A Buti va in scena Jean Genet
di Simona Maria Frigerio
Una prima nazionale per l’apertura della Stagione, che propone Una messa laica per Jean Genet presso il Teatro Vittoria a Cascine di Buti.
All’entrata in sala, il pubblico è invitato a predisporsi, unitamente agli attori che al momento non sono in scena, a semicerchio, lasciando libero solo lo spazio centrale per la recita. Una vicinanza, tra spettatori e interpreti, che rende ancora più evidente la durezza e la drammaticità della struttura drammaturgica.
Nella parte iniziale, con l’ottima resa di Giovanna Daddi, sembra di assistere e vivere i travagli, i turbamenti e le violenze subiti da Genet ragazzo (sottolineati anche nel successivo monologo, ben interpretato da uno tra i giovani attori del Teatro Laboratorio), che lo porteranno ad atti di ribellione e furti e a essere ospite di diverse strutture carcerarie dell’epoca – per la verità, non molto dissimili da quelle di oggi. Il testo non indugia in buonismi, al contrario la durezza dell’adolescenza è resa ben evidente, così come la necessità di una via di fuga – reale e psicologica.
L’arrivo della guerra pone come sempre il problema del con chi stare. Da chi proteggersi o farsi proteggere. E per Jean Genet la risposta sta tutta nelle precedenti vicende personali, negli incontri/scontri con il potere costituito, per lui incarnato nell’assistenza scoiale, e con i coetanei. In lui prevarranno, non a caso, la necessità di sopravvivere e una certa sete di rivalsa. Un periodo travagliato, quello tra gli anni 30 e la fine della Seconda guerra mondiale, superato con la fama, prima, e poi con l’impegno, per un lungo periodo, a favore degli ultimi, di coloro che rivendicano il diritto a una patria, i palestinesi, e il riconoscimento dei diritti civili, come nel caso degli afroamericani statunitensi. Colpisce, proprio tenendo in considerazione le scelte operate da Genet in vita, la parte centrale dello spettacolo incentrata su quei luoghi comuni che le comunità gay e lesbiche hanno da tempo, e con difficoltà, superato grazie alla parificazione – almeno in quasi tutti i Paesi occidentali – dei diritti con quelli della comunità eterosessuale.
Uno spettacolo (scritto da Luca Scarlini, per la regia di Dario Marconcini) che ha nella coralità e nella vicinanza del pubblico i propri punti di forza; ben calibrato negli interventi attorali e nell’uso delle luci; ma che evidenzia la differenza qualitativa tra chi può lavorare nel campo a livello professionale e chi solamente nei ritagli di tempo sottratti al lavoro. La suddivisione in movimenti non toglie fluidità allo spettacolo ma, soprattutto nelle parti cantate a cappella, mostra le difficoltà in chi canta di mantenere il giusto ritmo e tonalità in caso di motivi estesi su più strofe. Interessante, al contrario, l’utilizzo del cantato quale accompagnamento di sottofondo di un attore altro, che reciti in contemporanea. La coralità, che – come scrivevamo – contraddistingue positivamente l’intera opera, è resa ancora più vibrante nella parte finale dello spettacolo che, significativamente, parla di libri, di cultura e della necessità di un teatro vivo, intenso e di reale denuncia.
Nel complesso, un inizio interessante per questa nuova avventura del Teatro di Buti.
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 1° dicembre 2018
In copertina: Il manifesto dello spettacolo.