
Le sorelle Pirazzoli chiedono la verità sul decesso del padre
di Simona Maria Frigerio
La pandemia è stata un periodo difficile per molti versi. A distanza di cinque anni non sappiamo ancora esattamente se tra gli investimenti nel gain-of-function di virus corona di Eco Health e DARPA profusi al Laboratorio di Wuhan – dove si svolgevano detti esperimenti – e lo sviluppo del Sars-Cov-2 (1) vi sia una correlazione; e se una ‘fuga’ – ovviamente involontaria – del virus ingegnerizzato sia la causa di tanti decessi a livello mondiale. Non sappiamo perché le linee-guida per la cura dei malati sviluppate e pubblicate in Cina e riprese anche da ricercatori italiani già ad aprile del 2020 sul legame tra infiammazione e tromboembolia non abbiano condotto a cure immediate e adeguate negli ospedali italiani (2). Non sappiamo perché si sia preferito optare per la vigile attesa quando i virus corona erano comunque già noti e alcuni farmaci si sarebbero potuti usare off label (pratica comune a fronte di nuove patologie); perché non si sia proceduto immediatamente con le autopsie per capire il meccanismo di azione del Sars-Cov-2 e su quali organi impattasse maggiormente. E non sappiamo nemmeno perché, a fronte dei contagi di massa, si sia continuato a sostenere l’uso di vaccini sperimentali e imperfetti e del Green pass – che ha permesso, de facto, all’epidemia di trasformarsi in una endemia.
Dietro a queste, e ad altre domande, ci sono però le vite delle persone: tutte quelle decedute a causa della Covid-19 e/o dell’incapacità dei medici di prevenire che le stesse si aggravassero al punto da essere ricoverate in ospedale praticamente in fin di vita.
La vicenda di Francesco Pirazzoli
Tra queste persone vi era Francesco Pirazzoli, un uomo che – dalla foto che ci hanno mostrato le figlie, Federica e Cristina – sembrava ancora vigoroso e combattivo sebbene fosse obeso e diabetico (due patologie che sappiamo essere spesso concomitanti nei casi di Diabete di Tipo 2) e soffrisse di broncopneumopatia cronica ostruttiva e ipertensione. Un uomo ricoverato il 5 marzo 2021 poco prima delle 18.00 all’Ospedale Umberto I° di Lugo con una diagnosi di Covid-19 e che ne è uscito, in un sacco nero pronto per la cremazione, solo dodici ore dopo.
Ma facciamo un passo indietro. In Italia esiste una Legge, la n. 130/2001 (art. 3, comma 1, lettera h), che prevede “l’obbligo per il medico necroscopo di raccogliere dal cadavere, e conservare per un periodo minimo di 10 anni, campioni di liquidi biologici ed annessi cutanei, a prescindere dalla pratica funeraria prescelta, per eventuali indagini per causa di giustizia”. Nemmeno un capello, un’unghia, un lembo di pelle è stato conservato nel caso di Francesco Pirazzoli (ricordatevi questo passaggio perché ci torneremo più avanti).
Oggi le figlie hanno in mano solo una Cartella clinica (di cui hanno fatto richiesta e che hanno correttamente ricevuto) e tante domande. Ma ripercorriamo il loro calvario verso la verità: perché questo è ciò che cercano. Vogliono sapere se il padre avrebbe potuto essere curato e se si sia fatto tutto il possibile per salvarlo.
L’ammissione in Pronto Soccorso
Sono Cristina e Federica Pirazzoli a spiegare: «Nostro padre è risultato positivo alla Covid-19 – come da tampone – tra il 20 e il 21 febbraio 2021. Non è stato visitato. Non si è fatto vivo nessuno, né dall’Asl né dall’Usca (3). L’unica persona che mandava qualche messaggio per chiedergli come stesse – ma non per prescrivergli cure – era il medico di base. In pratica, nostro padre ha assunto semplicemente del Brufen, misurando periodicamente la saturazione finché, il 5 marzo, la stessa è precipitata a 70/71».
