Pil, inflazione, crisi, licenziamenti e guerra: Buon 1° Maggio!
di Luciano Uggè
I primi quattro mesi del 2022, che ci hanno condotti alla Festa dei Lavoratori (e non del Lavoro, come negli States), non pare siano stati tra i migliori auspicabili. Toccherà fare un breve riepilogo per arrivare al punto della situazione.
I record non sempre sono in positivo, lo dimostra il debito pubblico italiano che, nel 2021, avrebbe toccato i 2.569 miliardi di euro, con un rapporto debito/Pil al 156,3% – tornando addirittura ai pessimi risultati del 1919/20. Un debito che, tra il 2015 e il 2019, era aumentato di oltre 170 miliardi in quattro anni ma già nel 2020, in soli 12 mesi, era riuscito ad appesantirsi di altri 160 miliardi circa in uno solo.
Passando ai Titoli di Stato, abbiamo emesso 318 miliardi di titoli a medio-lungo termine, oltre a 160 miliardi di Bot (l’anno scorso avevamo toccato, rispettivamente, quota 369 e 182 miliardi). I debiti, si sa, vanno pagati con gli interessi e sappiamo come sono finiti alcuni Paesi latinoamericani e anche europei a causa della crisi del debito. Per non scrivere del PNRR, che ci toccherà ripagare anch’esso con tanto di interessi (e che, il caso della base militare di Coltano dimostra, non sembra si voglia usare per la transizione ecologica bensì per ulteriori, inutili spese militari).
Concentrandoci sul Pil, l’Italia non è mai tornata ai livelli del 2008 e non sarà un caso se, anche a causa dell’improvvisazione e impreparazione nell’affrontare un’epidemia virale, nel 2019 registravamo un -8,9% (a fronte della media mondiale di un -6% circa).
Su italiaindati.com apprendiamo che questo trend non svanirà – come ci illudevano i politici con la fine della pandemia. Nel 2050, in termini di Pil a parità di potere di acquisto, si prevede che, mentre gli Usa, ad esempio, “che sono attualmente al 2° posto dopo la Cina, scivoleranno al 3° posto, cedendo il posto all’India”, e la Germania e il Regno Unito passeranno al 9° e al 10° posto, sarà l’Italia a vedersela peggio, rotolando dall’11° posto del 2016 al 22°, superata da Vietnam, Filippine e persino Nigeria – il che significa, forse, che saremo noi a breve a bussare ai cancelli dorati dell’Africa.
Aumenti energetici e tasse sospese
Il tasso d’inflazione annuo è passato dal 5,9% di febbraio al 7,5% di marzo, in una stima flash di EuroStat; mentre Standard & Poors sempre a marzo ha tagliato le stime di crescita 2022 per l’Eurozona di 1,1 punti abbassandole al 3,3% – ma il protrarsi della guerra farà strage di aziende, visto l’aumento del costo dei prodotti per il caro energetico e delle materie prime e la diminuzione dei mercati di vendita (pensiamo solo alla cantieristica italiana).
L’aumento del costo dell’energia, che non si ripercuote solamente sul caro bollette per le famiglie (che possono ringraziare un Governo incapace di prevedere i bisogni energetici invernali) ma anche sulle imprese – ben prima della guerra in Ucraina – era stato denunciato dalle associazioni padronali delle realtà produttive del Veneto, in un incontro tenutosi in tempi non sospetti, ossia il 30 novembre 2021. Gli imprenditori ventilavano già allora come lo stesso si sarebbe ripercosso negativamente sul manifatturiero, sulle piccole e medie imprese, sui laboratori artigianali – con una potenza installata superiore ai 15 kw. Le aziende prevedevano di dover far fronte sia a un aumento del prezzo del prodotto finito, che le avrebbe messe fuori mercato, sia a una minore liquidità.
