Il mito del deficit. La teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo
di Luciano Uggè
Quello di Stephanie Kelton è un libro che incuriosisce sin dal titolo, inaspettato e per certi versi sorprendente essendo, lei, una persona interna ai meccanismi decisionali delle istituzioni made in Us sulle questioni monetarie.
Il volume è, al contrario di quanto ci si attenderebbe (sebbene adombrato da quel termine che pare obsoleto, ossia ‘popolo’), un’analisi impietosa della situazione europea e soprattutto dei Paesi, come l’Italia, che fanno parte dell’Euro e soggetti ai suoi regolamenti. Fin da subito l’elemento che viene contestato è il bilancio di uno Stato e la decisione, propria della politica monetaria e di organismi istituzionali esterni allo Stato ‘sovrano’ e non eletti dai popoli, di fare del pareggio di bilancio e del rapporto deficit/Pil l’asse portante di tutte le decisioni.
Kelton propone, in antitesi, un utilizzo dei fondi pubblici che va realmente incontro ai bisogni dei cittadini nel loro complesso.
La prima distinzione che l’economista propone è quella tra Paesi che hanno il controllo monetario, ossia la possibilità, se necessario, di battere moneta e quelli, come l’Italia o la Grecia, che l’hanno persa – con l’introduzione dell’Euro e il conferimento – dalle banche di ciascun Paese – alla Banca Centrale Europea dell’utilizzo di questo strumento d’intervento monetario.
Leggiamo, a proposito: “Allo scoppio della crisi finanziaria del 2008 […], in Grecia, caso emblematico della crisi i tassi di interesse sui titoli di Stato decennali schizzarono alle stelle, passando dal 4,5% del settembre del 2008 a poco meno del 30% del febbraio 2012. Alla fine, l’Istituto di emissione – la BCE – è intervenuto e i tassi d’interesse sono scesi drasticamente. Ma a quel punto, il danno sociale ed economico era stato fatto” (si veda anche https://www.inthenet.eu/2020/03/21/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-mes/).
Lo Stato e la retorica del buon padre di famiglia
Un libro, questo, scevro di algoritmi per il calcolo dei bilanci correnti o futuri ma che fa dell’utilizzo dei fondi pubblici un incentivo per migliorare le condizioni di vita del popolo – nel suo complesso – partendo dal presupposto che esiste un distinguo tra le spese che vanno in questo senso e quelle no. Kelton smitizza, da subito, l’assioma (vetero e populista) che il bilancio di uno Stato sia simile a quello di una famiglia, ossia che sussista un vincolo tra le spese e le entrate. Lo Stato, che batte moneta, può spendere al di fuori di questi parametri: l’importante è la finalità della spesa e l’impatto sull’inflazione che essa produce.
“Quando un Paese emette la propria moneta inconvertibile (fiat) e prende a prestito solo la propria valuta, allora quel paese ha ottenuto la sovranità monetaria. I Paesi dotati di sovranità monetaria, pertanto, non devono gestire le proprie finanze nello stesso modo delle famiglie. Essi possono utilizzare la propria capacità di emissione di moneta per perseguire politiche tese a mantenere l’economia di piena occupazione”.
Continuando nella lettura si evince che nei Paesi che detengono il controllo monetario, lo stesso è esercitato dalla Banca Centrale che agisce su indicazioni, in fatto di spesa, del Parlamento eletto democraticamente – cosa che non avviene, per esempio, nella zona Euro, dove il controllo e il potere decisionale sono nelle mani di rappresentanti non eletti direttamente – come nel caso della Banca Centrale Europea e delle Commissioni preposte ai controlli e agli indirizzi di spesa.
La parità di bilancio che questi ultimi perseguono è l’espressione moderna della politica di Margaret Thatcher, prima, e di Ronald Reagan, poi, fautori di una rigida connessione tra entrate e uscite, meccanismo inficiato da un intervento, a monte, di riduzione della tassazione sui redditi più alti che, negli anni 80, ridusse la possibilità di spesa e, di conseguenza, i servizi per la cittadinanza (sanità, pensioni, scuola, università, assistenza, eccetera).
“Il punto principale da tenere a mente è che possedere la sovranità monetaria significa che un Paese può dare priorità alla sicurezza e al benessere del proprio popolo senza doversi preoccupare di dove trovare i soldi”.
Il deficit come elemento positivo
Il libro si sofferma, per contestarne la validità economica, sui bilanci statali attuali che danno del deficit una lettura invariabilmente negativa – senza notare gli effetti che esso può produrre o meno all’interno della società. Non si tiene mai conto, ad esempio, dell’effetto sull’occupazione che può, al contrario, essere utilizzata come valvola di regolazione per l’inflazione. La MMT – ossia la Modern Monetary Theory – mette l’accento su come dovrebbe essere indirizzato l’eventuale deficit e, a seconda degli interventi messi in atto, ne verifica gli effettivi beneficiari. La cosa più importante è, infatti, la finalità della spesa (buoni del tesoro, nuova moneta, sostegni all’occupazione o altri interventi) e il diritto dei cittadini ad avere una politica economica che intervenga rispetto agli interessi più generali per il mantenimento del benessere della maggioranza della popolazione.
