Il teatro in libreria: Francesca Fini, Anna Maria Monteverdi e un ricordo di Giuliano Scabia
di Luciano Uggè
Il teatro va vissuto: sulla pelle, corpo a corpo, sul palco o in platea, tra umori e odori, come rito laico di condivisione. Ma la comprensione delle sfumature di senso – la fusion dei linguaggi e delle discipline che trasformano un testo scritto o addirittura solamente un’idea in un qualcosa di irripetibile, che si attua hic et nunc, oltre alle nuove tecnologie coinvolte e alle antiche pratiche mai venute meno – può essere mezzo per avvicinarsi all’arte teatrale.
Il teatro, troppo spesso, si è sclerotizzato in riti domenicali borghesi o, peggio, si incasella in schematismi accademici manichei che allontanano invece di avvicinale gli spettatori.
Comprendere non significa che l’oggetto da capire sia di per sé ostico né che per ‘capire’ il teatro occorra per forza essere eruditi. Non occorre afferrarlo concettualmente, bensì sapere che, per afferrare qualsiasi cosa (oggetto o concetto), si deve, in qualche misura, entrare con esso in empatia.
«Come si inizia a desiderare?», chiede Hannibal Lecter a Clarice Starling in Il silenzio degli innocenti. «Si desidera ciò che si vede ogni giorno». Si comprende, ossia si abbraccia, l’altro da sé (il migrante come il teatro che, da sempre, è migrante) conoscendolo (meglio).
Ecco perché vi proponiamo tre titoli usciti recentemente come possibili vie per fare vostro non un catalogo di concetti astrusi, bensì un mondo di opportunità, ossia l’incontro che il teatro da sempre contiene nel proprio Dna e che resta “scala e gradino verso il Paradiso”.
Francesca Fini. Cyborg Fatale – performance e video tra reale e virtuale (2011-2021). Edizioni Postmedia Books.
Abbiamo conosciuto Francesca Fini a T*Danse – il Festival Internazionale della Nuova Danza di Aosta – da lei co-diretto insieme a Marco Chenevier. Fini è una performance artist intermediale non solamente in grado di lavorare trasversalmente, tra performance art, tecnologia dell’interazione, sound design, sperimentazione cinematografica, animazione digitale e pittura ma anche di valorizzare e ospitare altre artiste (come abbiamo visto a T*Danse) che sono, come lei, in grado di perseguire una ricerca personale mai disgiunta dal dialogo con gli spettatori e dai tanti mezzi tecnologici oggi a disposizione del teatro.
Un volume che non solamente indaga – attraverso Fini – un’intera generazione di artisti che ormai si muovono liberamente tra reale e virtuale, partendo dal corpo per giungere all’intermedialità, ma soprattutto a un’incisività di contenuti che corrodono l’idea stessa di bellezza come concepita dal nostro universo patinato in formato Netflix.
Un universo di senso tutto da scoprire non solamente da chi già pratica lo spazio cibernetico ma soprattutto da chi abbia ancora voglia di stupirsi, incuriosendosi.
Anna Maria Monteverdi. Scenografe. Storia della scenografia femminile dal Novecento a oggi. Dino Audino Editore.
Quello che colpisce nell’ultima fatica di Anna Maria Monteverdi è che, aldilà della precisione accademica, nel volume si respira l’entusiasmo non solamente di chi padroneggia la materia ma altresì di chi ne è affascinato e ama comunicare questa fascinazione a coloro che potrebbero esserne completamente a digiuno.
Monteverdi non parte da domande professorali, bensì da quelle che potrebbero sorgere nella mente di un qualsiasi fan o neofita come, ad esempio: “Chi ha progettato il palco dell’ultimo spettacolare tour degli U2?” La risposta potrebbe stupirvi più della domanda.
Il volume non solamente squarcia il velo che, per decenni, ha oscurato l’importanza di donne scenografe come Edith Craig e Natal’ja Sergeevna Gončarova, ma illumina anche il loro impegno civile e l’afflato rivoluzionario – Craig, direttrice delle Pioneer Players, la prima compagnia teatrale al femminile, fu un’attivista suffragetta che osava mettere in scena testi a favore del diritto di voto delle donne; mentre Gončarova, anche pittrice, suscitò un tale entusiasmo in Sergej Djagilev (quello dei Balletti Russi, per intenderci) da fagli affermare: «Questa donna trascina tutta Mosca e tutto San Pietroburgo dietro di sé».
La storia della scenografia, un’arte che interseca prospettive architettoniche, conoscenze dei materiali, tecnologie multimediali e raffinatezze pittoriche, per troppo tempo considerata appannaggio del talento maschile (come, del resto, altri settori artistici, basti pensare al talento di Nannerl, oscurato dal fratello Wolfgang Amadeus…), scorre come un fiume in piena dagli albori del Novecento fino ai giorni nostri – dove incontra le espressioni dell’attivismo LGBT, l’ecoscenografia e i nuovi biomateriali.
Giuliano Scabia. Scala e sentiero verso il Paradiso. Trent’anni di apprendistato teatrale attraversando l’università. La Casa Usher in co-edizione con Edizioni Nuove Catarsi.
Giuliano Scabia ci ha lasciati il 21 maggio scorso. Ogni volta che capitava di incontrarlo, a Firenze o a Castiglioncello, rimanevamo stupiti dal suo entusiasmo, da quella capacità di rapportarsi empaticamente con le persone, facendole sentire sempre a proprio agio. Un’umanità spontanea che doveva avere caratterizzato anche il suo lavoro presso il manicomio di Trieste, accanto a Franco Basaglia.
Questo libro racconta la sua lunga esperienza al Dams di Bologna, iniziata negli anni 70, su invito del regista Luigi Squarzina. A Scabia occorsero tre mesi per accettare, forse perché non si sentiva “all’altezza della grande Alma Mater”. Quando si decise, il suo percorso nel mondo accademico si indirizzò verso percorsi mai esplorati e, forse, poco seguiti – nonostante i risultati – dai suoi colleghi e dai successori.
Inizia così un viaggio attraverso l’università: un apprendistato teatrale che è durato trent’anni. Ogni anno Scabia metteva alla prova un modello di teatro tentando di comprenderne il funzionamento, accompagnato in questa ricerca dai suoi studenti che, più che universitari, erano compagni di un viaggio di conoscenza. Il libro è una scala composta da trentatré gradini – da I giganti del Po (1971) al Sentiero interno di bosco e bestie (2004-05).
Per il poeta Scabia l’Università è stata una “capanna dell’iniziazione” perché il teatro “vince sulla morte, e anche sulla malinconia e sulla disperazione”.
venerdì, 17 dicembre 2021
In copertina: Foto di Ylanite Koppens da Pixabay.