Pasolini, Calvino, Moravia e la Legge 194 al tempo del green pass
di Simona Maria Frigerio
In giorni in cui prevale l’omologazione al pensiero dominante, spulciare alcuni interventi polemici di Pier Paolo Pasolini – condivisibili o meno – aiuta a ragionare anche sul mondo che ci ritroviamo ad abitare.
Ma andiamo con ordine. Poco prima della morte, Pasolini entrò in polemica con altri intellettuali (e amici) di sinistra in merito al referendum promosso dai radicali per legalizzare l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Leggendo solamente le affermazioni e le risposte di Pasolini (negli articoli raccolti in Scritti corsari) emerge un quadro di opinioni variegato in cui si nota come l’eterodossia intellettuale fosse poco accettata anche in tempi meno appiattenti dei nostri. Ciò non toglie il fatto che la pluralità di posizioni fosse pur sempre possibile e non fosse liquidata da manichee divisioni (pro-vax v/ no-vax) utili a un potere dispotico ma privo di vere ragioni a supporto di scelte, come quella di estendere il green pass a tutto io mondo del lavoro, che sono un vile ricatto economico – unico, al momento, nel mondo – al quale qualunque cittadino a cui siano cari i diritti civili dovrebbe opporsi (aldilà di cosa pensi del vaccino).
Al tempo della battaglia sull’interruzione volontaria di gravidanza, gli schieramenti – al contrario – furono non solamente contrapposti ma dialoganti, in grado di animare la discussione partendo da molteplici punti di vista. Il che dimostra come, in un’Italia che era ancora dominata su alcuni temi, almeno a livello teorico (sebbene sempre più laica nella prassi), dai dogmi cattolici e dove la DC poteva esercitare un enorme potere mediatico attraverso la televisione pubblica, il dissenso e la libertà di opinione fossero in parte garantiti dalla stampa e da un ceto intellettuale non totalmente asservito.
In questo contesto, prendendo spunto solamente dalle pagine corsare che ci è capitato di risfogliare, scopriamo che Pasolini sottoscriveva quanto affermato da Adriana Seroni, dirigente del Partito Comunista e ufficialmente ‘femminista’: “Bisogna evitare prima l’aborto, e, se ci si arriva, bisogna renderlo legalmente possibile solo in alcuni casi ‘responsabilmente valutati’ (ed evitando dunque, aggiungo, di gettarsi in una isterica e terroristica campagna per la sua legalizzazione, che sancirebbe come non reato una colpa”. E continuava, nel suo articolo, sempre Pasolini: “Sono d’accordo coi comunisti sull’aborto. Qui c’è di mezzo la vita umana”. Ora, pensare che i nipotini di quei comunisti avversi all’Ivg (come lo erano stati, soprattutto a livello dirigenziale, al divorzio fin dai tempi di Togliatti), oggi, siano più aperti nei confronti dei diritti civili sarebbe a dir poco ingenuo. E infatti si è visto ciò con quell’‘aborto’ (scusate il gioco di parole) di legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, sulle remore verso il DDL Zan e i continui tentennamenti sulla legalizzazione dell’eutanasia e della cannabis (i cui referendum sono ancora una volta appannaggio del Partito Radicale e, soprattutto, dell’Associazione Luca Coscioni). Si sente, inoltre, nell’affermazione ‘responsabilmente valutati’ un certo puzzo di regime – patriarcale e dittatoriale – dato che ci si domanda chi dovrebbe avere il compito di valutare una scelta personale, e su quali basi; ma soprattutto, perché la donna direttamente interessata non dovrebbe essere sufficientemente ‘responsabile’ per essere autorizzata a farla? E qui le donne dovrebbero fare attenzione a dare di sé l’immagine ‘d’eterne vittime d’un sopruso’ (come cantava Guccini) perché, se assunte come esseri troppo fragili, in perenne condizione di minorità, rischiano che altri decidano per loro – sempre. Infine, sulla parola ‘colpa’ non ci soffermeremo dato che significa: “Atto o comportamento che implica conseguenze dannose verso individui o la comunità” e ci pare idea romantica considerare un embrione come una persona. Inoltre, come lo stesso Pasolini, curiosamente, propugnava, limitare il numero delle nascite – tra l’altro, non volute – in un mondo sovrappopolato forse non sarebbe, di per sé, dannoso per la conservazione della specie.