Cristina specifica: «A questo punto abbiamo chiamato il medico di base, il quale ci ha consigliate di accompagnarlo al Pronto Soccorso. Anche se noi non eravamo molto d’accordo, ci siamo fatte convincere. Prima di andare in ospedale, nostro padre era lucido, camminava, si è fatto la doccia e si è messo al computer per disinvestire delle azioni. Specifico che in quel periodo, sia io che mio marito e mio figlio eravamo in quarantena. Io, in particolare, ero positiva al virus, e mia sorella era in quarantena preventiva dato che era venuta a contatto con me. Proprio quel giorno, il 5 marzo, mio marito si negativizzava e decideva di andare a trovare mio padre: fu lui a trovargli la saturazione bassa e fu lui a chiamare per primo il medico e poi l’ambulanza (dopo che mio padre aveva compiuto tutte le azioni che ho già descritto). Devo aggiungere che quando mio marito ha telefonato, non ha ricevuta una pronta risposta, bensì un vago: «verremo». Mentre erano in attesa, mio padre si è perfino seduto nel porticato e ha scambiato due battute con la vicina, urlandole che lo volevano portare in ospedale ma che lui si sentiva bene. Poi, quando è arrivata finalmente l’ambulanza, mio padre si è girato verso mio marito e gli ha detto: “Prenditi cura della vecchia”, che era come scherzosamente chiamava nostra madre – quasi sapesse che non sarebbe più tornato a casa».
Dalla Cartella clinica emerge che alle 17.46 Pirazzoli era ancora vigile, collaborante, GSC 15 (4). Dalla stessa si rilevano anche altri elementi, tra i quali che la saturazione arteriosa dell’ossigeno (SaO2) – che, in condizioni normali varia tra il 95 e il 100% – era a 88,26% alle 17.53 e al 92% (per la prima volta si registra il Fio2 al 35%, 5) alle 21.54. Tutte le prescrizioni farmacologiche in Pronto Soccorso appaiono congrue – anche a un occhio inesperto – con il quadro complessivo di un diabetico affetto da polmonite bilaterale, visto che sono somministrati farmaci per diminuire l’infiammazione e prevenire coaguli sanguigni. Gli esami del sangue (compatibilmente con la situazione generale di una persona diabetica) sono buoni quando sono prodotti, ovvero alle 19.14 (richiesti, però, alle 17.42), a parte la proteina C reattiva (che, ovviamente, si innalza in caso di infiammazione e danno tissutale).
Pirazzoli resta in Pronto Soccorso dalle 17.24 alle 22.20. Poi è ricoverato in terapia intensiva. Ma è Federica a ricordare quelle ore: «Papà continuava a messaggiare, anche con i suoi amici dicendo loro di essere in ospedale. A me ha mandato un selfie con il casco all’una meno dieci. Mi scriveva che il giorno dopo gli avrebbero fatto fare colazione e che non aveva bisogno di vestiti, visto che era nudo. Però, pian piano, mi sono accorta che il messaggio diventava farneticante». Anche noi abbiamo letto il messaggio e, nonostante scriva di essere senza occhiali e, quindi, ci siano dei refusi, vero è che – improvvisamente – il messaggio perde di senso compiuto.
Dalla Cartella clinica si fatica a capire cosa sia accaduto. Riepiloghiamo: c’è un elettrocardiogramma delle 17.38; tre rilievi con il RapidPoint 500 (6), l’ultimo dei quali alle 21.18; la Tomografia Computerizzata è consegnata alle 18.59. Il quadro in Pronto Soccorso appariva chiaro e stabile. Ma ciò che accade in terapia intensiva è più difficile da stabilire perché, dopo l’esito dell’ultimo RapidPoint 500, il documento successivo è il decesso: 6 marzo, ore 6.45 per “polmonite interstiziale bilaterale ed insufficienza respiratoria”. Il paziente risultava intubato (da successiva documentazione scopriamo che deve essere accaduto alle 6.15, quando era occorsa “improvvisa desaturazione e ipertensione arteriosa” non meglio specificata).

