Il teatro come specchio della psiche, delle relazioni, dei falsi miti della società
di Simona Maria Frigerio
Tre performance molto diverse eppure accomunate da una necessità di riflessione (nel senso di rinvio dell’immagine ma anche di esercizio del pensiero) su tematiche importanti.
Partiamo da Architettura della disobbedienza, esperienza teatrale ideata avvalendosi della consulenza scientifica del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. In una stanza si ritrovano alcuni spettatori in circolo, guidati da una performer a costruire, ognuno, attraverso una narrazione che dovrebbe dare libera espressione al flusso di coscienza, la propria città ideale, mentre altri spettatori – testimoni del racconto che si va via via producendo grazie all’apporto di ciascun partecipante – dovranno poi restituire, su un foglio di carta, la visione della città ideale prodotta.
Sebbene in tutto ciò non si capisca il perché della ‘disobbedienza’ del titolo, visto che si è guidati nella costruzione, i veri dubbi stanno altrove. Il primo è che la guida pone domande troppo specifiche perché la persona possa sentirsi davvero libera di lasciarsi andare, introducendo altresì l’elemento umano e, quindi, un’alterità con la quale – confrontandosi – si rientra nelle logiche del presente/reale, invece che del possibile/ideale. Per fare un esempio, perché si chiede di descrivere un uomo o una donna? Perché non parlare genericamente di ‘esseri’? Tenendo conto che l’accento su una presenza umana porterà quasi necessariamente a una antropomorfizzazione della città utopica che, al contrario, potrebbe ospitare creature fantastiche (dato che parrebbe essere la liberazione dell’inconscio uno tra gli obiettivi dichiarati dalla stessa guida, a inizio ‘esperienza’). Forse elaborare le domande e le linee guida anche col dipartimento di psicologia avrebbe giovato in questo senso.
Il secondo gap è la restituzione. Premesso che si voglia per forza darla (anche se l’esperienza dovrebbe possedere in sé il proprio senso, che è quello della ricostruzione nella mente di ogni spettatore di questa città complessa, nata da una specie di inconscio collettivo dato dalla somma delle fantasie individuali), pensare che le persone (senza preparazione o spiegazioni circa gli elementi sui quali dovrebbero concentrarsi), con una semplice penna e un foglio di carta, restituiscano un senso tridimensionale a un volo mentale, pare quanto mai azzardato. E infatti, dopo l’esperienza teatrale da me esperita, una spettatrice ha scritto qualche pensiero emerso e un’altra ha schizzato lo scorcio di una via. Non certo un insieme di costruzioni tridimensionali da apporre le une accanto alle altre per ridare il senso della complessità di tale città inventata in una quarantina di minuti (e che parrebbe fosse, anche questo, tra i fini degli ideatori).
Dal Politecnico di Milano ci si attendeva almeno un software montato su schermi che mettessero a disposizione dei cosiddetti testimoni la possibilità di disegnare davvero e tridimensionalmente quanto veniva partorito in diretta dalle menti coinvolte. Se d’altronde, come spiegato da uno degli ideatori, il fine era semplicemente che ognuno immaginasse questa città e la ritenesse a mente, a parte l’ovvia labilità della memoria individuale, va tenuto conto della mancanza di interesse, a livello inconscio, per i sogni altrui e, di conseguenza, la volatilità di una simile richiesta.
Un’occasione, secondo noi, mancata.
A seguire assistiamo a L’amore del cuore di Caryl Churchill nella rilettura della regista Lisa Ferlazzo Natoli, la quale si fa notare in quanto giustifica il gioco di continue interruzioni e riprese della cinquantina di battute del testo, dando al personaggio del figlio il ruolo del regista e utilizzando lo strumento microfono per accentuare la distanziazione da un testo che, come d’uso in Churchill, è decisamente antinaturalistico.
L’effetto perturbante suscitato da L’uomo della sabbia dei Menoventi (https://teatro.persinsala.it/luomo-della-sabbia-versiliana-upgrade-festival/14599/) risulta, quindi, in parte depotenziato dalla scelta di far credere al pubblico di trovarsi di fronte a una prova teatrale – ergendo così una quarta parete solida e stilisticamente ineccepibile che, però, rischia di conquistare più i critici e gli addetti ai lavori (anche grazie alla precisione e bravura dell’intero cast) che non il pubblico. La distanziazione è, infatti, perfetta per un teatro didattico e/o epico, ma rischia di mostrare le corde e farsi intellettualismo quando un testo sia essenzialmente emotivo e allusivo, come questo della Churchill – che, infatti, non conta tanto cosa esprima (ogni spettatore vi potrà riflettere frammenti del proprio vissuto familiare) quanto la capacità di farci sentire acutamente come un minimo variare delle nostre azioni, nell’accento dato alle parole (vedasi l’uso aggressivo di ‘Tonga’ che si addolcisce solo nel finale) o nell’impeto o debolezza delle nostre espressioni, può cambiare il corso di più esistenze, oltre alla nostra. In questo senso la regia e l’interpretazione raggiungono vette eccelse, dimostrando come i rapporti di forza all’interno di una famiglia possano disequilibrarsi semplicemente a causa di una sottolineatura espressiva, di una parola sbagliata. E però laddove questo meccanismo – se non vi fosse il regista – provocherebbe una perdita d’orientamento perturbante nello spettatore, la rigidità metateatrale rischia di accentuare la forma a discapito dell’emozione, il che pone qualche dubbio.
