Non si vende il paradiso
di Fabio Giacomazzi
Petizione on line e manifestazione in piazza per impedire la vendita tramite asta pubblica di un terreno all’interno del Parco Naturale di Porto Venere, Sito Unesco e Sito di Interesse Comunitario.
Succede a Porto Venere e succede sulla Rete … quasi 4000 persone in pochi giorni hanno firmato l’appello su Change.org contro la vendita del terreno di 10.000 mq di proprietà comunale posto a ridosso di quello che siamo abituati a chiamare in modo un po’ sbrigativo ‘uno dei borghi più belli d’Italia’, ma che in questo caso travalica questa categoria per l’eccezionale valore paesaggistico, storico e naturale che racchiude.
Siamo a Porto Venere, in Liguria, nel Golfo della Spezia, a due passi dalle Cinque Terre.
Nel 1981 l’allora amministrazione acquisisce, dal fallimento di una ditta di estrazione del famoso Marmo Portoro, terreno e fabbricati posizionati sul crinale che unisce il cinquecentesco Castello Doria al Muzzerone, l’altura che domina il borgo e genera una falesia che interessa tutti i suoi 300 metri di sviluppo in verticale.
Tra le motivazioni espresse dal Consiglio Comunale degli anni Ottanta “l’esigenza della salvaguardia ambientale della zona unanimemente richiesta e poi plaudita dalle forze politiche, sociali e del nostro Comune e della Regione, sintomo del formarsi di una coscienza di valori della natura”.
Perché nel 2022 una Giunta comunale decide invece di disfarsi di un bene che allora pareva così strategico? Cosa è cambiato, al di là di eventuali piccoli ‘interessi di bottega’?
Che cosa muove invece un numero così alto di persone a sottoscrivere l’appello?
Esiste uno specifico di quel luogo? E quali considerazioni generali possiamo invece fare?
Partiamo dall’immagine e dal simbolo. Chi ha lanciato l’appello ha fatto leva su un elemento materiale molto specifico, quello che è stato definito il muro a secco ciclopico della Crocetta di Porto Venere. Su quel crinale roccioso, battuto da libeccio e maestrale, caratterizzato dalla presenza di poche specie vegetali resistenti al vento e all’estrema aridità (come l’Ampelodesma), gli antichi abitanti pensarono fosse vantaggioso investire una quota notevole di materiali e lavoro per costruire un imponente muraglione capace di proteggere gli ulivi piantati alle sue spalle. E per renderlo efficace e resistente gli diedero una forma che riducesse al minimo l’attrito con il vento, conferendo una curvatura sia orizzontale che verticale, frutto di un empirico studio aerodinamico.
Per funzione e tecnica costruttiva il muro è stato paragonato ai ‘giardini panteschi’ dell’isola di Pantelleria, e sembra rappresentare un unicum per questa parte d’Italia.
Oggi il muro risulta in parte monco per i danni subiti dal tempo, ma ha, se possibile, guadagnato in fascino di immagine per gli ulivi al suo interno le cui chiome, modellate dal vento, formano un tutt’uno con la parte costruita…
Il muro ciclopico e la sua immagine hanno sicuramente colpito l’interesse del ‘pubblico della rete’ e le foto con l’appello alla sua salvaguardia sono rimbalzate sulla rete, tra like e condivisioni. Accompagnate ovviamente anche dall’immagine del suo contesto, ovvero da quella vista prodigiosa che si gode da quel punto, un’inquadratura che mette assieme le mura possenti del Castello, la parete rocciosa sopra la Grotta Arpaia, il promontorio di San Pietro con la sua chiesetta all’apice e alle spalle l’ubertosa isola Palmaria.
Troppo bello per essere privatizzato? Un bene comune da preservare? Un simbolo della bellezza del Golfo, della Liguria, del mondo intero, da mantenere sotto il più stretto controllo pubblico?
Oppure – o anche – l’emblema di un mondo dove questo valore paesaggistico valeva meno di una qualche decina di olivi per la difesa della cui produzione ci si spaccava la schiena e la mente per costruire un muro di dimensioni e forme mai viste? Testimonianza quindi dell’opera e dell’ingegno di quelle popolazioni che avevano vissuto i luoghi con quella spontaneità a noi ormai preclusa?
Tanti altri valori potremmo aggiungere, da quelli naturali (vegetazione mediterranea) a quelli antropici (ad esempio, l’affascinante testimonianza delle antiche attività di cava), ma quelli espressi già da soli bastano …
Perché oggi un’amministrazione eletta, quindi dotata di consenso, ritiene lecito vendere al privato un terreno (con annesso fabbricato di 100 mq per 300 mc di volume) che possiede quelle caratteristiche? A quale logica risponde? Quali impostazioni di governo e di gestione del territorio attua?
La vendita ai privati del patrimonio pubblico deriva da una parte dall’incapacità di essere gestito in forma efficace, dall’altra dall’idea che il mercato sia capace di generare le uniche forme possibili di gestione ‘sostenibili’ economicamente. La parola magica in questo caso è ‘valorizzare’, ed il valore che viene riconosciuto è solo quello economico, non solo come forma di speculazione che il capitale può realizzare, ma anche per la possibile ricaduta sul piano dell’occupazione.
