I dubbi restano
di Luciano Uggè
Il 14 novembre 1974, a meno di un anno dal suo omicidio, Pier Paolo Pasolini scriveva sul Corriere della Sera:
“Io so. […]
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. […]
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ‘68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del ‘referendum’.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). […]
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale”.
Idroscalo di Ostia, ore 6.30 del 2 novembre 1975. Il corpo di Pier Paolo Pasolini viene ritrovato massacrato fino al punto da essere irriconoscibile. A ucciderlo, come da sentenza definitiva, Giuseppe Pelosi, diciassettenne all’epoca dei fatti che, dopo un alterco a causa di una prestazione sessuale ‘non gradita’, lo avrebbe colpito – per difendersi da una bastonata – con un’insegna fradicia (recante la scritta via dell’Idroscalo 93) e poi, scappando via con l’autovettura dell’intellettuale, lo avrebbe investito involontariamente. Pelosi, reo confesso per omicidio colposo, è condannato il 26 aprile 1976 “a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni e a 30.000 lire di multa per atti osceni, furto aggravato e «omicidio volontario in concorso con ignoti»”. Dall’appello (1-4 dicembre dello spesso anno) esce assolto dai reati di atti osceni e furto. Condannato nuovamente per omicidio ma senza il concorso di altri, in quanto: “appare «estremamente improbabile, per tutte le cose dette, che Pelosi possa avere avuto uno o più complici»”. Si liquida il fatto come lite degenerata, ‘comune’ nell’ambiente della prostituzione omosessuale. L’ultimo atto dell’iter procedurale è la sentenza della Corte di Cassazione – del 26 aprile 1979 – che conferma la sentenza d’appello. Il 26 novembre 1982 Pelosi ottiene la semilibertà e il 18 luglio dell’anno successivo la libertà condizionata.
Lo strascico mediatico è del 2005, quando Pelosi dichiara in televisione di essere innocente e cerca di coinvolgere alcuni membri di una banda siciliana. Nel 2011 esce la sua biografia, in cui ribadisce la tesi di essere stato terrorizzato e, per questo, essersi auto-accusato del crimine non commesso. Completamente screditato, la sua presunta innocenza o colpevolezza, in realtà, non interessa più nessuno: la pietra tombale su Pasolini è stata messa nel ʻ75 e nel modo più bieco: distruggendo la sua reputazione con un affaire di prostituzione e omosessualità (il Partito Comunista lo aveva già espulso nel 1949 dopo i cosiddetti ‘fatti di Ramuscello’ [1]).
Dacia Maraini e i dubbi della perizia del ‘75
L’anno scorso è stata Dacia Maraini, scrittrice e amica di Pasolini, a chiedere che fosse riaperta l’inchiesta sul suo omicidio: “Adesso ci sono strumenti tecnologici avanzati, rispetto a 50 anni fa. Si potrebbero ingrandire segni anche molto piccoli, o macchie di sangue non viste. Perché certamente non è stato Pelosi a uccidere Pier Paolo ma un gruppo di persone, questo sembra certo. Ma chi erano non lo sappiamo”.
In realtà sarebbe bastato leggere la perizia del professor Faustino Durante per stabilire inequivocabilmente che più persone parteciparono all’omicidio e allo scempio del corpo di Pasolini.
Già il 21 novembre 1975, L’Europeo pubblicava una contro-inchiesta mettendo in dubbio la ricostruzione ufficiale che indicava Pino Pelosi quale unico colpevole. Un dato emergeva fin da subito ed era il fatto che Pelosi apparisse abbastanza esile, così come friabile era l’insegna con la quale avrebbe colpito Pasolini.
