Galleria Continua. Fine d’anno multidisciplinare
di Simona Maria Frigerio
A San Gimignano, tre artisti internazionali raccontano l’universo espressivo contemporaneo tra fotografia, arte concettuale e figurativa, musica e videoarte.
La fluidità dei generi è sempre più evidente e sotto gli occhi di tutti. La performance e la performing art sono ormai facce della stessa medaglia, separate da rigidità accademiche che hanno poco o nulla a che fare con la temperie creativa degli artisti di oggi, che amano una mezcla di stili, linguaggi e media in grado, sola, di rendere la complessità del mondo che ci circonda. E se il teatro attinge alla videoarte e, da sempre, è maestro nell’uso espressivo delle luci e delle musiche; dal canto loro, le cosiddette arti figurative (sempre meno figurative) scoprono nel movimento e nell’ibridazione, nel dialogo e nella contaminatio nuove ragioni d’essere.
Fino al 13 gennaio, alla Galleria Continua di San Gimignano (e nelle sue numerose sedi nel centro storico), saranno esposti alcuni artisti che mostrano come questa multidisciplinarietà sia fattore unificante di un percorso nel contemporaneo.
Si parte da Jorge Macchi, al quale è dedicata un’ampia personale con opere (a parte La noche de los museos, del 2016, e alcuni acquerelli) create appositamente per questa mostra. L’artista argentino mixa con disinvoltura l’elemento musicale (grazie alla collaborazione con il compositore Edgardo Rudnitzky), la videoarte, il recupero di materiali poveri (vedasi il tappeto di lana dell’opera del 2016), con una solida preparazione pittorica in grado di restituire, attraverso il trompe-l’oeil, la fragilità intrinseca alla nostra percezione di realtà. E siccome l’arte, come la storia e la cultura, si nutre attraverso le proprie radici, i rimandi in Macchi non mancano – e non bisognerebbe mai arricciare il naso quando si ritrova continuità di forme, nella gestione dello spazio, nella scelta di tecniche o cromie.
Temporary relief 02 (olio su tela, 2018) mostra un’ottima capacità di resa tridimensionale in uno spazio, in realtà, bidimensionale come la tela (e sorge spontaneo l’accostamento alla maestria di un Bramante nella finta abside di Santa Maria presso San Satiro a Milano). Mentre Suspension points 03 (acrilico su carta, 2018) è, insieme, omaggio al pointillisme, e autoironico accenno al doppio senso dei punti di sospensione che “sospendono”, appunto, la nostra lettura, invitandoci a fare un respiro o a riflettere su quanto letto o a immaginare la frase e/o l’azione seguente, e che, nell’esplosione dell’immagine del dittico, acuiscono la nostra sensazione di precarietà materica, di “sospensione” statica in un universo in costante mutazione atomica. E ancora, la serie di Present (acciaio, 2018) non può che rimandare, nella presunta leggerezza, alle maschere in filo di ferro di Calder (attualmente visibili a Palazzo Blu di Pisa).
La sottile concettualità di Macchi trova, nei piccoli acquerelli, elementi di raffinata eleganza. In particolare, da notare Timescape 01(acquerello su carta, 2017), dove l’apparente semplicità della forma nasconde un universo di senso perché montagne e picchi, e tutta la possenza della nostra materia terrestre, non potrà che ridursi in polvere, quella che filtra nella clessidra inesorabilmente. Eppure con impagabile levità.
Ancora molti i lavori in mostra, tutti da leggere su più piani espressivi e sotto punti di vista diversi. Ma tra i molti, ci piace puntare sulla collaborazione tra Macchi stesso e il musicista argentino Edgardo Rudnitzky. L’installazione sonora Waking Hours (2018), composta da una serie di giradischi che si azionano con dei sensori che registrano la presenza, nei pressi, di una persona, grazie all’abilità compositiva di Rudnitzky, possiede un fascino proprio – insieme poetico e altamente concettuale. Il breve motivo cardine che si ripete in loop su tutte le piastre, indipendentemente da quando azionato, se suonato da solo ha un sapore basico e solitario, ma se più giradischi sono messi in funzione contemporaneamente, l’apparato sonoro diventa non solamente polifonico ma anche in grado di restituire un’armonia varia e piacevole all’udito – quasi un inno alla compartecipazione, il bisogno di affermare che solamente nell’azione comune si può raggiungere obiettivi di bellezza e sapienza.
Al Leon Bianco (altra sede di Continua a San Gimignano) sono in mostra le fotografie di Hiroshi Sugimoto, appartenenti alla serie The First Encounter. L’Italia attraverso gli occhi di Hiroshi Sugimoto e l’Ambasciata Tenshō. Cambio di mezzo espressivo e di continente (dall’America Latina all’Italia vista da un artista giapponese), eppure alcuni elementi riscontrati nel lavoro di Macchi, quali i rimandi al passato, tornano anche qui. Le ardite prospettive di un Tintoretto, le diagonali della pittura rinascimentale (con la sua visione matematica del mondo, che non può non rimandare alle armonie musicali e, quindi, matematiche di Macchi/ Rudnitzky), la sensibilità per il chiaroscuro vicina alla statuaria manierista, gli scorci ad infinitum, possiedono qualità sinestesiche che permettono di accarezzare il modellato delle forme con l’occhio, e di pascere la mente tra i ricami barocchi degli opulenti apparati teatrali.
L’ultima artista in mostra, nella Torre, presente purtroppo solamente con due opere, è Shilpa Gupta. Se Thought Inside a Thought(2017) non può che rimandare, nell’uso del neon ai lavori di Mario Merz; la circolarità della forma è sia indicativa di quell’eterno ritorno di discendenza buddhista, ma anche del pensiero, e della sua capacità di scaturire (attraverso quella rete di impulsi elettrici generati dai neuroni) dal nostro cervello per farsi parola e azione nel mondo (e qui l’uso dei neon/luce diventa, oltre che scelta poetica, anche necessità concettuale). Nella sala accanto, Untitled (resina polimerica e legno, 2017/18), una scultura che prende spunto dalla serie fotografica Do not See Do not Hear Do not Speak e che, nell’attuale situazione di violenza subita dalle donne indiane, e nell’apparente immobilità di una società divisa tra attaccamento a tradizioni barbariche come le caste e una frenetica rincorsa verso un’industrializzazione spesso distruttiva – sia per l’ambiente sia per la qualità di vita delle popolazioni – si pone come immagine di un Paese, insieme angosciante eppure fortemente di denuncia.
Dalla scultura alla pittura, dalla videoarte all’installazione sonora fino alla fotografia, dai rimandi al passato allo specchio del presente, le arti oggi si incontrano e ci parlano: basta saperle ascoltare.
Pubblicato su Artalks.net, il 15 dicembre 2018
In copertina: San Gimignano, foto di Luciano Uggè (vietata la riproduzione).