Esseri umani – sempre
di Simona Maria Frigerio
Il cinema italiano sembra riemergere dal lockdown ma soprattutto da un certo appannamento con due film di sicuro interesse, La scuola cattolica (recensito sul numero del 5 novembre) e Ariaferma di Leonardo Di Costanzo.
Anche in questo film si notano onestà intellettuale e capacità di costruire una narrazione cinematografica (con ritmi e tempi esatti) ma priva del manicheismo statunitense (dove, se un recluso è buono, deve per forza essere innocente o perseguitato dal direttore del carcere) e, nel contempo, di quel neorealismo che spinge a ricorrere a stilemi ormai datati per raccontare la realtà (fermo restando che nessuno discute la rilevanza del Neorealismo italiano nella storia del cinema).
Il film – coinvolgente ed equilibrato – si concentra su campi e controcampi in primo piano e mezzo busto, trasponendo esteticamente, a livello di riprese, il fulcro della vicenda – che è il sottile ma percepibile cambiamento nelle psicologie dei personaggi principali: Silvio Orlando e Toni Servillo (ma anche dei comprimari, tutti bravi e in parte). Come in Il silenzio degli innocenti, le tensioni all’interno della struttura carceraria sono esemplificate dai volti e dai dialoghi tra Carmine Lagioia (il detenuto eccellente/Hannibal Lecter) e Gaetano Gargiulo (la guardia carceraria alla quale è affidata la struttura prima del definitivo smantellamento/Clarice Starling).
Al di fuori di questo schema narrativo e della conseguente scelta delle inquadrature, ciò che si nota è però la realistica trasposizione del carcere e dei suoi ‘ospiti’, che non scade mai nel cliché. Realistici i rapporti fra carcerati – dato che alcuni reati sono inaccettabili agli occhi degli stessi reclusi, come lo stupro di un o una minore; realistica una certa rigidità delle guardie carcerarie che devono imporre e imporsi limiti sia per timore sia per addestramento; realistica la vetustà delle nostre galere che, spesso, ricordano gli ex ospedali psichiatrici (soprattutto giudiziari): vergognose a livello di igiene e degradate/degradanti in quanto strutture; realistici i passaggi che permettono alla trama di svolgersi. Il cibo, tra questi. Da sempre fattore determinante nella qualità di vita dei reclusi, non sarà un caso che quasi nessuno mangi in mensa e tutti posseggano fornellini da campeggio per cucinarsi da sé i propri pasti; così come in molte carceri si siano socializzate alcune attività – come la coltivazione di un orto, la cucina o la gestione del bar. Cibo pessimo e impossibilità di cucinare i propri pasti può essere una ragione più che valida, per uomini rinchiusi come topi 23 ore al giorno, per una rivolta – e che giustifica la tensione crescente nella prima parte del film. Ma pensiamo anche all’azione criminale di un giovane che può risolversi in un omicidio involontario e una pena ventennale, presentata come un passo irrimediabilmente falso di una persona altrimenti sensibile. O al detenuto che – dopo anni trascorsi in prigione – ha dimenticato perché lo si definisce ‘eccellente’ e ha recuperato altre motivazioni e altre risorse per continuare a essere – o tornare a considerarsi umano. E ancora, ai tanti reclusi ormai vecchi, malati, dimentichi di sé prima ancora che dei loro reati, che possono pisciarsi addosso o pregare per un pasto condiviso, almeno una sera.
Non vi è la mitizzazione del colpevole né la radicalizzazione del conflitto guardie/reclusi. Non siamo di fronte a un dozzinale prodotto carcerario Us né, peggio, a quelle serie alla moda e patinate che cercano di fare immedesimare il pubblico nel colpevole trasformando un narcotrafficante o un mafioso in un eroe popolare. Qui siamo di fronte a due grandi interpreti che riescono a incarnare la nostra comune umanità. Quella che, alla fine, emerge è proprio una nuova idea di carcere che – come quello di Bollate, ad esempio – responsabilizzando i reclusi e dando loro la possibilità di pensare, agire, lavorare, studiare, condividere e dialogare, restituisce al vivere civile persone che non smettono di essere tali perché rinchiuse e che, tornate in libertà, devono e possono tornare a esserne parte. Dall’altra parte guardie che – come ognuno di noi – comprendono come essere umani significhi, innanzi tutto, il rispetto per l’altro da sé. Perché qualsiasi cosa uno (o una) abbia fatto, non smette di essere un individuo con propri sogni, pensieri, idee, aspirazioni, sofferenze e perfino incubi. Solamente nell’incontro (e la magia di questo film è riuscire a renderlo possibile senza scadere nel melodrammatico) si può costruire un presente e un futuro da uomini liberi (dentro o fuori dal carcere).
Le pause di Silvio Orlando, da sole, valgono un film.
Unica pecca alcune riprese di taglio decisamente documentaristico ma non cinematografico. Ci spieghiamo. Se ci si avvicina alle impervie cime sarde per poi presentare le guardie carcerarie in un momento di convivialità da bivacco e birra, le riprese dovrebbero partire da lontano, dai panorami e, via via, concentrarsi su un preciso punto della montagna, accompagnando l’occhio e la mente dello spettatore verso la storia che sarà raccontata e i suoi protagonisti. Stesso discorso per le riprese dall’alto del carcere semi-abbandonato: come insegnava Hithcock e come ogni maestro della pellicola doveva imparare a sue spese visti i costi del girato, ciascuna immagine occorre partecipi alla narrazione, altrimenti pare superflua o documentaristica – appunto.
Ariaferma
regia Leonardo Di Costanzo
con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco, Pietro Giuliano, Nicola Sechi, Leonardo Capuano, Antonio Buil, Giovanni Vastarella e Francesca Ventriglia
sceneggiatura Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero e Valia Santella
fotografia Luca Bigazzi
montaggio Carlotta Cristiani
scenografia Luca Servino
costumi Florence Emir
musica Pasquale Scialò
suono Xavier Lavorel
effetti visivi Chromatica, Freestudios
produzione Tempesta (Carlo Cresto-Dina), Amka Films Productions (Michela Pini, Amel Soudani), Rai Cinema
Italia, Svizzera 2021
durata 117 minuti
data uscita 14 ottobre 2021
genere drammatico
venerdì, 3 dicembre 2021
In copertina: Particolare della locandina del film.