Le posizioni di Alberto Moravia e Italo Calvino
Proseguendo nella lettura delle risposte pubblicate da Pasolini ai suoi oppositori si scopre che Moravia sarebbe stato un: “cinico (come Diogene, come Menippo… come Hobbes), non cred[endo] in nulla”, per il quale, continua Pasolini: “La vita del feto è una romanticheria, un caso di coscienza su un tale problema è una sciocchezza idealistica”. Inoltre, lo stesso avrebbe accusato Pasolini di essere un paolino: “Cioè in me, come in San Paolo, c’è l’inconscia pretesa della castità da parte della donna”, a cui rispondeva Pasolini: “Io ho posto l’accento più sul figlio che sulla madre, in quanto, nel nostro caso, si tratta di una madre nemica. Non potevo non rimuoverla, e privilegiare il suo frutto”. Ovviamente a Pasolini dovrebbero rispondere le donne (quelle che paiono meno presenti nel vivace dibattito a mezzo stampa che dimostra, se non altro, perché un tempo i quotidiani fossero letti; perché, risponderemmo, avevano firme in grado di coinvolgere e sconvolgere la morale benpensante e omologante). Ma se allora avessimo preso parte al dibattito avremmo potuto scrivere che la donna non smette di essere tale perché incinta e, quindi, non si trasforma in un’incubatrice o in una ‘madre nemica’. È impossibile cancellarla dall’equazione perché se non ci fosse, l’embrione e il feto smetterebbero di esistere: provatevi a far nascere un feto di 12 settimane e vedrete quanto sopravviverà! Sorvoliamo poi sulla parola ‘frutto’ di chiara matrice mariana, probabilmente appesantita anche da quell’impulso edipico irrisolto del nostro pur sempre amato intellettuale controcorrente, e che denota come Pasolini veda in una serie di cellule che si riproducono già una vita senziente che si contrapporrebbe all’autodeterminazione della donna, degradata a incubatrice – o melo (ma, anche in questo caso, occorrerebbe ristabilire la realtà dei fatti: la mela che cade a terra anzitempo non matura, bensì marcisce). E su questa linea della sacralità del ‘frutto’, controbatte proprio Calvino che rimprovererebbe a Pasolini: “Un certo sentimentalismo ‘irrazionalistico’ e una certa tendenza, altrettanto ‘irrazionalistica’, a sentire una ingiustificata sacralità della vita”.
Indubbio che se traslassimo all’oggi simile sacralità, per salvare anche l’ultimo nonnino secolare in Rsa – dove vegeta accudito a spese della famiglia, intrappolato magari in un corpo che è sopravvissuto al suo cervello, data l’attuale tendenza della medicina non a curare ma a cristallizzare in un limbo la non-vita – non potremmo che optare, in tempi di Covid, per la clausura forzata di intere generazioni di giovani, ossia il futuro dell’umanità, alle quali negheremo scuola, socialità, cultura e persino la sussistenza lavorativa se non si piegheranno al diktat del vaccino (cancellato con un colpo di spugna il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo) per salvaguardare la succitata sacra vita del nonnino. Ovviamente, dato che è ormai provato che anche da vaccinati non solamente ci si contagia ma si contagia e si può anche ammalarsi gravemente (sebbene in percentuale inferiore rispetto ai non vaccinati con risparmio statale in fatto di cure), per essere sicuri servirebbe di più imporre surrettiziamente un vaccino imperfetto, oppure un tampone che almeno fotografa una situazione di negatività reale – sebbene limitata nel tempo? O ancora, usare misure precauzionali già introdotte e che funzionano almeno quanto un preservativo (sebbene possa rompersi o sfilarsi) per evitare gravidanze indesiderate? Ma altrettanto ovviamente, la nostra è solo la descrizione di una distopia fantascientifica. Beati i tempi in cui le donne, per solidarietà, si autodenunciavano di Ivg nemmeno fatte; oggi appare normale al lavoratore lasciare che il collega sia sospeso per non aver fatto un vaccino, e domani lo sarà per la collega che resti incinta quando avrebbe dovuto completare un progetto o si fosse assunta delle responsabilità – come una Lara Lugli.
