A Kilowatt Festival 2015 sono protagonisti i ʻcattivi ragazzi’
di Luciano Uggè
Sogno e realtà protagonisti della serata di martedì 21 luglio a Sansepolcro, con il burattino collodiano rivisto da Zaches Teatro, e il secondo quadro della Trilogia della provincia firmata da Oscar De Summa.
Incuriosisce il prologo di Pinocchio, con il personaggio dotato di maggior potere nel romanzo (la fatina) che appare in scena filoguidato, quasi a indicare una impossibilità a mutare gli eventi: inizio o fine della storia?
Una regia molto curata che, con un sapiente uso dei pochi oggetti di scena, riesce a evocare, usando tutti i linguaggi propri del teatro, il succedersi degli eventi. Il teatro di figura aggiunge pathos alle parole della fatina che, in ogni caso, risuonano sempre come un richiamo ai buoni sentimenti e ai comportamenti corretti – con un premio in cambio del pentimento, vero o presunto, duraturo o passeggero che sia (simbolicamente ben rappresentativo di una società patriarcale nella quale ancora ci dibattiamo).
Lo studio come rivalsa, per dare un senso compiuto all’esistenza, suona sgradevole in questo mondo dove sono continuamente mortificati, in silenzio, i sogni di intere generazioni. Il modello di sviluppo capitalistico imposto arriva a denigrare coloro che, dopo anni di studio, non accettano un lavoro qualsivoglia o dequalificato e, spesso, malpagato, che venga loro offerto (la pomposità di Expo Milano e l’utilizzo bieco delle e dei giovani, spesso laureati, ne è solo l’ultimo e più desolante esempio).
Ma in questo Pinocchio siamo ben lontani dalla critica corrosiva a questa nostra società. Il pubblico, reso complice del supplizio al quale è sottoposto il burattino, sdrammatizza il finale – laddove l’uso intelligente delle luci aggiungerebbe drammaticità alla lotta contro un mare in tempesta. Lo spettacolo si snoda velocemente e senza pause. Molto belle le maschere, sempre incisive nel definire i personaggi per un racconto che poco aggiunge, nella traduzione teatrale, al romanzo di Collodi.
Buia piazza Torre di Berta sotto le stelle; le sdraio, da stabilimento balneare, accolgono gli spettatori, cullandoli. Quando, improvviso, un motivo di trent’anni fa e oltre squarcia l’aria e rompe l’incantesimo: Oscar De Summa inizia a raccontare. L’epoca è immediatamente identificabile: è il vissuto, più o meno tragico, di molti di noi. Il luogo dove si svolge Stasera sono in vena, la Puglia dei primi anni 80, accentua la situazione di disagio – in secondo piano, il bisogno di dire no, di non partecipare alla tragica messinscena che vuole riprodurre l’esistente.
La storia è nota a chi abbia vissuto quegli anni. La complicità tra sessi, il vivere nuove forme di amicizia sono accompagnati dall’arrivo e dall’utilizzo della cannabis e dell’hashish – rollare è il verbo inventato per l’occasione (torna alla mente il ringraziamento di Paul Simon a chi vende joints, nel celeberrimo concerto a Central Park, registrato anche sull’album). Si passa il tempo in modo diverso, ancora certi di poterlo cambiare. Ci si inventa di poter entrare nel giro, magari come distributori. Siamo tuttora al livello delle scelte personali, frutto di intuizioni o scommesse.
Poi, improvvisamente, lo scenario cambia. Il mercato libero (chi l’ha mai visto?), una finzione che ci viene sbandierata in ogni occasione, pretende di più. La ricerca e l’appropriazione del proprio spazio vitale – come insegnano le multinazionali insanguinando interi continenti – diventa indispensabile per garantire continuità albusiness e crescita degli introiti. Nuove sostanze compaiono quasi dal nulla, danno sensazioni “stupefacenti” ma, inesorabilmente, legano portando alla dipendenza.
La necessità muta i comportamenti, il fine è la sua soddisfazione. Si rompono amicizie, si minaccia e si ferisce chiunque sia in grado di darci i mezzi per procurarci la sostanza. È un viaggio solitario consumato, spesso, in compagnia. Chi controlla il mercato non si preoccupa del risultato se non ne viene direttamente coinvolto – con la morte di un familiare o l’arresto.
Un racconto crudo e drammatico che narra di intimità spezzate, amicizie e amori apprezzati solo prima o dopo. Un vissuto personale e collettivo di miserie non percepite, tentativi di rivalsa consumati in proprio o in comunità/ghetto che solo eventi drammatici o eccezionali riescono a spezzare.
L’autore e interprete, pur nella drammaticità del racconto, riesce a inserire il richiamo al silenzio per i ragazzini schiamazzanti ai lati della piazza: evidentemente la sensibilità verso certe problematiche è ancora lontana dall’essere priorità comune.
Uno spettacolo, volutamente – e diciamo, positivamente – intervallato da brani musicali noti che aiutano gli spettatori ad addentrarsi in un’epoca segnata da un vissuto drammatico, a livello personale e generazionale. Da figli dei fiori a eroinomani, da rivoluzionari a tossicodipendenti. Perché?
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 22 luglio 2015
In copertina: Oscar De Summa (foto gentilmente fornita dall’artista).