Solitudini beckettiane in una No man’s land
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Abbiamo ‘rubato’ il titolo a un piccolo capolavoro cinematografico (Ničija zemlja – No man’s land appunto) del 2001, diretto da Danis Tanović. La pellicola, ambientata nel 1993, metteva a confronto un serbo e un bosniaco: il tragico finale era lo specchio di una guerra che ha portato allo smembramento di un Paese multietnico e dove erano riuscite a convivere fedi diverse per decenni, e che è ormai solo un’accozzaglia di città-Stato, molte delle quali con conflitti etnico-religiosi tuttora irrisolti e gravi problemi economici perché i Balcani, com’era prevedibile, non potevano trasformarsi in una miriade di Svizzere.
Qui ci troviamo di fronte all’Occidente (più laico che cristiano) e all’Islam, rappresentati da un terremotato italiano (interpretato da Saverio La Ruina) e da un rifugiato, migrante o, comunque, un giovane tunisino islamico (Chadli Aloui, nella realtà italiano ma figlio di tunisini). Sotto una tenda della Protezione Civile, invece che in una trincea.
Incomprensioni quotidiane fanno scattare piccoli o grandi scontri, per lo più verbali, qualche attimo di violenza, il momento di pura poesia del racconto della moglie morta (del personaggio di Mario) e il ricordo del ‘suono che fa la neve’. Pian piano, però, il meccanismo teatrale si inceppa, volutamente, disvelando la costruzione del testo attraverso squarci di possibile verità. In parole povere, si tenta di abbattere la quarta parete e di raccontare cosa sentirebbe davvero il Saleh uomo, aldilà del ruolo, e però non ci si trova di fronte al vero Chadli Aloui – militante impegnato nei centri sociali di Palermo – sebbene, dall’altra parte, emerga la voce di La Ruina, appellato Saverio e, quindi, non oltre il personaggio di Mario ma davvero l’autore e regista. Discrasia, questa, che non convince.
Come non convince l’accusa di un tunisino contro l’Occidente. Fossimo di fronte a un libico, la capiremmo, ma la Primavera Araba tunisina non può puntare il dito contro l’ingerenza, ad esempio, della Francia – in Libia – o degli Usa e della Turchia (Paese peraltro musulmano) in Siria. Se una parte del Nord Africa fatica a trovare una propria via alla democrazia (e magari a un’idea ben più democratica della nostra, di europei o statunitensi – il che non sarebbe difficile) forse la colpa è anche di quella parte del mondo musulmano integralista che vuole il potere politico nelle mani di quello religioso (Shariʿah e teocrazie sono appannaggio dell’Islam, oggi, e questo è un dato di fatto). E del resto basta guardare a cosa sta succedendo in Afghanistan. Finalmente le forze di occupazione occidentale se ne sono andate – dopo una guerra e un’invasione ingiustificabili di fatto e di diritto – ma l’oppressione dei talebani resta e si concretizza principalmente nell’esclusione delle donne.
E proprio le donne musulmane sono totalmente escluse dal discorso tra Mario e Saleh, fors’anche perché sarebbe difficile incolpare l’Occidente del burka! Troppo facile far risalire la spaccatura tra un ipotetico noi e loro all’11 Settembre – laddove Islam e Cristianità si sono combattuti per oltre mille anni. E proprio l’Europa – ben prima del Nord Africa – è stata nuovamente campo di battaglia e palcoscenico di genocidi etnico-religiosi con la guerra in ex-Jugoslavia – fomentata da interessi economici europei, dal revanscismo statunitense nei confronti di un Paese ex comunista e da una Chiesa cattolica che voleva riaffermare il proprio potere rispetto agli altri credi, o a uno Stato per lo più secolarizzato dove la religione non ostacolava il dialogo. Purtroppo, morto Tito, le forze centrifughe interne hanno utilizzato vecchi rancori – oltre a vere o presunte appartenenze etniche e/o religiose – per rivendicare brani di territorio: gli ex jugoslavi si sono divorati senza rendersi conto di essere pedine sullo scacchiere di potenze che avrebbero lasciato loro solo gli avanzi, trasformando un Paese orgoglioso, nato dalla Resistenza al Nazi-fascismo, in un groviglio di staterelli (dove si combatte perfino a colpi di targhe). E tacciamo sull’Irlanda del Nord (perché, altrimenti, devieremmo il discorso dallo spettacolo).
Troppo facile accusare, però, solo l’Occidente. L’Italia, ad esempio, è anche Un ponte per, è anche Emergency, è anche Genova 2001. Continuare a mettere in scena le contrapposizioni televisive, sebbene con arte e cuore, non porta a ragionare. E ciò di cui abbiamo bisogno, oggi più che mai, è andare oltre il già detto per scoprire il non detto.
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di AvampostiTeatroFestival:
venerdì 24 settembre, ore 21.00
Teatro Studio Mila Pieralli
via Gaetano Donizetti, 58 – Scandicci (FI)
Scena Verticale presenta:
Mario e Saleh
scritto e diretto Saverio La Ruina
con Saverio La Ruina e Chadli Aloui
venerdì, 8 ottobre 2021
In copertina: Mario e Saleh, foto Tommaso Le Pera (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa di AvampostiTeatroFestival).