La censura – dai tempi di Tolstoj a quelli dei social
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Ci siamo già domandati quale e quanta libertà garantiscano i social network ai loro utenti (https://www.inthenet.eu/2021/06/11/gf-o-fb/) – ma alcuni fatti hanno riacceso la nostra curiosità sull’argomento.
In questi giorni stiamo rileggendo Padre Sergij, un racconto breve di Lev Tolstoj scritto tra il 1889 e il 1891, pubblicato postumo nel 1911. Quello che ha attratto la nostra attenzione sono state le parti censurate e restituite ai lettori nell’edizione italiana della Rusconi Libri.
Lo Stato zarista non poteva certo ammettere che Tolstoj descrivesse Nicola I come una “figura dal petto rientrato, dal naso gobbo su quei gran baffi, e dalle mozze fedine” o che la sua giovane amante, se non fosse stato zar, non lo avrebbe certamente preferito al suo aitante fidanzato. Il potere statale lasciava, però, una certa libertà ai suoi autori accettando che fosse lecito scrivere di tradimenti e fanciulle della nobiltà che concedevano favori a Nikolaj Pavlovič Romanov – il quale avrebbe avuto un’amante pur essendo sposato. Di contro, la censura imponeva che lo zar dovesse apparire almeno più prestante e desiderabile di quanto in realtà fosse.
120 anni dopo tali quisquilie, pare quanto meno divertente scoprire che i social sono molto più puritani dei censori russi e, dopo FB che, il 21 ottobre del 2020 (tra i tanti casi), considerava “Immagine non conforme” in quanto “raffigurante nudità o porzioni di pelle eccessive”, il pene di Gesù bambino della Madonna d’Alba di un illustre ‘sconosciuto’ come Raffaello Sanzio, conservato alla National Gallery of Art di Washington; Instagram blocca in queste settimane un post di Madonna che mostra un capezzolo. Molti a questo punto tirerebbero fuori il solito discrimine tra arte e pornografia, essendo il pene del quadro arte e il seno di Madonna pornografia. Ma proviamo ad andare oltre. Poniamoci altre domande.
La prima potrebbe averla sollevata la stessa Madonna, sempre arguta e intelligente, ossia perché considerare un capezzolo erotico. Lo è quello maschile?, si e ci chiede. Il capezzolo non potrebbe e dovrebbe essere associato all’allattamento e alla maternità? In una società non pruriginosa e sessuofoba come quella statunitense, sì. Il pene – che sia di Gesù bambino in un quadro o di un neonato sconosciuto sulla copertina dei Nirvana – dovrebbe apparire per ciò che è, ossia una parte del corpo umano alla stregua di qualsiasi altra parte (https://www.inthenet.eu/2021/09/10/nevermind-e-solo-sessuofobia/).
Ma la seconda domanda che ci siamo posti in passato – e continuiamo a farlo – è se la Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto il diritto di Larry Flynt di dileggiare un allora ben noto personaggio pubblico perché quest’ultimo, vista la sua posizione, non poteva chiedere i danni per “inflizione intenzionale di stress emotivo” – di cui avrebbe sofferto per una parodia pubblicata su una rivista del succitato Flynt. E se per anni uno tra i maggiori sostenitori della libertà di parola negli Usa – che ha combattuto in aula contro diverse accuse di oscenità – è stato proprio il proprietario della rivista pornografica Hustler; allora è più pericoloso per lo sviluppo mentale e psicologico dei nostri pargoli il capezzolo di Madonna, o un Presidente (e i suoi successori) che mette a ferro e fuoco un Paese per otto anni (leggasi l’Iraq e tacciamo sull’Afghanistan) adducendo armi di distruzione di massa mai esistite?
Come ha scritto Madonna: “Ringrazio di essere riuscita a mantenere la mia sanità mentale attraverso quattro decenni di censura, sessismo, discriminazione sull’età e misoginia”.
Ma veniamo all’Italia e a un post su FB della collega Anna Maria Monteverdi, che ha incontrato l’artivista – ossia artista e attivista politica – cubana, Tania Bruguera, ospite al Pac (il Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano. Il post è stato oscurato perché avrebbe incluso “contenuti di violenza esplicita” e “incitamento all’odio, intimidazioni e bullismo”. Ma di cosa trattava tale post per essere così destabilizzante per le menti dei nostri giovani (dato che gli adulti dovrebbero essere in grado di valutare senza bisogno del censore miliardario)? Semplicemente rimandava all’artista cubana definendola, appunto, artivista. A questo punto si potrebbe dire che più che ‘preservare’, l’algoritmo di Zuckerberg serve a ‘indottrinare’.
Ormai siamo entrati in un’epoca in cui non è nemmeno più lo Stato a dover censurare, perché lo fanno i proprietari di aziende che, effettivamente, non producono nulla ma campano sul nostro aver sostituito l’incontro in presenza (e in epoca di Covid la questione diventa più scottante che mai) – a cena, in sezione o in strada manifestando – con il ritrovarsi sui social.
Ma non solo. Il capitale è arrivato al punto di darci una pacca sulla spalla, mentre crediamo di stare conversando con gli amici su un social (traslato nel salotto di casa) per insegnarci ciò che è lecito e ciò che è riprovevole, imponendoci come esprimerci e cosa pensare. Beati i tempi in cui c’era solo la censura russa a preoccuparsi che lo zar apparisse più avvenente di quanto non fosse!
venerdì, 21 gennaio 2022
In copertina: Foto di Buffik da Pixabay.