di Lucia Mazzilli
Ormai l’abbiamo capito, e prestiamo più attenzione alla scelta dei cosmetici che usiamo, abbiamo imparato a leggere le etichette e sappiamo che una serie di conservanti, addensanti e sostanze dannose, chimiche e siliconiche, sono da evitare nel modo più assoluto. Spesso queste sostanze sono indicate con nomi scientifici non sempre di facile comprensione: quindi, meglio controllare. Oltre a ciò si tratta quasi sempre di sostanze non biodegradabili: per fare solo un esempio, le microplastiche contenute negli scrub.
La rete e alcune app indubbiamente ci vengono in soccorso e ci mettono in condizione di comprendere l’elenco dei contenuti di un prodotto, il famoso INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients). All’indirizzo: https://italeen.com/inci/ sono indicate alcune app che ci consentono di capire il livello di qualità e la composizione di un prodotto risalendo dal codice a barre. E non è da dire che l’indicazione ‘prodotto naturale’ o ‘prodotto biologico’ sia sempre veritiera e affidabile.
Una scelta non facile, quindi, quella dei prodotti per la cura del nostro corpo, ma, con un po’ di impegno e attenzione è possibile non cadere in clamorosi errori.
Detto ciò, come è noto, esistono in rete anche una serie di ‘bufale’ e l’universo cosmesi non ne è certo immune. Una di queste ci sembra particolarmente interessante e per certi versi divertente. Nel novembre 2009 uscì la notizia, anche su quotidiani autorevoli stranieri e italiani come il Corriere della Sera e Repubblica, che era stata sgominata in Perù una pericolosa banda criminale che uccideva la gente, principalmente campesinos, per prelevarne il grasso e commercializzarlo in un traffico internazionale di industrie cosmetiche. Nella notizia si parlava anche del coinvolgimento di due ricercatori italiani e di una sessantina di vittime nell’arco di poco tempo. Il traffico, si diceva, durava ormai da trent’anni e il grasso veniva venduto a circa 15.000 dollari al litro. Tantissimi i media che diedero eco a questa storia dal sapore hitchcockiano, la BBC in testa, poche le perplessità sollevate. Molti rispolverarono anche l’antica leggenda dei Pishtacos, citati anche da Mario Vargas Llosa, nel romanzo Il caporale Lituma sulle Ande, malvagi personaggi che decapitavo gli esseri umani, li tagliavano a fettine e si nutrivano del loro grasso.
Questo fino al mese di dicembre 2009, quando si scoprì che i criminali altro non erano che trafficanti di droga e che la storia dei ‘vampiri del grasso umano’ era stata montata ad arte dalla polizia della città peruviana di Trujillo per coprire delitti commessi da un gruppo di agenti.
Per inciso, il grasso umano non può essere usato in cosmetica perché si deteriora in poche ore e perché non può essere compatibile con soggetti diversi. Almeno da questo punto di vista, quindi, possiamo stare tranquilli: quando ci spalmiamo una crema idratante, magari un po’ di parabeni ce li becchiamo, ma non ciccia di campesinos!
Un po’ meno tranquilli possiamo essere quando ci imbattiamo in ‘copia e incolla’ e fake news: purtroppo app che ci consentono di riconoscerle ancora non ce ne sono.
Ma non finisce qui, perché il grasso umano è legato anche a una “strana storia” che vede coinvolto l’ex premier Silvio Berlusconi. Nel 2005, infatti, l’artista Gianni Motti ha realizzato una provocatoria opera d’arte che fu esposta alla fiera di arte moderna e contemporanea Art Basel di Basilea. L’opera altro non è che una normale saponetta, una saponetta realizzata però con grasso di Berlusconi proveniente da un intervento di liposuzione alle cosce e al viso. L’artista ha infatti affermato di essere riuscito a venire in possesso del grasso del Cavaliere grazie a un dipendente della clinica privata svizzera, l’Ars Medica di Gravesano, dove Berlusconi, nel 2004, si era fatto operare. La clinica, ai tempi, cercò di smentire la notizia, ma Motti ribadì che era disposto a far eseguire un esame del DNA alla sua opera. E poi, se ce ne fosse bisogno, occorre ricordare che “L’arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità”, come perspicacemente scriveva Pablo Picasso. La polemica si spense nel tempo. Sagace e fulminante il titolo dell’opera: “Mani pulite”, che fu acquistata senza indugio per 15.000 euro da un collezionista privato. In un’intervista al magazine Weltwoche Motti, evidenziando la sua avversione alle politiche dell’ex Presidente del Consiglio, ha dichiarato «Mi è venuta l’idea dal fatto che il sapone è fatto dal grasso del maiale. Ho pensato che sarebbe più giusto se le persone lavassero le loro mani usando un pezzo di Berlusconi». Nel 2010 l’opera è stata esposta, con notevole successo di pubblico, al Museo di arte contemporanea “Migros” di Zurigo. A giornalisti e curiosi che chiedevano dettagli sul sapone del “Silvio nazionale”, Motti ha dichiarato “Il grasso di Berlusconi puzzava come burro avariato o come vecchio olio per frittura”. E il disgusto cresce in modo esponenziale!
Gianni Motti, artista di Sondrio trasferitosi da anni in Svizzera, è conosciuto per le sue opere dissacranti e provocatorie, feroci e ironiche. Nel caso specifico, come non condividere la sua denuncia per la corruzione di tanta politica italiana, la sua avversione a quel berlusconismo nutrito di ruberie e tangenti e a quella volgare oratoria specchio di una altrettanto volgare e arrogante “cultura”.
Venerdì, 27 agosto 2021
In copertina: Elaborazione grafica di Lucia Mazzilli.