A tutto ciò si aggiunge la crisi innescata dalla guerra in atto e dall’inasprimento delle sanzioni mai venute meno contro la Russia (e che mai hanno tenuto conto dei profughi del Donbass, che la Russia ha accolto tra il 2014 e il 2022). Il caro carburante ha colpito anche i trasporti su gomma – come dimostra l’appello dei primi di marzo, del presidente degli autotrasportatori, di fermare i camion «prima di fallire» – e i pescherecci italiani, che hanno proclamato un’intera settimana di sciopero a partire dal 6 marzo. Ma, vista la parca copertura mediatica, pochi italiani sembra se ne siano accorti. Un numero maggiore, al contrario, ossia gli imprenditori delle aziende (pari al 43% dei contribuenti) che non sono state in grado “di pagare le rate delle imposte pregresse e sospese a seguito della normativa emergenziale Covid-19” (come denuncia ItaliaOggi.it), dai primi di marzo si sono visti recapitare le ingiunzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate perché saldino il debito entro il termine di 5 giorni, senza dilazioni. “Andrà tutto bene” non lo recita più nessuno?
Del resto diventa sempre più difficile accorgersi di quanto sta accadendo perché sulla stampa “non solo non troverai opinioni, ma nemmeno notizie”. Questo lo scriveva Aldo Moro, nel suo memoriale dal covo delle Brigate rosse, nel 1978, e lo riporta il Direttore de L’Espresso, Marco Damilano, mentre spiega le ragioni delle sue dimissioni e della crisi del gruppo editoriale Gedi (di cui fa parte anche Repubblica). Meno voci si esprimono e più facile è controllarle – Moro docet.
Quando le cifre diventano persone
Il 2021 si è chiuso con due tavoli di crisi perfino nel settore della grande distribuzione alimentare che, sicuramente, è stato tra i meno colpiti dalla pandemia, dato che non ha mai subito lockdown. Eppure la Carrefour, a novembre, ha annunciato 261 esuberi in 27 ipermercati, 313 in 67 market, 168 in 10 Cash&Carry e 168 posti di lavoro in meno presso le sue sedi amministrative; mentre, il 30 dicembre 2021, molti giornali riferivano degli scontri tra lavoratori e polizia per il licenziamento di 41 precari della Brivio e Viganò Logistics – società appaltatrice del gruppo Unes, di fronte allo stabilimento di Vimodrone.
Il 2 gennaio apprendevamo dalla stampa economica che il 2022 si è inaugurato con 69 tavoli aperti presso il Ministero dello sviluppo economico (o della crisi economica?), che coinvolgono 80 mila lavoratori in vari settori; mentre nel Report di Euler Hermes (assicurazione che si occupa di transazioni commerciali) si legge che, in Italia, il numero delle aziende in crisi finanziaria nel 2021 ammontava a 10.500 ma, secondo le previsioni, nel 2022 raggiungeremo quota 12.000.
Nel comparto siderurgico, dal 28 marzo 3.000 lavoratori dell’ex Ilva sono in Cassa Integrazione Straordinaria per 12 mesi. 2.500 a Taranto e gli altri distribuiti nei vari stabilimenti. Oltre ad Acciaierie d’Italia, l’azienda con il maggior numero di dipendenti sotto osservazione al Mise è Iveco, con 8.000 assunti, e di seguito Abramo Customers, con sede in Calabria, un call center con 5.000 dipendenti.
Air Italy alla fine ha inviato le lettere di licenziamento con effetto immediato ai suoi 1.322 dipendenti, mentre la compagnia aerea finiva in liquidazione – e non scriviamo nulla sugli ammortizzatori sociali spesi negli ultimi quattro anni per un fallimento annunciato.