Leggendo nel dettaglio alcuni particolari della perizia medico legale del professor Faustino Durante [2], il quadro si chiarifica sempre più e, alla fine, non restano dubbi. Innanzi tutto, il corpo di Pasolini ha subito un autentico scempio: “10 fratture costali, lo scoppio del cuore, e due lacerazioni del fegato” oltre alla “frattura sternale”, e più oltre si nota l’“imponenza del quadro lesivo interno rappresentato da fratture ossee e rotture viscerali”. Pasolini è stato investito e sormontato dalla sua vettura (il che renderebbe chiunque guidasse ben conscio di averlo ucciso). Sull’ipotesi che a ucciderlo fossero più persone, gli elementi a favore sono principalmente due: i mezzi lesivi furono addirittura quattro – maneggiati da un unico individuo sarebbe ridicolo – (un paletto di 40,5 cm, uno di 58 cm, una tavoletta di legno con la dicitura Buttinelli A. e un’altra con la scritta via Idroscalo 93) – tutti macchiati e alcuni addirittura imbrattati dal sangue (e del cuoio capelluto) di Pasolini. Secondo, nonostante l’abbondante emorragia dovuta ai colpi inferti al capo di Pasolini, “nessun indumento di Pelosi – tranne il polsino sinistro della maglia e il fondo della gamba destra dei pantaloni di cui sopra – presenta residui ematici del sangue di Pasolini”.
Potremmo aggiungere che Pasolini fu probabilmente aggredito a circa 70 metri dal luogo ove fu rinvenuto il suo cadavere, laddove fu trovata la sua camicia – con la quale aveva probabilmente tentato di tamponare l’emorragia al capo – e fu utilizzato probabilmente un quinto mezzo contusivo in grado di provocare simili ferite.
Se questo fosse CSI il cadavere di Pasolini ci avrebbe consegnato se non i nomi di mandanti ed esecutori, almeno un’incontrovertibile verità giudiziaria. Invece le sentenze di appello e cassazione hanno (volutamente?) affossato ogni possibilità di procedere con ulteriori indagini. Il fatto che la famiglia di Pasolini non sia andata avanti pretendendo verità e giustizia, come parte civile, può avere contribuito a far scrivere quella sentenza d’appello? Certamente le conclusioni lasciano allibiti: “Un primo punto è certo, ed è che non può assolutamente essere condivisa, e anzi deve essere considerata ingiustificata alla luce di una più approfondita e completa analisi dei fatti, la sicurezza con cui il giudice di primo grado ha affermato l’esistenza del concorso di persone. Non esiste infatti alcuna prova fisica della presenza di terzi sul luogo del delitto: ma non esiste neppure quella molteplicità di indizi seri e concordanti, per la quale i singoli elementi, pur se dubbi o insufficienti ove presi singolarmente, acquisterebbero forza probante proprio in virtù della loro coesistenza”.
Fantastoria: da Mattei a Pasolini passando per De Mauro
In questi anni sono usciti diversi libri e inchieste che collegano l’omicidio di Pasolini con la morte del Presidente dell’Eni e, quest’ultima, con quella del giornalista Mauro De Mauro, rapito nel ‘70 e il cui corpo non è più stato ritrovato. Nell’inchiesta portata avanti dal sostituto procuratore Vincenzo Calia (tra il 1994 e il 2003) emergeva già una ricostruzione storica quanto mai attendibile e che proverebbe come l’aereo di Mattei fu abbattuto grazie a una piccola carica di esplosivo perché lo stesso voleva proseguire con la sua linea politico-strategica che rendeva di fatto l’Italia indipendente dall’influenza degli ingombranti Stati Uniti e, anzi, addirittura concorrenziale – dato che l’Eni offriva contratti molto più equi ai cosiddetti Paesi del ‘Terzo Mondo’ (ma ricchi di petrolio) rispetto a quelli dello zio Sam. Indirettamente tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte d’Assise di Palermo che, nella sentenza del 2011, relativa al rapimento di De Mauro, la considerarono attendibile e supportata «da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico-scientifiche».
De Mauro sarebbe stato fatto, quindi, sparire perché stava indagando sulla morte di Mattei – come da testimonianze di numerosi pentiti di Cosa Nostra, quali Tommaso Buscetta.
