Dal Dottor Stranamore ai ‘fuochi artificiali’ su Belgrado fino all’Ucraina
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Premessa. Il 24 marzo 1999, la Nato (senza alcuna approvazione da parte dell’Onu) fece partire il primo dei 2.300 attacchi aerei che distrussero “148 edifici, 62 ponti, danneggiarono 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, così come 176 monumenti di interesse culturale e artistico”, come denunciava il Primo Ministro serbo, Mirko Cvetković, in carica dal 2008 al 2012, in una sessione speciale del Governo dedicata alla memoria delle vittime dei bombardamenti Nato del 2010 (https://www.eastjournal.net/archives/16276). In quella missione Nato – di cui fece attivamente parte anche l’Italia – furono uccisi 2.500 civili, tra i quali 89 bambini. I feriti furono 12.500 e “in queste cifre non sono comprese le morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle radiazioni delle bombe a uranio impoverito” (di cui hanno fatto le spese anche alcuni militari italiani). I danni materiali (di cui non ci risulta si sia fatta carico la Nato) ammontarono a circa 30 miliardi di dollari.
Questo per spazzare via l’idea che la Nato agisca sempre e solo in difesa dei propri membri o su mandato Onu.
I danni collaterali tornano a sanguinare
23 anni dopo e con un certo numero di altri interventi Nato attuati nel frattempo (Repubblica del Congo, Etiopia ed Eritrea, Burundi, Ciad e Repubblica Centrafricana, Mali, Sudan, Liberia, Costa d’Avorio, Timor Est, Siria, Haiti, Libia, eccetera), e le invasioni – dettate dagli scopi geopolitici statunitensi – dell’Afghanistan (nel 2001) e dell’Iraq (nel 2003), la retorica dei massmedia, che ha per decenni ottenebrato le nostre menti convincendoci che le missioni di guerra fossero di pace, deve cambiare il proprio vocabolario.
Perseguendo, oggi, la propaganda dell’attaccato e non dell’attaccante, ha finalmente ricominciato a denominare i ‘danni collaterali’ vittime civili, scoprendo con disarmante naïveté come le bombe non siano mai ‘intelligenti’.
Ma per quanti anni abbiamo dormito come la Bella disneyana?
Ricordiamo, uno a caso, Maurizio Ricci che, su La Repubblica, così descriveva nel 1998 l’operazione statunitense Volpe del deserto in Iraq: “Già oggi, dovrebbero iniziare i raid aerei e il lancio delle ‘bombe intelligenti’, dotate di videocamera per essere guidate fino sull’obiettivo, ma sparate, in realtà , da una distanza di circa 40 miglia”. Alcuni anni prima, durante un’altra operazione militare – Desert Storm – la macchina da guerra della propaganda ci aveva già assuefatti a tali manipolazioni linguistiche. Come ricorderà, 25 anni dopo la prima guerra del Golfo, Vincenzo Leone (su https://www.vice.com/it/article/xw9wzj/bombe-intelligenti-guerra-golfo): “Potenti aerei che si alzano in cielo nella notte, carri armati a tutta velocità nel deserto, le immagini trasmesse dall’Iraq raccontavano di una guerra tecnologica, vinta sganciando bombe ‘intelligenti’. «Guidiamo il mondo nella tecnologia avanzata», disse allora il Segretario della Difesa americano Dick Cheney. E il banco di prova per testare questo progresso fu certamente quello della guerra, che divenne un’autocelebrazione patriottica”, regalata al mondo come un grande show con 900 ore di diretta televisiva (tenendo conto solamente della CNN). Ma nessuno allora pensò di oscurare la CNN o depennare Ernest Hemingway dal curriculum scolastico.
Il 31 agosto 2021, dopo vent’anni di guerra spacciata per esportazione di democrazia (ma, come scriveva l’artivista Giacomo Verde qualche anno fa: «nel momento in cui la imponi, non c’è più democrazia, è paradossale»), su La Stampa, Francesca Paci titolava: “Da Sumaya a Malika, ecco i volti dei ‘danni collaterali’ del conflitto in Afghanistan” e più oltre: “La casa di Ahmad è stata incenerita dai missili Usa a caccia di terroristi, una scena vista troppe volte da quando la guerra è asimmetrica e senza regole”. Per vent’anni abbiamo martoriato l’Afghanistan senza accorgercene, salvo poi scappare a ‘gambe levate’ abbandonando anche coloro che avevano collaborato con gli occidentali e, soprattutto, le giovani di Kabul che credevano di aver conquistato una parvenza di emancipazione.
