Non solo online
di Simona Maria Frigerio
Rispetto al trasporre un’arte dal vivo in un’arte su piattaforme online – il che non ha senso in quanto si sta facendo altro e occorrerebbe ammetterlo, onestamente – vi sono realtà, sparse su tutto il territorio nazionale e delle quali forse si parla poco, che hanno preso una precisa posizione. Di fronte all’invito del Ministro Franceschini di restarsene a casa o di optare per ItsArt, hanno rifiutato la logica della farsa per compiacere il potere e sono andate avanti a fare il proprio il lavoro. Vi raccontiamo due tra queste esperienze che rimandano al mittente gli inviti della politica – forse troppo usa a scambi di poltrone e favori – e dimostrano come si possa e si debba resistere. In presenza.
A Buti proseguono le prove
A porte chiuse, il Francesco di Bartolo di Buti (in provincia di Pisa), da anni fiore all’occhiello della sperimentazione – sia grazie alla presenza di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet sia per l’inesauribile impegno della coppia Marconcini/Daddi, che si ostina a portare in un piccolo borgo toscano compagnie e artisti che faticano a trovare spazio laddove la ricerca dovrebbe essere ospitata, ossia nei teatri nazionali che, altrimenti, non si sa perché dovrebbero ottenere fondi pubblici (dato che i nomi noti, come si faceva in passato, dovrebbero appoggiarsi a teatri privati e fidare nel botteghino, invece che sulle nostre tasse); ebbene, qui, la scelta di Dario Marconcini, direttore artistico, è stata quella di offrire, a tutte le compagnie che avrebbero dovuto calcare questo piccolo palcoscenico, lo spazio per le prove e per mettere a punto gli spettacoli che andranno in scena, si spera, a ottobre 2021.
Alla fine del lavoro, una restituzione per un numero ristretto di operatori e critici che ha permesso anche a noi di vedere la prova generale di Paesaggio (Landscape) di Harold Pinter – con farsa finale. Come sempre magistralmente filtrato dalla sensibilità di Marconcini regista, e dalla voce e presenza di Giovanna Daddi (teaser: https://www.youtube.com/watch?v=LCJDiZ7tNrE).
Sebbene ottobre sarà il momento giusto per tornare su questo spettacolo, alcune annotazioni di percorso sono doverose. La prima è sulla pregnanza di questo testo e della sua interpretazione nel momento claustrofobico che stiamo vivendo, con il rimando diretto alla casa della coppia (sul lavoro e nella vita) nella proiezione di fondo. Simbolicamente la casa/prigione nella quale siamo rinchiusi, senza colpa, da un anno – con qualche breve periodo, simile all’ora d’aria, giusto per non farci sclerare del tutto. Tra quelle mura domestiche del #IoRestoaCasa l’incomunicabilità di una coppia o di due individui, quei monologhi che non si intrecciano mai in dialogo – propria di Pinter – trova nel momento storico e nelle spalle voltate al pubblico di Marconcini/Daddi la forza simbolica non solamente di mostrarci l’abisso nel quale siamo precipitati – perché la casa non è mai un’isola felice e sicura, al massimo un riparo tra i marosi dell’esistenza, che va vissuta nella società e a contatto col mondo – ma altresì lo scacco lacerante che il potere ha inferto alla cultura. Vogliamo un mondo in cui il teatro e le arti tacciano? Vogliamo un mondo orwelliano (o à la J. G. Ballard) in cui un potere dittatoriale stabilisca i nostri orari, le nostre attività, le possibilità di incontro, di socializzazione, di espressione? Siamo sull’orlo di quel baratro. Oggi i teatranti ci volgono le spalle: domani potrebbero ammutolire per sempre. E questo perché? Perché la politica e il Ministro Speranza, in primis, hanno opzionato (e quindi si sono impegnati a pagare) oltre 200 milioni di dosi di vaccino che non arrivano. 200 milioni in un Paese di soli 60 milioni abitanti, in cui basterebbe vaccinare probabilmente meno di un terzo della popolazione per poter ricominciare a vivere. Ma la nostra politica ha sbagliato impegnandosi in una spesa sproporzionata, incapace oggi di ricorrere a vaccini altrettanto se non più efficaci e meno costosi presenti sul mercato; talmente incapace da non aver nemmeno capito che opzionare 200 milioni di dosi per un vaccino che, magari, tra un anno non servirà più, o comunque ve ne saranno altri più efficaci, di facile utilizzo e meno costosi, denota livelli di impreparazione imbarazzanti. E mentre la politica italiana ed europea arrancano mostrando limiti e inadeguatezze, i cittadini restano alla mercé di un potere discrezionale che porterà il Paese al default e le arti, la cultura e tutte le attività considerate ‘superflue’ a zittirsi forse per sempre.