Anche il settore ospitalità non naviga in buone acque e i decreti dicembrini, oltre allo stop delle casse integrazioni, hanno avuto ricadute gravi sul comparto. Nella calza, la Befana ha ‘regalato’ il licenziamento a 164 dei 166 lavoratori dello Sheraton, e a 47 dipendenti del Majestic – sempre a Roma – chiuso, senza previsioni di riapertura. A causa dell’ostinata ma inefficace politica del green pass (siamo l’unico Paese in Europa a perseguirla) bisognerà vedere, a posteriori, quanto la stessa abbia inciso sulle entrate del settore per i ponti di Pasqua, 25 Aprile e 1° Maggio. Di certo, il Presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, che accusava ad aprile la guerra in Ucraina riguardo al taglio delle spese delle famiglie italiane nei settori turismo e cultura, forse dovrebbe valutare anche l’effetto GP, non solamente perché il perdurare del suo uso taglia una fetta di fruitori ma anche perché dà la sensazione, all’estero, che l’Italia non sia un Paese sicuro a livello epidemico. E non diciamo nulla di chi è ancora a casa senza stipendio, invece di lavorare nel settore sanitario e nelle RSA, o si deve sobbarcare il costo di due/tre tamponi settimanali.
Tra le altre realtà in crisi, lungo lo Stivale, si segnala che all’interporto di Bologna sono stati liquidati 90 facchini del magazzino Fedex/Tnt – via WhatsApp (forse è questo lo scopo della campagna di digitalizzazione?). Mentre il 23 gennaio si è conclusa la never ending story della Embraco, che lascia senza lavoro 377 persone, dopo la fallimentare proposta del Segretario del Pd, Enrico Letta, che aveva ‘tirato fuori dal cilindro’ una joint venture tra Ventures e Acc di Belluno.
Il 31 gennaio ci si è svegliati anche con una doccia fredda a livello di colossi energetici e Borsa: la Saipem, che fa parte del Gruppo Eni, prima, ha annunciato che il bilancio civilistico del 2021 sarebbe stato in perdita per oltre un terzo del capitale e, poi, ha visto i suoi titoli sospesi per eccesso di ribasso (con un -29,1%). La Borsa freme anche per i continui lockdown in Cina che, con la politica del contagio zero, sta affossando pure le nostre economie (visto che è da quel Paese che provengono componenti ormai indispensabili per la catena produttiva occidentale). Intanto il rublo è tornato a galoppare, mentre l’euro si sta affossando a livelli ridicoli: se la moneta unica non riesce a stare al passo con dollaro e sterlina, e nemmeno a contenere l’inflazione, a cosa serve?
La mancanza di rifornimenti di grano a causa della guerra tra Ucraina e Russia rende più difficili gli approvvigionamenti di grano tenero e duro per la nostra industria del pane e della pasta. Ovviamente grano e fertilizzanti se – a causa della guerra e delle sanzioni – possono diventare un problema per l’Europa, per l’Africa si può parlare di ennesima tragedia annunciata. Aumenti tra il 20 e il 40% dei prodotti agricoli e dei fertilizzanti possono affamare le popolazioni di interi Paesi, soprattutto nel Corno d’Africa (e poi non lamentiamoci se vengono a bussare ai cancelli d’Europa).
In questa situazione di grave crisi, l’Italia taglia di mezzo punto le spese della Sanità (eppure dovremmo ricordarci le terapie intensive traboccanti per gli errori di diagnosi e cura, ma anche per i tagli operati nel settore negli anni precedenti) e della Scuola per raggiungere quota 2% del Pil da destinare alle spese militari; mentre la piazza del 25 Aprile e l’Anpi di Milano confondono la Resistenza italiana della Seconda guerra mondiale con lo spregio per l’autodeterminazione del popolo del Donbass a favore di una unità territoriale per scopi geo-politici ed economici, e dimenticano altresì che l’Italia, nata da quella Resistenza, ha un articolo 11 che oggi, gli eredi dei partigiani milanesi, calpestano invece di difendere.
Noi continueremo a monitorare la situazione ben oltre il 1° Maggio, ma invitiamo i lavoratori di aziende in crisi a segnalarci le vertenze in atto.
venerdì, 29° aprile 2022
In copertina: Foto di Succo da Pixabay.