
Intervista a Michelangelo Severgini
di Simona Maria Frigerio
Dalla protezione fornita ad al-Maṣrī al viaggio di Annalena Baerbock e Jean-Noël Barrot per stringere la mano ad al-Jolani: sembra che i Paesi dell’Unione Europea sempre più apertamente sostengano terroristi islamisti che hanno commesso crimini contro l’umanità. E in questo bailamme in cui stiamo tutti perdendo la bussola, a Istanbul si susseguono le manifestazioni dopo l’arresto – in base a gravi accuse – del sindaco della città.
Per farci spiegare meglio cosa sta accadendo al di là del Mediterraneo abbiamo contattato Michelangelo Severgnini e la prima domanda non poteva che essere: rivoluzione colorata o rivoluzione dei garofani a Istanbul?
Michelangelo Severgnini: «Forse assomiglia di più a una rivoluzione colorata ma, sia nei Paesi arabi sia nell’Europa dell’Est, molto spesso le stesse sono state organizzate in maniera mirata e, per farlo, c’è voluto un anno, a volte anche due, prima che esplodessero. In Turchia è un po’ diverso perché ci sono ambienti filo-atlantisti che fanno parte della società e negli ultimi quindici, vent’anni, soprattutto gli universitari si sono molto occidentalizzati, mantenendo contatti con l’Europa e risuonando con gli ambienti filo-europeisti radicati nelle città della Turchia occidentale. In determinati momenti, sottoposti a determinate pressioni, ecco che questi ambienti si mettono in moto. Però occorre capire che senso ha questo episodio, chi sta speculando e a quale fine».
L’arresto del sindaco di Istanbul è solo una manovra politica del Presidente Erdoğan o ci sono serie accuse a suo carico?
M. S.: «Qui in Europa è facile affermare che il Presidente abbia fatto arrestare il principale candidato dell’opposizione, ma le accuse mosse a carico di Ekrem İmamoğlu, e per le quali è in carcere, non sono invenzioni dell’ultima ora! Erano anni che giravano voci e c’era addirittura una procedura interna al suo partito, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), rispetto ad alcuni fatti non chiari che erano stati precedentemente denunciati. Durante il Congresso del partito, tenutosi nell’autunno del 2023, all’indomani delle presidenziali perse dal CHP, per stabilire la nuova linea politica, vi era già in corso un procedimento interno perché sembra si fossero rubati i voti. Dall’altro lato, parrebbe che İmamoğlu avrebbe preso contatti – attraverso un intermediario curdo – con i vertici del PKK per orientare il voto dei curdi di Istanbul, ovvero della città ove la presenza curda è la più grande al mondo in quanto, su circa 16 milioni di abitanti, i curdi sono più o meno 5 milioni – emigrati dall’est del Paese, come è avvenuto per gli italiani che, decenni fa, emigravano dal sud verso il nord Italia. Quindi, un bacino di voti indispensabile per chiunque voglia candidarsi a sindaco della metropoli turca. Come dicevo, sembrerebbe che İmamoğlu, attraverso questo intermediario, fosse in contatto con i vertici del PKK – organizzazione che, però, in quel Paese è considerata terroristica. Per fare un paragone è come se in Italia fosse stato arrestato il Sindaco di Roma per aver comprato i voti delle periferie con l’aiuto della mafia. Al che sarebbe arrestato, il Comune commissariato e l’accusa sarebbe quella di concorso esterno in associazione mafiosa».
Le ingerenze dell’Unione Europea, in Romania o in Moldavia, possono essere paragonate a quelle in Turchia?
M. S.: «Nel caso rumeno l’Europa ha agito per escludere, alle politiche, il candidato filo-russo. Ora la piazza degli universitari ha sopravanzato l’agenda del CHP – partito che sta organizzando un nuovo Congresso (1), visto che il candidato uscito perdente dal Congresso del 2023, Kemal Kilicdaroglu (il quale aveva sfidato Erdoğan alle presidenziali) si è sentito defraudato. A questo punto, nel partito, si prevede una resa dei conti. Ma se la questione è chi sta speculando dall’esterno, va ricordato che il fatto più eclatante, a livello politico, resta l’appello fatto da Abdullah Öcalan per lo scioglimento del PKK e la deposizione delle armi. In Occidente si racconta che esiste una trattativa tra Öcalan e/o il PKK ed Erdoğan, ma questo è falso perché Öcalan, già nel 2015, aveva fatto un appello per il disarmo del PKK – solo che, in quel caso, la guerra conveniva anche a Erdoğan, per cui fu silenziato. Oggi il Governo turco si è accorto che quella dichiarazione conviene al Presidente e, di conseguenza, gli hanno restituito la possibilità di comunicare con l’esterno (2). Ma va detto che Öcalan ha spiegato il perché di questa decisione – ed è lapidaria. Il PKK nasceva come formazione marxista/leninista filo-sovietica e in funzione anti-Nato, mentre oggi chi la comanda – dai monti di Qandil in Iraq – l’ha trasformata in una formazione a disposizione dell’imperialismo atlantico. In ogni caso, si dovrebbe tenere un Congresso del PKK, anche se non vi è ancora una data precisa ma possibilmente tra giugno e luglio, e questa possibilità non piace né a Israele né agli Stati Uniti».