Pur essendo, il testo, maggiormente incentrato su ciò che avviene in Us e sulle modificazioni da apportare all’attuale sistema economico non manca di fornire spunti utili anche per le nostre economie e le priorità che dovrebbero fare proprie. Un bilancio, innanzi tutto, al servizio delle comunità o dei poteri costituiti che, comunque tali, rimarrebbero anche se in parte ridimensionati nel loro potere decisionale. Una scelta d’intervento che faccia della cura – ossia delle persone, delle comunità, dell’assetto idrogeologico e dell’intervento sulle condizioni climatiche – il perno centrale dell’intervento del Governo.
“Un mondo più giusto e più prospero, che combini la sostenibilità ecologica con la piena occupazione, il benessere umano, un minor livello di disuguaglianza ed eccellenti servizi pubblici che soddisfino i bisogni di tutti è alla nostra portata. Se collettivamente ampliamo la nostra conoscenza della moneta pubblica e spostiamo la nostra attenzione dall’ossessione per i deficit di bilancio, allora possiamo costruire un’economia migliore, che funzioni a beneficio di tutto il popolo”.
Per una piena occupazione
Questo approccio si rende necessario perché l’altro aspetto importante della MMT consiste nell’intervento sull’assetto occupazionale attraverso il lavoro garantito e retribuito dal governo – abbandonando l’idea che un bacino di disoccupazione ci garantisca dai processi inflativi. Un reddito erogato in cambio di prestazioni lavorative in ambito della cura della persona, non solo in campo sanitario ma altresì della conservazione del territorio e a disposizione delle comunità che ne hanno il controllo e, più in generale, per tutto ciò che contribuisce al benessere della maggior parte della popolazione.
“Un beneficio enorme proveniente da un programma di job guarantee è che aiuta a isolare l’economia nel momento in cui attraversa l’inevitabile ciclo di espansione e contrazione. Invece di lasciare senza lavoro milioni di persone ogni volta che l’economia rallenta, il programma di lavoro garantito permette loro di transitare da una forma di lavoro retribuito a un’altra. Potreste perdere il vostro lavoro da magazziniere per un’azienda privata, ma potreste immediatamente assicurarvi un impiego svolgendo un lavoro utile nel servizio pubblico”.
Al fine di controllare l’inflazione, in modo tale da evitare che superi certi livelli, si prevedono meccanismi atti a tale scopo. Questi interventi porteranno anche a una naturale redistribuzione del reddito che permetterà ai cittadini di poter accedere, per esempio, agli studi senza doversi indebitare per tutto il resto della vita (come sta accadendo negli States).
In altre parole. Siccome non si devono più rispettare i parametri di Bretton Woods (ossia il gold exchange standard), è possibile coniare moneta senza aumentare l’inflazione, ossia i prezzi dei beni, sempre che gli stessi siano immateriali invece che materiali. Nel momento che si dà lavoro a tutti i disoccupati (mentre la disoccupazione fa parte dell’attuale sistema economico capitalistico, essendo considerata valvola di regolazione delle spinte inflative, tenute sotto controllo da una parte della popolazione che non produce, non guadagna e non consuma) ma si usa “tale spazio fiscale […] per difendere politiche tradizionalmente più progressiste (ad esempio, Medicare per tutti, università gratuite, o tagli fiscali per le classi medie)”, si avrà un miglioramento della qualità di vita dei cittadini senza un rincaro prezzi con conseguente aumento inflativo.
Con un banchiere come Premier – che legifera per Dpcm e Decreti Legge – dove andrà la politica economica italiana?
Questa, in rapida sintesi – e per nulla esaustiva degli innumerevoli argomenti e proposte d’intervento che l’autrice mette a disposizione del lettore – la tesi del libro. Ossia che il controllo dell’emissione di valuta e delle priorità di spesa determinano il benessere o meno della popolazione nel suo complesso o di fasce della stessa a scapito di altre.
L’invito è a richiedere come società civile, con maggiore forza e convinzione, la modifica degli attuali assetti di bilancio che stanno creando un continuo e crescente divario tra coloro che faticano ad arrivare alla fine del mese – quando ci arrivano – e coloro che si arricchiscono sempre più, giorno dopo giorno, in questo sistema capitalistico esacerbato dalla crisi pandemica.
“Dobbiamo porre fine alla pratica crudele e inefficiente di affidare a banchieri centrali privi di qualunque legittimità democratica il compito di conseguire il ‘giusto’ mix di inflazione e disoccupazione. Per costruire un’economia al servizio delle persone, la responsabilità di salvaguardare l’occupazione e i redditi deve diventare di pertinenza dei rappresentanti eletti dal popolo”.
Per approfondimenti, si consiglia anche la lettura dell’interessante articolo di Francesco Piras:
Venerdì, 15 ottobre 2021
In copertina: Foto di Sasin Tipchai da Pixabay.