Tra sacro e profano
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Ricordate Georges Brassens, lo chansonnier che cantava tra sottintesi e ironia:
“C’est à travers de larges grilles /
Que les femelles du canton /
Contemplaient un puissant gorille /
Sans souci du qu’en-dira-t-on /
Avec impudeur, ces commères /
Lorgnaient même un endroit précis /
Que, rigoureusement, ma mère /
M’a défendu d’nommer ici /
Gare au gorille!*”?
O, più castamente, Angelo Branduardi nei panni di Spiridione che ci ammoniva attraverso la voce di una bambina, in State buoni se potete:
“Vai cercando qua, vai cercando là, /
Ma quando la morte ti coglierà /
Che ti resterà delle tue voglie? /
Vanità di vanità…”?
Dimenticateli.
Nonostante lo stile un po’ da chansonnier e l’intento un po’ ‘buonista’, quello che porta in scena Simone Cristicchi è un mix di testo, canto e musica che difetta, innanzi tutto, di ironia.
Si inizia con un video che, sul fondale con portone (questo è uno spettacolo più adatto al teatro, contenitore perfetto per esaltare disegno luci, musiche e, appunto, video), mantiene comunque una sua poetica e un’indubbia potenza. Si prosegue con Cristicchi che si pone alcune domande sulle invettive dantesche soprattutto contro la Chiesa senza rintracciare la risposta storicamente accreditata, ossia che Dante puntava il dito contro i papi e Roma sia perché si macchiavano di simonia, ossia svendevano indulgenze, e sia perché la Chiesa, allora (come ora), si intrometteva nella vita politica (incapace di dare a Cesare quel che è di Cesare). Ma Cristicchi non dà queste semplici spiegazioni ben note anche a un liceale e inizia a divagare tra aneliti al tutto espressi attraverso esperienze personali epifaniche e visioni di un paradiso che sarebbe piaciuto poco allo stesso Dante. Quest’ultimo, infatti, metteva i sodomiti nel terzo girone del settimo cerchio (i violenti contro natura) mentre il Vaticano, nel 2021, considera che il DDL Zan, “particolarmente nella parte in cui si stabilisce la ‘criminalizzazione delle condotte discriminatorie’ per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere”, “avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario” – come a dire che ‘discriminare’ sia un atto di fede che uno Stato laico non può condannare (se metteste al posto di omosessuali persone di etnia diversa avreste l’esatta valutazione di ciò che ha rivendicato la Chiesa di Roma nella Nota Vaticana). Eppure nel paradiso di Cristicchi (e forse qualche prelato presente non se n’è accorto) ognuno potrebbe amare chi/come vuole.
Il testo prosegue con un fastidioso miscuglio di credenze edulcorate o imprecise. Anche i cinesi e gli indiani hanno un paradiso, afferma a un certo momento Cristicchi. Ci risulta altro. Mentre l’insieme delle dottrine (confucianesimo, taoismo e buddhismo) tradizionali cinesi servono soprattutto come collante sociale e di mutuo aiuto nell’al di qua, nell’induismo esiste, sì, il paradiso di Indra che però “simboleggia il piacere sensuale estremo e ogni tipo di godimento” (nel quale, chissà quale ruolo avranno le ninfe…), mentre in quello islamico, tra le verzure e i rivoli d’acqua, Cristicchi si dimentica di citare le huri, delle giovinette che attendono – per disposizione divina – di compiacere chi sarà dichiarato degno di entrare in paradiso. E così nell’induismo come nell’Islam si continua quella tradizione maschilista che vede la donna come possesso e fonte di piacere per l’uomo propria dell’al di qua – schiave in eterno.
Ma proseguiamo. Sempre discostandosi dal tema della terza cantica dantesca, Cristicchi afferma che il colore del paradiso sarebbe il verde (e, indubbiamente, per gli islamici che agognano giardini e acqua, provenendo dai deserti riarsi, è così), confondendo palesemente l’iconografia cristiana che vede verde il giardino dell’Eden e azzurro il paradiso che attende i cristiani, in quanto identificato con il cielo – in cui non possono accedere gli atei (a differenza di quanto affermato da Cristicchi) anche se ottime persone in vita. E del resto, l’assioma su cui si fonda il diktat dell’esclusione è ovvio: in paradiso si contemplerà Dio ma se non si è mai creduto in lui, come vederlo?
Ma proseguiamo, non per essere pedanti ma perché la confusione è grande sotto il cielo e non è sempre detto che questo implichi che la situazione sia eccellente (Mao Zedong permettendo).