La voce di una donna
Tornando agli Scritti corsari, Laura Betti avrebbe finalmente fatto notare a Pasolini che “manca fisiologicamente la donna” dai suoi discorsi. Mentre Natalia Ginzburg, partendo dalla boutade – tra il doloroso (per ovvi motivi di appartenenza personale al mondo gay) e l’irriverente (per gusto e capacità di porsi come intellettuale sempre fuori dal coro) di Pasolini – che sia più eco-compatibile il rapporto omosessuale che non eterosessuale in un mondo che va verso la sovrappopolazione (e tale pensiero oggi appare oltremodo profetico), avrebbe liquidato il rapporto omosessuale con l’aggettivo ‘squallido’ (il che fa scrivere giustamente, a Pasolini, che la Ginzburg esprimerebbe con tale termine un “banale, e dunque volgare, livore anti-omosessuale”). D’altro canto Pasolini risolve la questione dell’aborto adducendo che basterebbe pubblicizzare preservativi e anticoncezionali (in un Paese, come l’Italia, dove non si parla più di condom nemmeno quale strumento per evitare la trasmissione dell’Aids!) e tecniche amatorie anticonvenzionali. E anche qui viene in mente l’ostracismo clericale verso l’onanismo, proprio in quanto pratica erotica che dà piacere senza fini procreativi, o al fatto che lo stesso Pasolini non si sia attenuto a forme diverse da quelle consuete, ai suoi tempi, nel mondo maschile sia etero che omosessuale (fatto sul quale torneremo).
La Legge 194 e l’autodeterminazione femminile
Partiamo ora dal fatto che Pasolini non afferra mai il concetto dell’autodeterminazione (così come i suoi interlocutori), ossia – citando Treccani – l’“Atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in opposizione a ‘determinismo’, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere. L’a. è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione”. Ma altresì: “Proposto durante la Rivoluzione francese e poi sostenuto, con diverse accezioni, da statisti quali Lenin e Wilson, tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli, in contrapposizione a quella degli Stati intesi come apparati di governo”. Tale concetto, traslato nella diatriba sull’interruzione volontaria di gravidanza porta a riqualificare la donna come soggetto pensante e dotato di propria volontà e responsabilità, che ha imperio sul proprio corpo a prescindere persino dalla volontà del maschio (sia esso pure il possibile futuro padre che, grazie alla 194, resta fuori dai giochi fino alla nascita del bambino) e ne risponde conseguentemente. Lo Stato non può contrapporsi al suo diritto di interrompere un processo che invade il suo corpo e che può essere per lei inaccettabile psicologicamente e/o fisicamente e/o economicamente (o per qualsiasi altra ragione trovi giusta). Ed è quanto esprime la Legge che garantisce alla donna, entro i primi 90 giorni, “che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”, il ricorso a tale pratica in ospedali e case di cura autorizzate.
Peccato che, come si legge sul Post, nel 2018: “Il 69% dei ginecologi italiani [era] obiettore di coscienza, cioè si rifiuta[va] di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. In cinque regioni e nella provincia autonoma di Bolzano la percentuale arriva[va] o supera[va] l’80%, fino ad arrivare al 92,3% di ginecologi obiettori del Molise. [Erano] inoltre obiettori anche il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale sanitario non medico”. Sarà perché la pensano tutti come Pasolini e l’allora Partito Comunista? In realtà, per molti è una scelta di comodo, che serve per fare carriera quando gli organi dirigenziali ospedalieri sono cattolici o per evitare di ridurre il proprio lavoro a una serie di Ivg – data la scarsità di colleghi non obiettori (come riferitomi da alcuni ginecologi).
Ciò che, però, nessuno dice è che la stessa 194, pur garantendo il diritto all’obiezione di coscienza, stabilisce che: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Questa parte è stata completamente disattesa. Così come il Governo in carica continua a non voler investire in sanità ma scarica l’onere del contenimento della pandemia sul cittadino. Ma non solo. Se trasliamo, ancora una volta, tale situazione nei diktat del Covid, perché non sospendere i medici obiettori che si rifiutano di attuare una legge dello Stato come si fa con i non-vaccinati? Perché i primi non contagiano nessuno o non arrecano danno? Rispetto alla seconda obiezione, ditelo alle donne costrette a viaggi della speranza fuori regione per ottenere una pratica medica legale e, sulla carta, garantita. E rispetto alla prima, visto che i vaccinati sono contagiosi, è il sistema protettivo a fare la differenza, non un vaccino che – al momento – ‘buca’.