Ci spiega meglio i retroscena della presenza curda e turca in Siria?
M. S.: «Se Erdoğan ha deciso di ridare voce a Öcalan non è soltanto per una questione interna turca ma, soprattutto, per la vicenda siriana. Non a caso, il leader del PKK ha ripreso a poter rilasciare dichiarazioni nell’ottobre 2024, ossia un paio di mesi prima dell’attacco di HTS su Damasco. Verosimilmente, quindi, ridare voce a Öcalan era un’idea maturata all’interno degli Accordi di Astana (3) sia per la vicinanza di Öcalan all’ex Unione Sovietica, sia perché la questione curda interessa anche l’Iraq e l’Iran – vista la presenza della minoranza curda in quei Paesi. E non dimentichiamo che le FDS, in Siria, erano un po’ il pomo della discordia tra al-Assad ed Erdoğan, dato che quest’ultimo ne chiedeva lo smantellamento mentre il Presidente siriano gli rispondeva che la Turchia avrebbe dovuto, prima, ritirare il proprio esercito dal suo Paese. Öcalan avrebbe risolto il problema perché chiedendo la deposizione delle armi, i curdi siriani di FDS avrebbero dovuto farlo e, conseguentemente, i turchi si sarebbero ritirati a loro volta dalla Siria. Come dagli Accordi di Astana, il Paese sarebbe rimasto integro. Ecco perché – di fronte a questa possibilità di pacificazione nazionale e mantenimento dell’integrità e sovranità nazionale in Siria – qualcuno ha finanziato e aiutato HTS ad attaccare Damasco (verosimilmente Israele). Adesso la Siria è una polveriera e l’appello di Öcalan dovrebbe portare al disarmo non solamente dei curdi in Turchia ma anche in Siria – da dove, però, arrivano segnali contrastanti, visto che le formazioni armate curde nel Paese non pare vogliano andare verso il disarmo, e anche gli Stati Uniti non intendono ritirare il loro contingente di 2mila soldati presenti nelle zone controllate dai curdi, a Est dell’Eufrate. Inoltre, qualche settimana fa, Mazloum Abdi, capo delle SDF, è stato a Damasco a firmare un accordo con Aḥmad al-Sharaʿ (5), grazie al quale le SDF dovrebbero essere inglobate nelle Forze Armate Siriane, il che non significherà che smobiliteranno bensì manterranno di fatto il controllo dei loro territori e, in cambio di un po’ di petrolio per Damasco, si metteranno a disposizione come forza di primo intervento qualora Damasco lo richiedesse. Purtroppo anche in Turchia la situazione si sta complicando – sia a livello di PKK sia del Partito filo-curdo democratico, presente anche nel parlamento turco (6). Il PKK ha affermato di non essere in grado sciogliere l’organizzazione e che l’unico a poterlo fare è Öcalan, ma quest’ultimo è in carcere e non potrà avere un permesso per il prossimo Congresso! Mentre HDP, utilizzando anche quanto sta accadendo a Istanbul, ha detto a Erdoğan che queste non sono le premesse che si aspettavano per sciogliere il PKK e, però, è proprio questo partito che fa passare in Occidente l’idea che tale scioglimento sarebbe vincolato a determinate concessioni da parte del Governo. Non voglio ripetermi ma tutto ciò non è vero in quanto Öcalan ha chiesto lo smantellamento senza se e senza ma, dato che non si riconosce più nella formazione del PKK».
Perché il Presidente Erdoğan – che, comunque, è figura che gioca su più tavoli – potrebbe essere diventato scomodo per l’Unione Europea o addirittura per la Nato?
M. S.: «L’Europa ha bisogno della tecnologia turca in campo militare che, negli ultimi vent’anni, ha fatto passi da gigante. Vero è che detta tecnologia è stata messa a disposizione di chiunque l’abbia acquistata – dall’Ucraina ai libici di Tripoli, ma è stata anche venduta all’Iran e alla Federazione Russa. L’Europa, quindi, vorrebbe impossessarsi di tale tecnologia e a qualsiasi costo. O riconducendo Erdoğan alla ragione e, quindi, a posizioni più filo-occidentali e atlantiste, allontanandolo dai BRICS; oppure, sostanzialmente, tentando di rovesciare il Presidente per sostituirlo con un leader del CHP – che è il partito più filo-atlantico e più filo-europeista che esista nel Parlamento turco. Tanto è vero che il suo Presidente, Özgür Özel, ha fatto un appello diretto a Keir Starmer, il Primo Ministro britannico, chiedendogli praticamente di corrergli in aiuto. In altre parole, si candida a essere il prossimo Zelensky».