Finché eravamo noi a sganciare bombe, la mistificazione era un diktat. Se si può riconoscere un ‘merito’ alla guerra tra Ucraina e Russia è di aver sdoganato nuovamente l’orrore: la guerra è “infamia, vergogna e dolore” (come diceva Sarah Bernhardt) e non esistono vittime di serie A e vittime di serie B.
Non c’è futuro senza memoria
Dopo l’intervista di Lilli Gruber e Oscar Giannini alla vice premier ucraina, Iryna Vereshchuk, si comprenderà forse un po’ meglio, in Italia, come le posizioni dei due contendenti siano agli antipodi.
Se per i russi occorre accettare l’indipendenza della Crimea e delle Repubbliche autonome del Donbass, rispettando la loro volontà referendaria (e del resto, se l’abbiamo rivendicata per l’ex Jugoslavia e per la stessa Ucraina dall’Urss, non si comprende perché non si dovrebbe fare altrettanto con queste entità territoriali, linguistiche e culturali, da sempre russofone); Vereshchuk porta avanti l’idea dell’unità e intangibilità dei confini nazionali.
D’altro canto se per quest’ultima la neutralità è quella che avevano rispettato e che rientrava negli accordi tra George Bush e Michail Gorbačëv del 1991 (come ricorda Sergio Romano nel suo saggio, In lode della guerra fredda. Una controstoria), quando il Presidente statunitense si impegnò affinché la Nato non si estendesse oltre quella che era stata la cosiddetta Cortina di Ferro – ma che pare ormai un pio desiderio; per i russi – dopo aver visto l’adesione alla Nato di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria – la dichiarazione del 23 febbraio scorso del Presidente ucraino Zelens’kyj che il suo Paese sarebbe entrato nella Nato, può essere sembrata come un’effettiva dichiarazione di guerra. Perché? Quello che a volte non si comprende è che se l’Ucraina, come membro della Nato, ospitasse missili Tomahawk, sarebbe in grado di colpire (anche per un errore o un disguido tecnico) Mosca in soli 30 secondi: il che significherebbe innescare una guerra nucleare mondiale, indipendentemente dalla volontà dei contendenti. Nessuna potenza atomica può permettersi (come non lo permise Kennedy nell’ottobre del 1962 a Cuba) di sentirsi minacciata così da vicino – perché un errore basterebbe a innescare la miccia delle reazioni a catena.
In questo quadro come si sono comportati Europa e Stati Uniti? A parte aver avallato il colpo di Stato del 2014 in Ucraina (vi rimandiamo a: https://lists.peacelink.it/pace/2022/01/msg00013.html) e non aver compreso o aver volontariamente ignorato quanto accadeva in Crimea e Donbass, pare si siano essenzialmente crogiolati nell’idea o abbiano lavorato dietro le quinte affinché anche l’Ucraina si spostasse a Ovest. Ma di quale Ucraina stiamo parlando?
Innanzi tutto di un Paese dove è stata bandita la lingua russa ed è stato proibito il Partito Comunista. Un Paese dove l’ideologia nazista ha piantato radici profonde, come dimostrano i fatti di Odessa del 2014, quando un gruppo di manifestanti filo-russi fuggì dalla rappresaglia sanguinosa dei neo-nazisti, riparando nel palazzo dei sindacati, che fu dato alle fiamme dagli stessi neo-nazisti. Questi ultimi, non contenti, impedirono ai pompieri di accedere e lasciarono morire tra le fiamme 48 persone (secondo altre fonti i morti sarebbero stati 150 e alcune centinaia i feriti), ovviamente tutte di etnia russa sebbene di nazionalità ucraina. In Ucraina agisce, non a caso, il reggimento Azov, parte integrante della Guardia nazionale dell’Ucraina, che ha per simbolo un mix tra Wolfsangel e Schwarze Sonne, entrambi emblemi tristemente noti dell’iconografia del Terzo Reich. Come denunciato dall’Osce (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che era presente in Donbass per controllare il rispetto del cessate il fuoco tra indipendentisti ed esercito ucraino), il battaglione Azov sarebbe responsabile dell’uccisione di massa di prigionieri, occultamento di cadaveri in fosse comuni e di tortura fisica e psicologica.
