paura di cosa?
Faccio un breve inciso personale. Quando ero bambina mi si insegnava che non dovevo scendere in cantina col marito della lattaia. I bambini più grandi erano responsabili dei più piccoli. Giocavamo in un cortile di una casa popolare negli anni di piombo con l’eroina che scorreva nelle strade. Eppure i nostri genitori non erano ossessionati dalla paura di ‘perderci’ per la semplice ragione che non eravamo ‘loro’, non gli appartenevamo, non avevano l’ossessione di doverci ‘difendere’ o che il mondo fosse talmente brutto da minacciarci (sebbene avessero vissuto la Seconda guerra mondiale o l’avessero vissuta i loro genitori), e soprattutto non eravamo uno dei gadget della loro vita perfetta, come l’auto o la casa al mare: eravamo ‘altro da loro’ e ci responsabilizzavano fin da piccoli perché fossimo in grado di cavarcela da soli e crescere camminando sulle nostre gambe, contando sui nostri amici e imparando dalle esperienze – positive o negative che fossero.
Lo spettacolo di Josep Maria Miró per la regia di Angelo Savelli parte dalla paura e alla paura approda, ponendo questioni etiche importanti ma come parte del fluire della narrazione e non in maniera pedagogica. Seduti come genitori di quei bambini forse ‘abusati’ ci viene chiesto se sia, ad esempio, lecito indagare sulla vita privata di un insegnante o di un allenatore; se scrivere frasi violente o accuse senza prove su un social (anche nel caso sia un gruppo privato) rientri nella libertà di parola o sia sinonimo di incitamento all’odio; se processare (o linciare) chi non è nemmeno stato ritenuto colpevole sia legittimo quando si tratti dei ‘propri’ figli (e il possessivo è un eterno ritorno); come può difendersi un adulto dalle accuse di un minore che, per antonomasia, è considerato ingenuo e testimonianza veritiera (nonostante qualsiasi psicologo o pedagogo sappia che questa è una banalità che non corrisponde al vero e, anzi, per il bambino mentire possa essere persino più facile e naturale in quanto può non comprendere le ricadute sugli altri delle proprie menzogne); se far intervenire le forze dell’ordine non sia già ammettere il crimine e consegnare un innocente – o un colpevole che sia – alle stesse non equivalga già a condannarlo di fronte all’opinione pubblica e a rovinargli la vita per sempre; e ancora, se un genitore debba colpevolizzarsi se un figlio si suicida, si perde o semplicemente sbaglia; e perché, ancora oggi, qualcuno pensi che se uno è omosessuale debba essere un pedofilo.
Il meccanismo del flash forward/flashback funziona così come la recitazione degli attori. La vicinanza del pubblico aumenta il coinvolgimento ma Miró e Savelli non calcano mai la mano: tutto ciò che va in scena risulta credibile, i personaggi sono complessi e ben caratterizzati – Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi, tutti in parte. Il finale aperto è esso stesso un atto d’accusa: con quali mezzi sarebbe stato possibile scoprire la verità?
L’unica risposta che ci viene in mente: col dialogo. Quello che manca da anni – come dimostrano le guerre che incendiano il mondo dalla prima invasione dell’Iraq in avanti. Manca a livello politico, ma anche sociale. Inviamo armi per portare la pace. Condanniamo chiunque senza prove. Un figlio, come il nostro status, deve essere intoccabile. Ma come potremo mai comprendere l’altro da noi se non gli offriamo nemmeno la nostra capacità di ascolto?
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro di Rifredi
via Vittorio Emanuele II, 303 – Firenze (FI)
domenica 3 aprile 2022, ore 16.30
Il principio di Archimede
di Josep Maria Miró
traduzione di Angelo Savelli con la collaborazione di Josep Anton Codina
regia Angelo Savelli
con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi
scene Federico Biancalani
luci Alfredo Piras
foto Pino Le Pera
venerdì, 22 aprile 2022
In copertina: Monica Bauco, Riccardo Naldini, Giiulio Maria Corso, SamueIe Picchi in Il principio di Archimede. Foto ©Pino le Pera (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Teatro di Rifredi).