Lo scadimento del dialogo ai tempi del Covid
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
In questi ultimi mesi amici e lettori hanno segnalato alla redazione articoli, tweet, post e passaggi radiofonici che ci hanno lasciati basiti – come giornalisti ma, soprattutto, come esseri umani. La maggioranza è diretta contro chi non vuole vaccinarsi ma, ultimamente, anche contro coloro che si oppongono, per motivi democratici, all’attuale deriva totalitaria – come si potrebbe descrivere altrimenti un Paese che reitera stati d’emergenza, e legifera con Dpcm e Decreti Legge da oltre 20 mesi? E che viene meno al diritto di ogni cittadino italiano di lavorare (sancito anche dall’Articolo 1 della Costituzione), con il beneplacito dei Sindacati confederali, discriminando tra una tecnica medica gratuita – il vaccino – e una a pagamento – il tampone – sebbene la più sicura, laddove il vaccino si dimostri imperfetto, sia proprio quest’ultima?
Ma leggiamo insieme alcune di queste frasi (che abbiamo controllato prima di riportare) e, per verificare che le stesse ricalcano stilemi vieti propri del razzismo o dell’omofobia, vi invitiamo a fare un gioco: sostituite con la parola migranti o ebrei o neri o gay, l’appellativo ‘no-vax’ o ‘no green pass’ (categorie non equivalenti, dato che molti vaccinati oggi scendono in piazza contro tale lasciapassare in solidarietà con chi vuole fare scelte differenti per il proprio corpo e per difendere, con la libertà di scelta, il diritto all’autodeterminazione anche per sé, magari un domani, e il rifiuto per ogni forma di discriminazione a livello lavorativo, culturale, ludico e di movimento).
Selvaggia Lucarelli, giornalista, conduttrice radiofonica e forse non a caso blogger, scrive su Twitter (10 settembre 2020): “Comunque le manifestazioni dei negazionisti sono un discreto ricettacolo di casi psichiatrici”.
Nell’ottobre 2020, il giornalista e blogger, Andrea Scanzi, posta su Facebook: “Fossi in Conte, adotterei le stesse misure anticovid della Svezia e farei selezione negli ospedali come la Svizzera. Poi, mi preparerei 20 kg di popcorn e 10 casse di birra e mi godrei lo spettacolo di vedervi morire come mosche”.
“La ‘cagata totale’ di Cacciari, diventato no-vax di alto livello”, è il titolo di Paolo Guzzanti, giornalista, su Il Riformista del 28 luglio 2021.
Il Codacons chiede la radiazione dall’Albo per il virologo Roberto Burioni, dopo un suo tweet del 23 luglio 2021: “Propongo una colletta per pagare ai no-vax gli abbonamenti a Netflix per quando, dal 5 agosto, saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci” (frase della quale si è poi ‘scusato’ adducendo che: “Twitter non è il luogo dell’ironia (e dell’autoironia)”.
Il 17 luglio 2021, il giornalista e conduttore radiofonico David Parenzo (che poi ha addotto che la sua era solo ‘un’iperbole ironica’) afferma alla radio: «Io ti auguro che il rider di Bologna porti le cose a casa dei no-vax e gli sputi sopra».
Sempre a luglio 2021 Marianna Rubino, medico di Caserta, pubblica su Facebook un post poi cancellato o censurato: “Ragazzi è inutile pubblicare post che spiegano gli effetti del vaccino, perché se sono vaccinato posso contrarre il virus, etc… inutile pubblicare notizie, che spiegano come il 70% dei ricoverati sia novax. La soluzione è una e una sola: CAMPO DI CONCENTRAMENTO! Se fosse per me costruirei anche 2 camere a gas, ma visto che poi mi danno della nazista, evitiamo. Li mettiamo tutti insieme in esilio e quando sono morti di covid, li andiamo a recuperare e diamo degna sepoltura! Amen”. (Ci chiediamo se tale dottoressa esercitasse per Emergency o MSF, cosa farebbe di fronte a un talebano o a un soldato dell’Isis).
Il 26 luglio 2021 anche l’infettivologo Matteo Bassetti dichiara: “Sbagliato considerare l’attacco no-vax come un attacco perseguibile a querela: oggi è un attacco contro lo Stato e come tale dovrebbe essere perseguito”, e aggiunge: “Quello è un attacco contro lo Stato come se si andasse ad attaccare la magistratura perché persegue la mafia”.
Tra agosto e settembre 2021, sono accolte su Twitter altre due dichiarazioni dello stesso tono: “I cani possono sempre entrare. Solo voi, come è giusto, resterete fuori” (Sebastiano Messina, giornalista de La Repubblica, che poi ha rincarato dando sempre ai cosiddetti no-vax l’appellativo di ‘ignoranti’). E “Se riempiranno le terapie intensive, mi impegnerò per staccare la spina” (esternazione di una certa Carlotta Saporetti, infermiera: no, comment. I cosiddetti ‘angeli della morte’ nel caso vengono indagati dalla Magistratura).
A questo punto ci si domanda: la libertà di manifestare il proprio pensiero va garantita anche quando le affermazioni sono chiari incitamenti all’odio?
Giornalisti e medici come l’opinionista da bar?