Entrando nel merito delle auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, nel 2017 Yury Vorobyov, allora vicepresidente del Consiglio Federale russo, affermava che in tre anni (ossia da quando era iniziato il conflitto nel Donbass), circa 2 milioni e mezzo di ucraini (per nazionalità ma russi di etnia) avrebbero trovato rifugio a Mosca e nelle città limitrofe – spinti dalle continue rappresaglie di Kiev e del suo esercito.
L’Ucraina ospiterebbe altresì (secondo varie fonti stampa): “laboratori batteriologici statunitensi che gli Usa avevano ‘esternalizzato’ in Ucraina da più di dieci anni. Laboratori con agenti molto pericolosi che adesso pongono due seri problemi”. La Reuters scrive addirittura che l’Oms avrebbe “collaborato per diversi anni con i laboratori ucraini per promuovere pratiche di sicurezza mirate a prevenire «il rilascio accidentale o deliberato di agenti patogeni»”. Teniamo a precisare che il Presidente Zelens’kyj nega: «Siamo gente normale. Sono il presidente di gente normale… E non stiamo sviluppando sulla nostra terra nessuna arma chimica, o qualsiasi altra arma di distruzione di massa». L’influenza statunitense, aldilà dei laboratori – che esistano o meno – è comunque un fatto indubitabile. Nel 2014, gli Stati Uniti, nella persona del Segretario di Stato John Kerry, durante l’amministrazione Obama, sostenevano l’adesione alla Nato di Moldavia, Georgia e della stessa Ucraina; mentre, durante il golpe, è provato che l’allora direttore della Cia, John Brennan, fosse a Kiev. E del resto, i democratici – la storia insegna – non sono mai stati più ‘pacifisti’ dei repubblicani. A parte ciò, nell’aprile del 2014, la Burisma Holdings, ossia la maggiore compagnia energetica dell’Ucraina, assumeva quale consulente Hunter Biden, figlio dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, allora vice di Obama. Sorvolando sulla scarsa trasparenza di alcune aziende ucraine, quello che ha lasciato interdetti persino gli statunitensi quando Biden è sceso in campo per la Presidenza è che, proprio in quel torno di tempo, il vice-presidente avesse sostenuto attivamente l’idea di Kiev di riconquistare il Donbass. Perché? Una possibile risposta è che la zona di Donespt sarebbe ricca di giacimenti di gas tuttora inesplorati e, quindi, molto appetibili per la Burisma Holdings. L’intera faccenda (considerata quasi uno scandalo negli States) è da anni di dominio pubblico e riportata da numeri mezzi stampa.
Infine parliamo di un’Ucraina in grave crisi economica da ben oltre un decennio, afflitta da una corruzione endemica e incapace di trasformare le ricchezze minerarie e agricole in attività redditizie. Dal punto di vista finanziario la Banca centrale avrebbe, “sino alla fine del 2013, prosciugato le riserve per cercare di mantenere una parità surreale sia con il dollaro, sia con l’euro” (https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/2-non-categorizzato/1419-lucraina-tra-est-e-ovest). Questa sarebbe stata una tra le cause della successiva crisi anche politica e avrebbe condotto alla decisione dello Stato “di ritardare il pagamento delle pensioni” e di imporre “a molti impiegati statali le ferie forzate non pagate”. L’adesione all’Unione Europea, in quel 2013, fallì proprio perché (come racconta Stefano Spoltore nel succitato saggio) l’Ucraina aveva un disperato bisogno di liquidità (ben 15 miliardi di dollari) a cui l’Europa rispose proponendo un misero miliardo, mentre Mosca offrì l’intera somma “e un forte ulteriore sconto sul prezzo del gas rispetto a quello già in essere”.
Dalla retorica massmediatica alla censura di stampa
Perché raccontarvi tutto questo? Semplicemente per capire che i torti non partengono mai a una sola parte e che se si vuole riconquistare la pace, occorrerà imparare nuovamente a dialogare – il che comporta il rispetto di tutti i contendenti e la comprensione di tutte le ragioni.
Ma come si può comprendere ciò che non si conosce? Dopo l’oscuramento dei mezzi di informazione Sputnik e Russia Today, dopo la caccia alle streghe nei confronti di direttori d’orchestra e cantanti, librai e cultori di Dostoevskij, l’asservimento a una narrazione unidirezionale (a cui gli italiani si sono del resto abituati dai tempi della guerra al virus, ‘nemico intelligente’), ecco che anche quotidiani storici e controcorrente come Il Manifesto – fondato nel 1969 come rivista politica mensile da Lucio Magri e Rossana Rossanda – si dimostrano ‘più realisti del re’.
