Dopo tante vicissitudini 163 anni fa debuttava Un Ballo in maschera
di Francesca Camponero
Il 17 febbraio 1859 al Teatro Apollo di Roma debutta Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma. Un’opera scritta da un uomo oramai maturo. Verdi infatti dal 1851 ha alle spalle una vita piena come altrettanto piena è la sua carriera: nel 1852 fu insignito della Legione d’onore; nel 1853 era uscita la sua trilogia popolare formata da Il Trovatore, La Traviata e Rigoletto; nel 1855 all’Opera di Parigi aveva debuttato I Vespri Siciliani; nel 1856 era stato addirittura ospite di Napoleone III; nel 1857 erano uscite Simon Boccanegra e Aroldo e il 29 agosto 1859 il compositore, in forma privatissima, aveva sposato la compagna Giuseppina Strepponi.
Il 1858/59 sono stati gli anni in cui Verdi era in crisi con il teatro italiano e in cui si svolgeva la campagna risorgimentale, campagna che lui abbracciò fino ai Moti di Milano del ʻ48, ma che poi abbandonò tanto da mandare una lettera, pochissimo conosciuta e diffusa, scritta il 16 giugno 1867 (quindi sette anni dopo l’Unità d’Italia) all’onorevole Opprandino Arrivabene che diceva così: «Cosa fanno i nostri uomini di Stato? Coglionerie sopra coglionerie! Ci vuol altro che mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la condizione dei poveri. Quando i padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far più lavorare, allora moriremo tutti di fame. Cosa singolare! Quando l’Italia era divisa in tanti piccoli Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! Ora che tutti siamo uniti, siamo rovinati. Ma dove sono le ricchezze d’una volta? Addio, addio».
Ciò non toglie che il Risorgimento costituì l’humus da cui il compositore di Busseto trasse ispirazione per le pagine corali di Nabucco, Attila, Macbeth, dove espresse il suo amor patrio e il dolore per un popolo oppresso e asservito.
Ma tornando a Un Ballo in Maschera va evidenziato che quest’opera che nacque bene, fu subito intralciata dalla censura. Tratta da Gustave III ou Le bal masqué di Eugène Scribe nasce a Napoli col titolo appunto di Gustavo III, re di Stoccolma, poi diventa Una vendetta in domino ed è ambientata in Pomerania, poi ancora diventa Adelia degli Adimari, ambientata a Firenze e ritorna a essere Gustavo III per la rappresentazione a Roma. Ma non essendo stato accettabile il discorso del re, andrà in scena col titolo Un ballo in maschera, subendo un nuovo spostamento logistico dalla Svezia all’America del Nord, a Boston.
Questo perché tutte le volte che doveva passare attraverso la ferrea censura del tempo era oggetto di uno snervante braccio di ferro, snervante almeno per i protagonisti – sia quelli in prima linea come Verdi e Somma, sia quelli di contorno, impresari e faccendieri che prima a Napoli e poi a Roma si prodigarono per far sì che l’opera potesse arrivare in teatro.
Per Napoli in realtà Verdi voleva mettere in musica un’opera su Re Lear, ma nel 1857 cambia idea e decide di musicare il lavoro diScribes, Gustavo III. Somma che, come sappiamo, lavorerà al libretto, preferisce mantenere l’anonimato perché intuisce le difficoltà che ci sarebbero state con la censura per un fatto realmente successo nel periodo della Rivoluzione francese. La censura napoletana, in effetti, chiede 7 cambiamenti alla prima stesura dell’opera: personaggio, regione, amore (che deve contenere rimorso), nessuna arma da fuoco, la strega non deve essere natia di Paesi cristiani e non ci deve essere alcun riferimento a fatti storici. Ma a questo punto, come fece notare il compositore: “manca colore nella mia tavolozza”. Tolto il colore il quadro non funziona più.
Quando Verdi da Busseto va a Genova per imbarcarsi per Napoli, a metterglisi contro anche l’attentato a Napoleone III (a opera di Orsini). L’evento scuote l’opinione pubblica e la censura si fa più rigorosa. Verdi arriva a Napoli nel momento peggiore: consegna il nuovo libretto, Vendetta in domino, che viene bocciato. Con l’aiuto dell’avvocato Arpinovince la causa contro il teatro, ma l’opera rimane per aria. A quel punto chiama l’impresario del Teatro Apollo di Roma, Jacovacci, e si accorda per un tentativo di messa in scena di Gustavo III. Il re diventa duca, ma si chiama ancora Gustavo, e ci si sposta in Prussia (nella seconda metà del XVII secolo). Qui la censura è flessibile ma, come abbiamo già accennato, non accetta il discorso del re. Finalmente dopo tanti tormenti andrà in scena col titolo definitivo, Un ballo in maschera, esattamente 163 anni fa.
Tutti i personaggi sono cambiati e Verdi è di nuovo indignato. Gustavo diventa Riccardo, governatore di Boston, ma per la ritmica rimane Conte. Da un punto di vista stilistico non c’è alcuna ricerca da parte di Verdi del colore locale, come fu in Aida o Otello. Ballo in maschera è un’opera sui generis. Il suo interesse se mai è volto alla corte francese. Verdi non voleva sentirsi imbrigliato. La sua musica attraversa indenne tutti i cambi di secolo e ambientazioni. Ballo vive in un mondo proprio.
Il Ballo è l’ultima opera che scriverà per un teatro italiano. È un’opera di confine, che va inserita alla fine della prima metà della vita di Verdi. Poi scriverà opere solo per teatri stranieri. Questo è il Verdi dell’Italia preunitaria. “Brio e patetico” è la ricetta che ci dà e che mette in atto in Un ballo in maschera. Il clima della corte è leggero e stride con l’esito della vicenda. E malgrado gli venga richiesto di rinunciare alla frivolezza, alla gioia di vivere, lui rifiuterà. Nel concepire il clima gaudente da esteta, che è il grande clima in cui è calato Un ballo in maschera, ha un riferimento: Parigi. Lì ha vissuto gli anni ʻ40 e ʻ50. In Un Ballo in maschera si sente l’aria parigina soprattutto da un punto di vista musicale. Il modello della corte è quello della Corte di Re Sole. L’aria musicale presenta un aggiornamento rispetto a Traviata. Le danze all’interno sono quelle del ballo più popolare ai tempi: il galoppe, ovvero il can can (e gioia di vivere).
Verdi in questa straordinaria opera ha colto nel soggetto di Scribes e Obert l’occasione per mettere in scena quello che gli piaceva: il tragico-grottesco. È molto sicuro di sé in questo lavoro e il successo dell’opera sta proprio qui. Ogni sua scelta stilistica gli darà ragione. Così vicina alla perfezione, sia formale sia nell’equilibrio delle idee, è stata quella che ha retto meglio il palcoscenico.
venerdì, 18 febbraio 2022
In copertina: Registrazione della versione diretta da Claudio Abbado con Placido Domingo per la Deutsche Grammophone.