Una seconda annotazione va alle citazioni visive, sonore e interpretative di uno spettacolo talmente pregno di rimandi da denotare la cura e l’erudizione del regista, ma anche la capacità di sedimentare stimoli culturali tra i più disparati – dal cinema alla letteratura – senza mostrarne i limiti, ma mescolandoli in una mirabile fusione. E se sul capolavoro di Bergman, Il settimo sigillo, sulla morte che, di fronte all’uomo faustiano non sa rispondere alla sete di conoscenza, e sui rimandi iconografici torneremo dopo il debutto, è sulla farsa che appuntiamo il nostro sguardo. L’impromptu finale firmato da Marconcini, che rimanda alla Commedia dell’Arte, è un rimando a quel teatro di strada praticato dallo stesso negli anni 70 ma anche, forse, un invito a uscire dai teatri e a tornare tra la gente: il teatro deve essere un palcoscenico-mondo del nostro presente. Per questo non piace al potere. Per questo va silenziato. Perché non disturbi il manovratore, non instilli dubbi negli spettatori, non crei quel cortocircuito di idee che nasce dall’incontro tra attori, tra spettatori e tra i primi e i secondi. E tornare alla strada – in un ideale passaggio di testimone – forse non a caso è la scelta della seconda realtà che vi racconteremo.
Invece di TikTok, Toc Toc Teatro
Gli strumenti sono strumenti. Un martello non è buono o cattivo di per sé – dipende da come lo utilizziamo: per piantare un chiodo o per spaccare la testa al nostro vicino di casa. TikTok è l’ultima vittima della demonizzazione dei social media. Questione di algoritmi o dell’uso che se ne fa? Se i cartelli del narcotraffico messicano lo usano come vetrina, e una cosiddetta influencer mette in rete una coppia che si avvolge il volto con il nastro adesivo fino a non riuscire a respirare è colpa del medium o della povertà culturale dilagante che scambia le fiction sui boss della droga con la violenta realtà del narcotraffico, o pratiche di asfissia erotica sublimate nel capolavoro di Nagisa Ōshima, Ecco l’impero dei sensi, con due frustrati alle prese con lo scotch?
Per fortuna il teatro può fare meglio che affidarsi a piattaforme pubbliche o private e tornare tra la gente per raccontarsi e raccontarci. In tempo di Covid, quindi, anche il teatro arriva a casa – come la pizza e il sushi, e nemmeno freddo come la prima o colloso come il secondo. A Roma da qualche settimana la compagnia Il NaufragarMèDolce presenta, sui pianerottoli e negli androni dei palazzi, poesie, canzoni, racconti, frammenti di un teatro che, prima ancora di essere momento di spettacolo, è balsamo per l’anima e la mente.
Come scrivono gli ideatori di questa iniziativa che sta avendo un grande successo, “tra gli effetti ‘collaterali’ delle misure di contenimento della pandemia, …è stato riscontrato un innalzamento dei livelli di ansia, paura, angoscia, depressione e senso di solitudine in tutte le fasce della popolazione. Toc Toc Teatro ha come scopo quello di promuovere e recuperare l’esercizio della costruzione delle relazioni, in particolare verso le persone con maggiori vulnerabilità attraverso atti performativi di breve durata”. E aggiungono: “In un momento in cui tutto viene fruito tramite il web, l’iniziativa vuole favorire la fruizione dell’arte in presenza”. Dal centro alle periferie, ma anche nelle Residenze per Anziani (dove non circolano i parenti dei ricoverati ma il Covid sì), l’iniziativa è una ventata di ottimismo perché dimostra come la resilienza non sia solamente un termine da apporre a un piano economico (che stenta a decollare) ma soprattutto la capacità, insita in ognuno di noi come individuo e nella società nel suo insieme, di far fronte a questo momento storico con creatività perché non solamente un altro mondo è ancora possibile, ma anche un altro teatro è già agibile.
Venerdì, 26 febbraio 2021
In copertina: Street performers. Foto di Luxstorm da Pixabay.