Ciò non toglie che lo spettacolo sia stilisticamente godibile ai massimi livelli.
In chiusura di serata e di Festival, il giardino della Misericordia ospita il folto pubblico composto dai cittadini di Sansepolcro (di ogni età), accorsi per applaudire Andrea Cosentino, l’Andy Kaufman italiano. E infatti quando Cosentino recita, imita, suona o canta, lo spettacolo vola. Ma…
E qui, ancora una volta, nascono i dubbi. Meno coeso di Trattato di Economia (https://teatro.persinsala.it/trattato-di-economia/22519/), dove i vari linguaggi si fondevano coerentemente, questo spettacolo – come quello di Sotterraneo, Atlante linguistico della Pangea, visto il giorno precedente sempre a Kilowatt (e recensito su IntheNet) – pare più un contenitore di sketch o scene a sé stanti – nonostante l’idea della festa popolare quale sottotraccia – che non una performance.
Le scene di Biancaneve così come della processione popolare, per non parlare del ballo/tormentone estivo, sono troppo lunghe – tanto da diventare monotone e far perdere mordente alla stesse. Mordente che si può rintracciare, al contrario, in alcune battute, come nell’accusa dei giovani contro i vecchi che li stanno annientando per invidia (e qui il rimando a questi tempi di Covid dove i giovani non possono andare a scuola, dagli amici o a fare sport per preservare i nonnini è davvero ficcante), oppure nell’ironia sottesa a una folla di spettatori che dovrebbe essere consapevole di quella stessa ironia e, invece, si presta a fare il ballo/tormentone – credendoci – quasi fosse su una spiaggia e non di fronte a un autore acuto come Cosentino al suo meglio.
E Cosentino ha bisogno, come Kaufman, di molto meno. Di sé, di qualche oggetto, di un supporto musicale (come in Kotekino Riff).
Nota a margine doverosa: abbiamo notato una grande partecipazione a tutti gli spettacoli ai quali abbiamo assistito. La proibizione di fare il dopo-festival (per l’ennesimo cavillo burocratico di un sistema politico-amministrativo che pare sempre più guardare al dito invece che alla luna) ha inficiato non tanto il Festival in sé, quanto la possibilità di incontro – tra spettatori e compagnie, quest’ultime con critici e organizzatori, e tra artisti. L’ennesimo colpo basso a un settore, come quello teatrale, che sulla socialità e lo scambio genera il meglio di sé; e alla vita associativa dei cittadini che, vaccinati o meno, hanno perso un’occasione per esserci, come collettività, dopo mesi di restrizioni. Ma si sa che la politica nostrana è magnanima solo con il calcio e i caroselli dei tifosi (salvo poi colpevolizzarli di eventuali contagi).
Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Kilowatt Festival:
Sansepolcro, varie location
sabato 24 luglio 2021, ore 18.00
Palazzo Aloigi Luzzi
Architettura della disobbedienza
ideazione Francesco Fassone
drammaturgia Fabrizio Sinisi
regia Emiliano Bronzino
con Maria José Revert, Daniele Timpano
creazione e messa in scena Emiliano Bronzino, Francesco Fassone e Maria Josè Revert
consulenza scientifica Dipartimento di Design del Politecnico di Milano
collaborazione alla creazione Elisabetta Maniga
direzione tecnica Elia Iachetti
ore 21.30
Chiostro Santa Chiara
L’amore del cuore
di Caryl Churchill
un progetto de lacasadargilla
regia Lisa Ferlazzo Natoli
con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano
e con Angelica Azzellini
ore 22.40
Giardino della Misericordia
Fake Folk
di e con Andrea Cosentino, Alessandra De Luca, Lorenzo Lemme e Nexus
montaggio video, allestimento tecnico, coordinamento Dario Aggioli
scene Antonio Belardi
costumi Anna Coluccia
collaborazione alla drammaturgia Alessandra De Luca
suono e musica dal vivo Lorenzo Lemme
design realtà aumentata e movimenti scenici Nexus
produzione Cranpi
in collaborazione con Aldes, Teatro Biblioteca Quarticciolo
Venerdì, 13 agosto 2021
In copertina: L’amore del cuore (foto gentilmente fornita dall’Ufficio stampa di Kilowatt Festival)