Personaggi in cerca d’autore
di Luciano Uggè
Alla Tenuta dello Scompiglio va in scena, in prima assoluta, una performance di Leonardo Delogu / DOM. Idee interessanti ma la realizzazione non convince del tutto.
Una passeggiata, i ciliegi ci circondano con i loro frutti maturi: impossibile resistervi. Saliamo alla ricerca di una radura, che non c’è, ci accomodiamo tra le conifere non sapendo bene dove indirizzare gli sguardi. Una musica avvolgente, una voce calma e vagamente rassicurante ci giungono alle spalle: un incipit o lo svolgersi dell’intero spettacolo? L’ennesimo Cappuccetto rosso o un racconto horror tra i bush australiani?
Lunedì 1° giugno alla Tenuta dello Scompiglio di Vorno. Il mistero si svela lentamente, il fuoco, prima acceso, si spegne e con esso scompare anche l’iniziale gioiosità. Una scampagnata nel bosco: si intravvedono strutture primitive, la circolarità del racconto si rifrange nella circolarità degli spazi. I performer si muovono tra cespugli e alberi, a tratti scomparendo alla vista, per poi tornare – in una successione di quadri – sempre più in primo piano. Il fuoco, come l’amore, quando si estingue lascia il campo alle più spiacevoli costrizioni. Gli ampi spazi non attenuano il senso di impotenza di fronte a quanto accade: rapporti subiti, giuochi sessuali non voluti che, pian piano, degenerano trasformandosi in violenze di gruppo.
Il tempo trascorre, anche a livello simbolico, e con l’avanzare dell’età aumentano i rancori e la voglia di possedere al di sopra di ogni altra considerazione. I corpi si lacerano, si gettano, cadono sulla nuda terra che sembra la sola capace di fornire un po’ di sollievo. Vengono alla mente tristi immagini di cronaca, omicidi con conseguenti suicidi, la donna quale vittima sacrificale e, quando si giunge alla fine del racconto, quando sembra che tutte le inibizioni siano state rimosse e la degenerazione diventi totale – con un’escalation di violenza verbale e fisica che non lascia scampo – la risposta sembra quella di rinchiudersi tra le sicure pareti domestiche (costruite con indiscutibile abilità in pochi minuti), negandosi a ciò che sta all’esterno, noi compresi.
Si è giunti, nel frattempo, al tramonto e il freddo che avanza aiuta lo spettatore, quasi involontariamente, a rinchiudersi egli stesso, nella propria giacca, agognando quella casa che si intravede tra le fronde – quasi a voler sottrarsi al coinvolgimento verso ciò che accade di fronte a sé. Ma sarà proprio vero che se l’umanità è lasciata libera di scegliere, libera di non pregare (pensiero a cui si accenna all’inizio della performance) ma semplicemente di vivere il qui e ora, può solamente degenerare?
Alla fine ci si allontana forse per lasciarsi alle spalle quello a cui si è assistito, con uno sguardo un po’ diverso verso quegli stessi luoghi che, all’arrivo, ci sembravano intrisi di pace.
Pubblicato su Artalks.net, il 4 giugno 2015
In copertina: Leonardo Delogu. Foto F.A. (tutti i diritti riservati).