Il palco di Testimonianze Ricerca Azioni 2016 accoglie una ʻstella danzante’
di Luciano Uggè
il Festival organizzato da Teatro Akropolis presenta l’ultimo spettacolo ideato e diretto da Clemente Tafuri e David Beronio.
Dal buio si emerge per un viaggio sensoriale dove la parola è assente. La violenza, propria delle fasi inziali, vissuta nell’oscurità, tra urla e suoni gutturali, gemiti via via sempre più strutturati – fino a giungere al confine con il musicale – sono gli scarni segnali di un continuum in perenne evoluzione.
Quadri che si alternano su un palcoscenico scarno, minimale, ai confini con il teatro povero, dove un tavolo (che rimanda, forse involontariamente, a quello de Il Principe Costante) si apre a nuovi significati. Oggetto multifunzionale, insieme banchetto orgiastico, lettino da sala parto, luogo deputato per la recita finale.
Corpi che si muovono in spazi ristretti dove non sono ammesse le possibilità di fuga. Mentre la musica, con un crescendo lento ma in apparenza inarrestabile, come la marea dei sensi, sottolinea la successione di eventi atemporali. Corpi/forma che si muovono raso terra, strisciano, senza nessuna possibilità di crescita, quasi rimanessero allo stato magmatico ed embrionale. E d’un tratto si staglia, netta, l’immagine di una lotta per il cambiamento di fronte alla statuaria staticità dell’esistente. In quella contrapposizione tra esseri che agiscono e spettatori, si scontrano due distinte visioni che non possono conciliarsi perché antitetiche.
Anche le emozioni suscitate nel pubblico si susseguono senza soluzione di continuità: disperazione, compartecipazione, la gestazione vissuta come momento finalmente condiviso dall’intera comunità, e il disperato accanirsi sui miseri resti quale tragica fine del mito matriarcale che crolla di fronte all’insensibilità del potere maschile.
La disperazione è resa bene dalla prova attorale (di Luca Donatiello, Francesca Melis, Alessandro Romi e Felice Siciliano) e vieppiù accentuata anche se l’apice appare come meta irraggiungibile in questo inerpicarsi verso un climax, che si acquieterà nel finale.
Da un punto di vista politico, alcuni rimandi sembrano generare la visione di un potere che agisce in modo apparentemente dissennato, ma che ha precisi scopi economico-politici. Un potere in grado di creare a tavolino situazioni emergenziali che fingerà poi di voler emendare, quando il suo unico scopo è rigettare gli ultimi in uno stato primordiale. Il girone dantesco appare senza uscita eppure la parola poetica, che si dispiega nel finale, pare ridare speranza, quasi fosse un invito a uscire ʻa riveder le stelle’.
Terminato lo spettacolo, si inaugura il murale dipinto dal Collettivo BDS Crew. Il cortocircuito emozionale è forte perché il tema e l’esecuzione sembrano riportarci ai primordi umani, quasi fossimo noi, ora, gli attori sul palco-mondo.
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 16 aprile 2016
In copertina: Una scena dello spettacolo Morte di Zarathustra (foto gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Festival).