Torniamo alla Siria. La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock e il suo omologo francese Jean-Noël Barrot sono immediatamente volati dal leader di HTS, al-Jolani, per congratularsi con lui. Al contrario, il Ministro della difesa israeliano, Israel Katz, si è scagliato contro i nuovi governanti islamisti della Siria, dopo le uccisioni di alawiti e cristiani, definendo al-Jolani «un terrorista di Al-Qāʿida». Cosa ne pensa?
M. S.: «Occorre partire dal concetto che tutti questi gruppi si sono formati in seguito a un decennio di delirante guerra civile in Siria e sono come dei ‘taxi’ che vengono utilizzati, di volta in volta, dalle superpotenze per raggiungere i propri obiettivi sul campo. Ora, il fine di Israele non è che HTS trionfi in Siria, bensì che quel Paese si disgreghi secondo il vecchio principio del divide et impera, che è ciò che Israele ha fatto fin dall’inizio in Medio Oriente. Questa è la sua funzione storica: ossia, impedire di fatto che emergano poteri regionali di un certo livello, soprattutto se gli stessi sono ostili a Israele e ai suoi alleati occidentali. L’obiettivo di Israele è che non si riformi un potere centrale a Damasco, come esisteva fino al 2014, a prescindere da chi tenga le redini – quindi sostiene questo o quello purché si crei e si mantenga il Paese nel caos. Se l’obiettivo di Israele era ed è lo smembramento territoriale, per lo meno de facto, della Siria, direi che lo ha pienamente raggiunto. Del resto, nel momento in cui al-Assad è diventato un nemico sia di HTS sia di Israele, lì si è prodotta una convergenza di interessi. Ora HTS è in debito di riconoscenza con molti – israeliani, curdi, eccetera. Ma HTS in realtà non è nulla, non ha un potere concreto, non ha la forza politica e tanto meno militare per opporsi a Israele: al-Jolani non potrebbe mai organizzare le truppe per cacciare gli israeliani dal territorio siriano ed è perfettamente cosciente della propria debolezza. Quindi, la sua politica estera, al momento, è improntata al buon viso a cattivo gioco, anche nei confronti dei turchi, sebbene abbia promesso il disarmo di SDF, ossia dei curdi siriani, quando sappiamo che ciò non avverrà. Temo che, in Siria, prima o poi scoppi un conflitto aperto tra Turchia e Israele, dato che i rapporti diplomatici tra i due Paesi si sono interrotti a metà novembre; esistono documenti ufficiali israeliani che dichiarano come la Turchia, in prospettiva, sarà la minaccia principale contro Israele; la situazione a Gaza è quella che è; e la Turchia ospita, come il Qatar, i quadri di Hamas. Benché i media dicano che la Turchia non è intervenuta riguardo a quanto è accaduto nella Striscia di Gaza, a mio parere non poteva fare di più – a meno di non entrare direttamente in guerra contro Israele».
Quali sono i legami tra HTS e i curdi siriani?
M. S.: «Come dicevo è stato firmato un accordo a Damasco, un paio di settimane fa, tra HTS e SDF, ovvero i curdi siriani – a pochi giorni dai massacri degli alawiti. Ovvero, la principale minoranza siriana in armi va a firmare un accordo con al-Jolani proprio quando un’altra minoranza è massacrata. Ovviamente è un bruttissimo segnale. Da una ricerca che ho pubblicato su L’Antidiplomatico (7), riguardo al valico di Al-Hamran, risulta che lo stesso collegava direttamente i territori controllati dai curdi con quelli di HTS. Questo valico ha generato una ricchezza pari almeno a 2 milioni di dollari al mese. Il traffico riguardava essenzialmente il petrolio che era estratto nei territori controllati da SDF – e che avrebbe dovuto essere siriano ma a Damasco non arrivava una goccia. In compenso, arrivava sottocosto a HTS, organizzazione che ne aumentava il prezzo e, grazie al monopolio che era riuscita a instaurare, lo rivendeva perfino ai territori controllati da al-Assad, così come a quelli controllati dai turchi. Questo commercio illegale è proseguito per almeno un paio d’anni. Evidentemente è stato in questo modo che i miliziani di HTS hanno costituito il budget per acquistare i droni dall’Ucraina e tutte le armi che gli sono servite per la presa di Damasco. Tutto ciò non poteva passare inosservato ai primi tre firmatari del Patto di Astana (8). L’unico che, sebbene non apertamente, ha denunciato la situazione è stato Erdoğan e, prima dell’attacco di HTS, era l’unico che faceva appello ad al-Assad affinché risolvessero la questione del confine turco-siriano. Purtroppo non aver pensato di superare la situazione di stallo tra i due Presidenti, ha facilitato altri interessi. Del resto sappiamo che nelle zone curde siriane non solo sono stanziati gli statunitensi, ma sono anche presenti i servizi segreti israeliani e, a questo punto, possiamo immaginare chi sia alla regia del finanziamento di HTS».