Coito, consumismo e green pass
Pasolini nella sua immensa capacità di pensiero – ribadiamo, non sempre condivisibile ma sempre da rispettare – si spingeva, però, oltre, facendo risalire il problema dell’aborto non già – come è – al diritto al piacere della donna, non a fini procreativi, che a volte si scontra con problematiche non sempre ovviabili (preservativo rotto o sfilato, dimenticanza di una pillola, rapporto sessuale casuale non protetto, perdita del lavoro o rottura col partner, stupro, e quant’altro), soprattutto prima dell’introduzione della RU 486 o della cosiddetta pillola del giorno dopo (da assumere entro 72 ore o, più recentemente, entro 5 giorni dal rapporto non protetto, a volte affrontando gli illegali metodi coercitivi di medici e farmacisti che si rifiutano di garantire la prescrizione e/o l’utilizzo di tali prodotti). Ebbene, non a tutto ciò Pasolini fa risalire la necessità della garanzia dell’Ivg legale, bensì al coito. Spieghiamo: secondo Pasolini l’aborto deriverebbe da una liberalità di costumi imposta dall’alto a fini consumistici, in cui la coppia eterosessuale di matrice edonistica dovrebbe e potrebbe dedicarsi a un piacere erotico eterosessuale non finalizzato alla procreazione solamente per corrispondere a un modello sociale che trova in tale nucleo familiare il proprio perno (in parole povere, se un tempo più figli significavano più braccia per i campi, nella società consumistica troppi figli significherebbero una diminuzione dei consumi edonistici in favore di quelli essenziali, come il cibo). Pasolini, però, non si accorgeva che anche dietro la mercificazione dei rapporti omosessuali restava, nell’ombra, una visione e una pratica dell’erotismo maschile vicina a quella del marito – e magari padre – borghese che, con le prostitute, dava ‘sfogo’ a pulsioni non accettabili all’interno della coppia eterosessuale istituzionalizzata. E in entrambi i generi di rapporti, il fattore economico aveva un peso determinante che non li rendeva avulsi dal sistema capitalistico di sfruttatore/sfruttato. C’è anche da dire che Pasolini intravedeva già, in quella società falsamente libertaria, i prodromi di un razzismo e di una violenza contro la diversità ben più profondi del passato, come se laddove tutto sembri lecito, in realtà, qualsiasi comportamento minimamente deviante da una regola falsamente libertaria sia di per sé più inaccettabile proprio perché raffrontato a una falsa dimensione di liberalità. E oggi la caccia alle streghe del #MeToo, la forsennata rincorsa al politically correct, l’accusa di pornografia, pedopornografia, pedofilia o stupro per qualsiasi messaggio, avance, foto o rapporto – anche consensuale – con un o una sedicenne (o anche un o una maggiorenne in vena di carriera facile) ci porta a un asservimento a un pensiero dominante moralistico e borghese che ormai investe e caratterizza tutti – estendendosi dal comportamento considerato corretto a livello sessuale, a quello sanitario, sociale e finanche al nostro stesso essere nel mondo che, se non si adegua, è bellamente sacrificabile sull’altare dello Stato etico.
L’alterità residuale resterebbe, a livello sessuale, nelle mani e nei comportamenti di quel nuovo paradigma sociale che è denominato gender fluid; mentre a livello di noi tutti la resistenza, a una infinita serie di coercizioni ufficialmente provocate dalla pandemia (ma ormai messe da parte, o nemmeno mai adombrate, nella maggioranza dei Paesi) e che hanno posto l’Italia in cima alle dittature sanitarie più dispotiche al mondo, sembra quella che indica il filosofo Giorgio Agamben su https://www.quodlibet.it: “Occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione”. E se non fosse chiaro a cosa occorre opporsi, oggi, Agamben – curiosamente il Filippo de Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini – così descrive questo nostro Stato etico che nemmeno Orwell avrebbe osato immaginare si potesse edificare nel giro di pochi mesi: “L’Italia, come laboratorio politico dell’Occidente, in cui si elaborano in anticipo nella loro forma estrema le strategie dei poteri dominanti, è oggi un Paese umanamente e politicamente in sfacelo, in cui una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto si è alleata con una massa in preda a un terrore pseudoreligioso, pronta a sacrificare non soltanto quelle che si chiamavano un tempo libertà costituzionali, ma persino ogni calore nelle relazioni umane”.
V per Vendetta docet: la paura non potrà durare per sempre.
SPECIALE – sabato, 5 marzo 2022 (in occasione dei 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini), prima pubblicazione venerdì, 8 ottobre 2021
In copertina: L’edizione di Epoca! I libri del punto esclamativo di Scritti corsari (introduzione di Piero Ottone).