A un certo punto in questa specie di predica laico-religiosa, Cristicchi cita Einstein quasi a voler provare che la scienza ammette l’esistenza di Dio. Ora, aldilà che non si sa bene quale, e comunque più un’intelligenza o un motore cosmico che non un Dio che vede, giudica e punisce pur essendo onnisciente e, quindi, sapendo prima ancora che noi agiamo (illusi dal libero arbitrio di farlo in maniera indipendente) cosa faremo e quale sarà la nostra punizione divina, potremmo citare molti altri scienziati atei. Pensiamo a Richard Dawkins, biologo evolutivo e membro della Royal Society che, in L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, fa notare come già nel 1998 su Nature, una ricerca dimostrava che: “tra gli scienziati americani considerati dai loro pari abbastanza autorevoli da far parte della National Academy of Sciences […] solo il 7% crede in un Dio personale”. Il filosofo e logico Bertrand Russell usava la metafora della teiera celeste per contestare l’idea che debba essere lo scettico a dimostrare che qualcosa non esiste, quando ciò spetta a chi adduce che esista (e altrimenti perché cercare le prove di una teoria?). Piergiorgio Odifreddi, matematico e logico, in Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) sottolinea che “nessuna testimonianza storica esiste sulla persona e sulla vita di Gesù, al di fuori del Nuovo Testamento. Le prime notizie su di lui risalgono a metà del I secolo e.V. e si trovano nelle lettere di Paolo, che sono precedenti ai Vangeli. Si tratta dunque di testimonianze da parte di una persona che, dichiaratamente, non ha mai incontrato colui di cui predica”. E chiudiamo la breve carrellata con il cosmologo Stephen W. Hawking che ha dichiarato: “Considero il cervello come un computer che smetterà di funzionare quando le sue componenti cederanno. Non esiste paradiso o aldilà per i computer rotti; quella è una favoletta per le persone che hanno paura del buio”.
Abbiamo ammorbato il lettore con questa lunga dissertazione per due motivi. In primis perché se si ha una visione deista, panteistica o eutopica dell’esistenza e si vuole comunicarla non bisognerebbe però confondere dogmi e fatti edulcorandoli o reinterpretandoli – e, nel caso, ci si chiede quanto il teatro sia il luogo deputato per esprimere una serie di concetti forse più adatti al pulpito che non al palco. Ma si sa, in tempi in cui ci vuole il green pass per andare a teatro ma non a messa, forse il futuro del teatro sarà quello di svolgersi in chiesa. La seconda è che questi festeggiamenti per i 700 anni dalla morte (non sarebbe stato meglio per la nascita?) hanno portato a rivalutare il poema dantesco e il suo autore ben oltre i confini del dovuto riconoscimento per la grandezza poetica, tentando di calcare la mano su un uomo e un politico in fin dei conti estremamente medievale e ben poco condivisibile dai contemporanei – se non per le legittime accuse contro una serie di storture che affliggono tutt’oggi la nostra società, quali la corruzione (e anche rispetto al debito che l’italiano avrebbe nei confronti del succitato poema, rimandiamo a https://www.inthenet.eu/2021/01/22/litaliano-e-figlio-della-commedia/).
Ogni quadro è intervallato da brevi canzoni o passaggi musicali (il migliore quello accompagnato semplicemente con la chitarra). Nel finale la voce di Cristicchi ha un po’ ceduto – ma la prova attorale e vocale ha comunque retto bene a uno spettacolo obiettivamente lungo e impegnativo anche per il performer. Bello il video della marea che si espande e ritrae come il soffio vitale di madre terra.
Interessante vedere i vicini di posto trascorrere metà della serata a leggere il cellulare, chiacchierare, frugare nella borsa e fare altro e poi alzarsi per applaudire freneticamente (credendo che lo spettacolo fosse finito, per poi sbuffare quando si sono accorti che mancava ancora l’ultima canzone).
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito della 75esima edizione della Festa del Teatro:
(organizza Fondazione Istituto Dramma Popolare)
mercoledì 28 luglio 2021, ore 21.30
piazza Duomo
San Miniato
Paradiso. Dalle tenebre alla luce
scritto da Simone Cristicchi in collaborazione con Manfredi Rutelli
musiche di Valter Sivilotti e Simone Cristicchi
canzoni di Simone Cristicchi
videoproiezioni Andrea Cocchi
disegno luci Rossano Siragusano
aiuto regia Ariele Vincenti
regia di Simone Cristicchi
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Accademia Perduta Romagna Teatri, Arca Azzurra e Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato
*È attraverso larghe sbarre /
Che le femmine del rione /
Contemplavano un possente gorilla /
Senza preoccuparsi dei pettegolezzi /
Impudiche, quelle comari /
Sbirciavano un punto preciso /
Che, rigorosamente, mia madre /
Mi ha proibito di nominare /
Attenti al gorilla!
(Ci avrebbe fatto piacere utilizzare la traduzione di Fabrizio De Andrè, che rese celebre questa canzone anche in Italia, ma sul sito ufficiale del musicista ‘anarchico’ par excellence si legge: “È severamente vietata la riproduzione dei testi in tutto o in parte” – e così dovrete accontentarvi della nostra, meno poetica sebbene più fedele).
Venerdì, 13 agosto 2021
In copertina: San Miniato, dove si svolge la Festa del Teatro. Foto di Alessandro Squassoni da Pixabay.