Nonostante il mandato di cattura della Corte penale internazionale, Osama Elmasry Njeem, noto come Almasri, è stato ‘gentilmente’ riportato in Libia da un Falcon, pagato con le nostre tasse. Dimostrazione di un potere talmente arrogante da infischiarsene delle leggi internazionali o di un pressapochismo che fa trapelare ciò che altri Governi fanno in maniera più efficiente e meno pubblicizzata?
M. S.: «Direi più la seconda. Meloni non ha fatto niente di nuovo rispetto a quanto hanno fatto i Governi precedenti. Peraltro la questione che i governi italiani proteggono quelli di Tripoli risale almeno agli accordi firmati da Minniti nel 2017 (9). Diciamo che, questa volta, hanno ‘pizzicato’ Meloni, dandole tutta la colpa, ma chiunque altro avrebbe fatto e ha fatto lo stesso. Basti pensare che la settimana scorsa è stato fotografato un altro criminale libico presente in Italia, Abdul Ghani Al-Kikli (10), il quale non è stato nemmeno arrestato. Al contrario, è stata pubblicata su Internet una sua foto in cui è al capezzale di Adel Juma, Ministro del Governo di Tripoli, che si sta facendo curare presso l’Ospedale Europeo di Roma e, questo, prova che in quei giorni era nel nostro Paese senza alcun problema. Tutti questi personaggi, del resto, possono viaggiare liberamente in quanto hanno il visto Schengen rilasciato da Malta, oltre alle coperture dei servizi segreti che danno loro la possibilità di venire in Europa e girare come e quanto vogliono. Questa è la semplice verità: hanno voluto attaccare Meloni, ma stanno tutti proteggendo i criminali libici ormai da un decennio a questa parte».
(1) Congresso che si dovrebbe essere tenuto il 6 aprile scorso
(2) Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), è detenuto nel carcere di Imrali, in Turchia, dal 1999
(3) Gli accordi di Astana sono stati stilati in quindici incontri, avvenuti tra il dicembre 2016 e il marzo 2020, tra le diplomazie della Federazione Russa, della Turchia, dell’Iran, siriana e dell’opposizione ad al-Assad, per mettere fine alla guerra civile in Siria
(4) Le Forze Democratiche Siriane, comunemente SDF o FDS, sono un’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache
(5) L’attuale Presidente ad interi della Siria, Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ, detto al-Jolani, nel 2011 è stato mandato a combattere in Siria contro al-Assad da Abu Bakr al-Baghdadi (Ibrāhīm al-Badrī ), il capo dello Stato islamico (Isis), e poi è passato ad Al-Qāʿida
(6) Partito Democratico dei Popoli (HDP) è un partito politico che unisce forze filo-curde e forze di sinistra della Turchia
(7) https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_valico_di_alhamran_e_la_riconoscenza_di_hts_per_i_curdi/41939_59626/
(8) Ovvero Iran, Russia e Turchia
(9) Marco Minniti, in quota al PD, è stato Ministro dell’Interno dal 12 dicembre 2016 al 1° giugno 2018, sotto il Governo di Paolo Gentiloni
(10) https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_cena_dei_miracoli_e_il_segreto_di_pulcinella_libico/41939_59917
venerdì, 11 aprile 2025
In copertina: Il Presidente della Turchia, Erdoğan, al Vahdettin Palace di Istanbul per un meeting bilaterale, foto di Rory Arnold (CC BY 2.0) e Abdullah Öcalan, fondatore del PKK, dall’Archivio dell’iniziativa internazionale Libertà per Abdullah Öcalan – Pace in Kurdistan (CC BY-SA 3.0). Nel pezzo: Ahmed Hussein al-Sharaa, ex terrorista ricercato a livello internazionale, membro dell’ISIS e di Al-Qāʿida, leader di HTS, e attuale Presidente ad interim della Siria (CC BY 4.0) e Israel Katz, Ministro della Difesa israeliano, in una foto caricata da Yarondvash (CC BY 4.0)