In Italia la Costituzione afferma, all’Articolo 11, che “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. Inoltre, all’Articolo 21 si afferma: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Margherita Hack affermava: “Che si tratti di scienza, di religione o di politica, la libertà d’opinione va difesa anche a costo di violare la legge”.
E però, proprio il giornalista, in quanto si assume e gli viene riconosciuto il diritto di informazione e critica (professionale) ha anche altri obblighi.
L’Articolo 6(b) del Testo Unico dei doveri del giornalista, specifica che lo stesso: “evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate avendo cura di segnalare i tempi necessari per ulteriori ricerche e sperimentazioni; dà conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia”. Al contrario, si può affermare che negli ultimi 19 mesi i giornalisti italiani sono diventati tutti virologi e immunologi professionisti, esperti di Covid. Peccato che la scienza, in primis, dovrebbe ammettere la necessità del dubbio proprio per progredire nella ricerca. E i giornalisti non dovrebbero emettere sentenze né predicare dal pulpito.
La Corte di Cassazione ha ribadito anche come imprescindibile per il lavoro giornalistico ‘la continenza nell’esposizione’. Cosa significa? “Anche una notizia vera, se riportata in termini denigratori o dispregiativi per la persona coinvolta nelle circostanze, può assumere un carattere diffamatorio; il limite della continenza espressiva si identifica con la correttezza formale dell’esposizione e la non eccedenza da quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, sì da garantire che cronaca e critica non si manifestino tramite strumenti e modalità lesivi dei diritti fondamentali all’onore ed alla reputazione; essa coincide, quindi, con quella correttezza formale di linguaggio che consente di evitare che la divulgazione di un fatto storico si tramuti in uno strumento di lesione degli altrui diritti”.
I giornalisti, quindi, sebbene liberi di manifestare le loro idee come tutti gli altri cittadini italiani (o stranieri), dovrebbero scegliere con cura parole ed espressioni per evitare di ledere i diritti altrui.
Questo per quanto riguarda i media. Ma anche alcuni medici, virologi, immunologi e membri del personale infermieristico paiono non solamente aver dimenticato il Giuramento di Ippocrate, nella versione moderna, firmata nel 2014 – almeno per quelle parti che recitano: “di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute” e, visti gli insulti che sono volati tra ‘esperti’: “di ispirare la soluzione di ogni divergenza di opinioni al reciproco rispetto”.
Soprattutto paiono aver dimenticato il Codice di Norimberga che stabilisce regole molto stringenti sulla sperimentazione e il libero consenso a pratiche mediche: “La persona interessata debba avere capacità legale di esprimere il consenso; che essa sia nella condizione di poter esercitare un libero potere decisionale senza che si intervenga con la forza, con la frode, con l’inganno, con minacce o esagerando con qualsiasi forma di vincolo o coercizione; che essa abbia sufficiente conoscenza e comprensione degli elementi coinvolti nello studio, tali da permettere una decisione consapevole e ragionata. Questo ultimo elemento fa sì che prima che il soggetto decida affermativamente sia informato circa la natura, la durata, lo scopo della sperimentazione, nonché dei metodi con cui verrà condotta, qualsiasi disagio o pericolo potenziale ed i possibili effetti sulla salute che potrebbero derivare dal partecipare alla sperimentazione. Il dovere e la responsabilità di accertare la bontà del consenso rimane in capo alla persona che avvia o dirige la sperimentazione. Questo è un dovere personale ed una responsabilità che non possono essere delegate impunemente”.
Nel momento in cui si obbliga una persona a entrare nel proprio luogo di lavoro avendo effettuato un vaccino – gratuito – o un tampone – a pagamento – già si opera in senso coercitivo.
Di fronte ai dati che ormai hanno reso chiaro come i vaccini attualmente in uso non assicurino al 100% né dal contagio né dalla malattia – purtroppo, sebbene in percentuale inferiore ai non vaccinati, anche in forme gravi. E soprattutto, per quanto concerne il green pass, non è più garantito il non contagio da vaccinati malati – tra l’altro, più facilmente paucisintomatici o asintomatici (termini appioppati nel primo lockdown agli ‘untori’, ossia ai contagiati che se ne andavano in giro inconsapevoli, contagiando), la succitata discriminazione è ancora più vessatoria in quanto porta a una falsa sicurezza e abitua a forme manipolatorie della nostra coscienza e libertà di pensiero e azione.
Fa ancora più specie che tale misura sia messa in atto quando ormai la popolazione italiana ha superato ampiamente la soglia del 70% di vaccinati (l’80% degli over 12), percentuale che ha permesso ad altri Stati (ma, ad esempio, la Gran Bretagna si è mossa molto prima) di abolire qualsiasi restrizione. E anzi, ci sarebbe da chiedersi come riesca l’Italia, al 14 ottobre (secondo worldometer) con 45.066 positivi in più in un solo giorno e 1.376.530 casi attivi, avere solo 781 pazienti in condizioni critiche e 157 morti, mentre l’Italia con 2.668 nuovi positivi e 79.368 casi attivi, abbia 359 casi critici e 40 morti. Questione di cure? Non certamente di green pass.
Venerdì, 29 ottobre 2021
In copertina: Foto di Pete Linforth da Pixabay.