La seconda parola magica è, quindi, ‘mercato’, per cui ogni componente del territorio da gestire ha valore che dipende essenzialmente dalla capacità di creare investimento, di essere in qualche modo venduto…
A Porto Venere questo lo si è visto applicato come metodo, per cui tra vendite e concessioni, realizzate o tentate di condurre a termine, l’elenco è lungo. Dalla Torre Capitolare del Duecento posta all’ingresso del Paese, al Castelletto situato a fianco alla chiesa di San Pietro, alla ex Scuola Elementare, pregevole edificio con splendida vista sul Borgo, addirittura alla via Colonna, un angolo della straordinaria piazza posta sul promontorio, che doveva andare a servizio della restauranda Locanda San Pietro.
Ma questo metodo è soprattutto alla base del Masterplan dell’isola Palmaria, per cui lo storico passaggio dei beni della Marina Militare al Comune si risolve in una gigantesca vendita finalizzata a far diventare l’isola (un Sito di Interesse Comunitario per i suoi valori naturalistici, ricompresa tanto nel Parco Naturale Regionale che nel Sito Unesco) un paradiso turistico per una fascia ‘medio-alta’ di fruitori. Ben una trentina di edifici posti in vendita o in concessione, e 56 ettari di terreni (il 35% della superficie dell’isola) ‘da valorizzare’. Nessun bene mantenuto per uso sociale o per le funzioni del Parco.
Tra le giustificazioni ricorrenti per queste operazioni, quella del ‘degrado’ (reale o presunto) in cui versa il territorio, per cui l’unica soluzione sembra essere il passaggio della proprietà ai privati. Colpisce il reiterato utilizzo della categoria ‘vegetazione infestante’, che fa parte della più generale incapacità di interpretare l’elemento naturale e di conseguenza i suoi valori.
Al di là degli intenti sottesi, questa ignoranza nell’interpretare il dato naturalistico, e più in generale scientifico, è un elemento molto preoccupante, soprattutto in quest’epoca nella quale la crisi ambientale si impone alla nostra attenzione con tutta la sua urgenza. Parliamo proprio di quella incapacità di dare ascolto alla Scienza che ci ha fatto sottovalutare previsioni accurate, e purtroppo quindi veritiere, sul riscaldamento globale, ma anche, ad esempio, sulla perdita di biodiversità.
C’entrano qualcosa queste ultime considerazioni con l’oggetto di questo articolo? Pensiamo proprio di sì. Ci siamo portati tanto avanti nel consumo di suolo, nel depauperamento delle risorse, nella riduzione della biodiversità, nell’alterazione dei paesaggi, nella distruzione di quella cultura ancestrale che racchiude tante importanti informazioni su come adattarsi all’ambiente e ricavarne risorse anche in assenza di utilizzo di riserve energetiche fossili, che è vitale porre in atto da subito tutte le forme sia di adattamento agli impatti che di mitigazione delle loro cause.
La rete delle aree naturali e dei paesaggi è la rete che letteralmente ci sostiene sotto i profili della vivibilità, della salute fisica e mentale, deposito di risorse e di servizi indispensabili alla vita ed all’economia.
Al livello del Golfo della Spezia significa difendere quello ‘spazio vitale’ rappresentato dalle ultime aree a dinamica naturale (la Crocetta di Porto Venere, l’arcipelago delle isole del Golfo, le ultime spiagge della costa di Lerici, …), non solo perché rappresentano valori identitari, ‘palestre’ in cui esercitare la nostra natura umana a confronto con gli elementi naturali, ma anche come baluardo su cui poggiare una strategia di recupero della naturalità in più ampie porzioni di territorio, quella rete ecologica così strategica nel sostenere le speranze di sopravvivenza della specie umana sul Pianeta.
Da sopra l’oliveto cintato dal muro a secco ciclopico l’interpretazione del territorio è finalmente chiara, al di sopra delle nebbie del nostro chiacchiericcio e dei nostri piccoli interessi …
La forza della natura si esprime, quasi fosse una volontà, nella continuità tra gli elementi verdi, che dal promontorio proseguono sulla Palmaria e, dopo un balzo, riprendono là in fondo al Golfo, in quel di Montemarcello …
Di mezzo il mare, come uno specchio che ribalta la visione, esso stesso ecosistema che unisce.
Di questo sistema, vogliamo essere parte o rimanere semplici parassiti?
Altre informazioni al https://sites.google.com/view/giardino-pantesco-porto-venere/home-page?authuser=0.
Adesioni: giardino.pantesco.portovenere@gmail.com e fabiogiacomazzi.sp@gmail.com
Soggetti proponenti (in ordine di adesione):
Legambiente La Spezia, Posidonia – Porto Venere, Movimento ‘Palmaria SI Masterplan NO!’, Murati Vivi – Marola, Legambiente Lerici, Coordinamento per il Parco Nazionale di Portofino, Delegazione Liguria WWF Italia, PortovenereTVB, LIPU La Spezia, Italia Nostra La Spezia, CAI Gruppo Regionale Liguria, Comitato Vivere bene la Macchia – Santo Stefano Magra, Comitato Vallesanta – Levanto, GRASP The Future – Gruppo progettante Laboratorio Palmaria, Libera La Spezia, Legambiente Val di Magra, Unione degli Studenti La Spezia, Spazi Fotografici aps, Comitato No Biodigestore Saliceti, Anuket aps, Blue-Life, Comitato Sarzana, che Botta!, Società di Mutuo Soccorso – Lerici, Federcasalinghe Liguria
Speciale – sabato, 8 gennaio 2022
In copertina: Immagine aerea con la zona in vendita; nel pezzo: tutte le foto sono di Fabio Giacomazzi, ad eccezione dell’ultima di Marino Fascio (tutti i diritti riservati).