E Pasolini cosa c’entrerebbe? La spiegazione sarebbe il suo ultimo libro, Petrolio? Probabilmente non lo sapremo mai. Ma il nome di un ‘potente’ emergerebbe chiaramente ed è quello di Eugenio Cefis che, da braccio destro di Mattei, si ritrovò spodestato perché l’allora Presidente dell’Eni avrebbe scoperto che intratteneva rapporti con la Cia. Ancora una volta è stata l’inchiesta del pm Calia a ricollegare i puntini e il comportamento di Cefis che, eletto Presidente dell’Eni nel 1967, tornò a tessere rapporti di sudditanza con le Sette Sorelle e ad accettare la dipendenza energica del nostro Paese dimostrerebbero, almeno, che un uomo a volte può fare la differenze e, in Italia, chi lavora per il benessere degli italiani e non per favorire gli interessi sovranazionali non ha spazi di manovra e rischia di suo. Ieri come oggi l’Italia deve restare in balia degli States e delle sue risorse energetiche.
E chiudiamo con due consigli di lettura, visto anche che Pasolini era uno scrittore. Il primo, pubblicato nel 2009, è Profondo nero. Mattei. De Mauro, Pasolini. Un’unica pista all’origine delle stragi di Stato, di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Chiarelettere, 2019). Il secondo, scritto dal pm Vincenzo Calia e da Sabrina Pisu, è Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del Presidente dell’Eni (hoepli.it).
L’ultima intervista a PPP
Furio Colombo il 1° novembre 1975 intervistò Pasolini, poche ore prima del suo omicidio. Di quell’intervista riportiamo una risposta che ci pare davvero lungimirante: “Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono”.
Una posizione molto vicina a quella espressa da Noam Chomsky: “I cittadini delle società democratiche dovrebbero seguire un corso di autodifesa intellettuale per evitare la manipolazione e il controllo”.
Non sappiamo chi fece uccidere e chi materialmente uccise Pier Paolo Pasolini. Immaginiamo i perché. Ciò che però nessuno può cancellare è la portata delle sue parole, condivisibili o meno, ma sempre oneste e scomode – perché se un intellettuale diventa organico, perde la sua ragione d’essere.
SPECIALE – sabato, 5 marzo 2022
In copertina: Foto di Djedj da Pixabay / Nel pezzo: immagine di repertorio del corpo di Pasolini da Wikipedia.
[1] Pur non trovandosi traccia documentale dell’espulsione di Pasolini negli archivi del Partito Comunista Italiano, il 26 ottobre del 1949 la Federazione del PCI di Pordenone – con segretario Antonino Scaini – decise tale provvedimento per ‘indegnità morale’, pubblicandolo sull’Unità. Nello specifico, il 29 agosto 1949, mentre partecipava a una sagra a Ramuscello, Pasolini (27enne all’epoca dei fatti) intrattenne un rapporto omoerotico con uno o più minori – regalando 10 Lire e dolci. Dopo una mediazione stragiudiziale (avendo la famiglia di Pasolini offerto un risarcimento economico ai ragazzi coinvolti nei fatti), si stralciò l’accusa di corruzione di minori – per mancanza di denuncia – e si proseguì il processo per atti osceni in luogo pubblico. Colpevole in primo grado; in appello – dopo aver stabilito che il prato era effettivamente proprietà privata e non visibile di notte – Pasolini fu assolto. Con le attuali leggi in materia, avendo offerto dolci e soldi (e configurandosi la prostituzione minorile), Pasolini rischierebbe “la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro a 1.500 a euro 6.000”. Al contrario, il sesso consensuale tra un adulto e un minore – avente tra i 14 e i 18 anni – non è considerato reato.
[2] Per l’intera perizia medico legale sul corpo di Pier Paolo Pasolini: http://pasolini2000.blogspot.com/p/perizia-medico-legale-sul-corpo-di.html