E così una testata giornalistica si trasforma in censore (nel vero senso della parola: cancellando dalla rete la precedente pubblicazione) o nell’algoritmo di Zuckerberg (che potremmo definire, traslando per ‘simpatia’, in ‘oligarca’ a stelle e strisce). Il Manifesto decide, infatti, di impedire ai suoi lettori di leggere un articolo di Manlio Dinucci – ripubblicato da: https://r2020.info/2022/03/10/il-manifesto-censura-dinucci-ucraina/.
Ma cosa avrà mai scritto il collega di così ‘pericoloso’ per i lettori che, sebbene ‘maggiorenni e vaccinati’, è consigliabile non leggano in quanto non sarebbero in grado di comprenderlo – magari per formarsi un’opinione indipendente?
Dinucci accusa la Rand Corporation, “che si autodefinisce «organizzazione nonprofit e nonpartisan»” ma “è ufficialmente finanziata dal Pentagono, dall’Esercito e l’Aeronautica Usa, dalle Agenzie di sicurezza nazionale (Cia e altre)”, di aver elaborato nel 2019 un piano per… ‘abbattere il tiranno’ (e qui utilizziamo, noi, una frase molto amata dalla stampa e da politici di varia provenienza per definire Vladimir Putin, il Presidente russo democraticamente eletto).
Nel modello elaborato dalla Rand Corp. occorrerebbe “schierare in Europa nuovi missili nucleari a raggio intermedio puntati sulla Russia” – leggendo ciò, sorge il dubbio che abbiano ragione i russi a dubitare che l’Ucraina rimarrebbe neutrale. Mentre gli Usa, ma anche i loro alleati, “dovranno investire grosse risorse [per il settore militare] sottraendole ad altri scopi”. E guarda caso il 16 marzo 2022 – in piena crisi economica e con le famiglie e le imprese gravate dagli aumenti di gas ed elettricità – la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo italiano ad aumentare gli stanziamenti per le spese relative alla Difesa fino al 2% del Pil.
Non informare è paragonabile a disinformare?
Sì perché, leggendo l’articolo, sorgono ulteriori dubbi. Sembrerebbe che la Rand Corp. inviti ad armare “l’Ucraina in modo «calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio»” e, ancora, affermi che “si deve attaccare la Russia sul lato più vulnerabile, quello della sua economia fortemente dipendente dall’export di gas e petrolio: a tale scopo vanno usate le sanzioni commerciali e finanziarie e, allo stesso tempo, si deve far sì che l’Europa diminuisca l’importazione di gas naturale russo, sostituendolo con gas naturale liquefatto statunitense”. Esattamente quanto sta accadendo: con il Nord Stream 2 congelato, il caro bollette e gli europei che sono costretti a comperare gas di scisto (ossia da fratturazione idraulica) – altamente inquinante, pericoloso e più caro – dagli Usa. Viene alla mente Enrico Mattei, l’uomo che tentò di rendere l’Italia indipendente a livello energetico e l’inchiesta del sostituto procuratore Vincenzo Calia che fece una ricostruzione storica quanto mai attendibile che proverebbe come l’aereo di Mattei fu abbattuto grazie a una piccola carica di esplosivo perché lo stesso voleva proseguire con la sua linea politico-strategica che rendeva l’Italia indipendente dall’influenza degli ingombranti States (ricostruzione avallata dalla Corte d’Assise di Palermo che, nella sentenza del 2011, relativa al rapimento di De Mauro, la considerò attendibile e supportata «da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico-scientifiche»). Peccato che in Italia pochi siano stati gli statisti che hanno anteposto gli interessi dei loro elettori a quelli delle holding e del potere politico statunitensi.
La censura e la narrazione unidirezionale sicuramente saranno utili ai poteri forti e alla guerra, non certamente ai popoli e alla pace.
* In italiano il titolo completo del film di Stanley Kubrick era Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba
venerdì, 18 marzo 2022
In copertina: L’allargamento della Nato, fonte North Atlantic Treaty Organization (NATO) – si noti quali Stati sono segnalati tra i potenziali futuri membri.