Torniamo alle ore in terapia intensiva
Cristina riprende a raccontare: «All’una e mezzo ho chiamato in reparto perché volevo capire cosa stesse succedendo e mi è stato detto che papà si stava aggravando». Eppure al ricovero in terapia intensiva (ossia alle 22.20) leggiamo che si era registrato “un miglioramento soggettivo della dispnea”, il paziente era “tranquillo e collaborante”. Sempre al ricovero in intensiva a livello respiratorio si segnala “eupnea”, ovvero il respiro fisiologico, tranquillo, di normale frequenza; la cute è rosea; e il sistema nervoso / sensorio “integro”. A mezzanotte, dallo scritto – in una calligrafia pressoché illeggibile – pare che il paziente sia stabile. Ma poco prima, alle 23.00 si segnala tra le “terapie estemporanee” la somministrazione di 1 mg di morfina e, poi, alle 23.30, gli si inietta – in infusione continua – morfina 20 mg / fis(iologica) 48 ml. e Propofol 2% (7). Alle 3 del mattino Pirazzoli parrebbe ancora stabile, ha il casco e la saturazione di ossigeno nel sangue, misurata in percentuale, è stabile a 98-97. In un altro foglio si segnala che alle ore 3.00 è “tranquillo, collaborativo, SpO2% a 98/99” (frase totalmente cancellata ma leggibile).
E però torniamo a quanto racconta Cristina, ossia alla sua telefonata in reparto dell’una e mezza: «Volevo capire e loro mi hanno detto che si stava aggravando, che ci avrebbero contattate e se dovevano chiamare la mamma. Io ho risposto di contattare Federica e me, lasciando i nostri numeri telefonici. Hanno parlato di intubazione ma io gli ho spiegato che era meglio di no in quanto nostro padre aveva un problema alla trachea dato che, anni fa, mentre gli toglievano un polipo benigno in gola, si erano accorti che aveva un difetto alla trachea, per cui gli avevano rilasciato un documento sul quale era segnalato il modo corretto di intubazione. Nostro padre andava sempre in giro con quelle indicazioni nel portafoglio, eppure quando ci hanno riconsegnato i suoi effetti personali non c’era. In ogni caso, Federica aveva anche lei chiamato e spiegato che, in caso di intubazione, andava eseguita la procedura ivi descritta».
Alle 6.15 il paziente “va incontro a improvvisa, drastica insufficienza respiratoria con estrema desaturazione”. Seguono diverse parole cancellate. Quindi riusciamo a leggere: “ipertensione e tachicardia. Paziente dispnoico e non responsivo. Si inizia ventilazione manuale”, ovvero sembra sia intervenuto un “peggioramento degli scambi polmonari”. In pratica, il cuore tenta – con l’accelerazione del flusso e aumentando battiti e pressione – di compensare la mancanza di ossigeno, a livello di organi, provocata dalla desaturazione. Alle 6.45 è Cristina che rammenta di essere stata chiamata per riferirle che era «tracollato un polmone, avevano provato a intubarlo ma, purtroppo» suo padre «era deceduto».
I dubbi del nostro consulente
Studiando la Cartella clinica, il nostro consulente medico (che è stato anche Consulente Tecnico in Tribunale, in passato) si è domandato perché sia stata utilizzata l’infusione di morfina e Propofol, visto che – come riportano anche le istruzioni del foglietto illustrativo – quest’ultimo è un agente anestetico che andrebbe usato “con cautela nel caso di pazienti con compromessa funzione cardiaca, respiratoria, renale o epatica, oppure in pazienti ipovolemici o debilitati”. Inoltre, il “Propofol non ha attività vagolitica ed è stato associato a casi segnalati di bradicardia (occasionalmente profonda) e persino di asistolia. La somministrazione per via endovenosa di un agente anticolinergico prima dell’induzione dell’anestesia deve essere presa in considerazione, soprattutto in situazioni dove è probabile che predomini il tono vagale oppure quando Propofol viene utilizzato in combinazione con altri agenti che possono provocare bradicardia”; e sappiamo che la morfina può provocare “bradicardia, palpitazioni, ipotensione ortostatica; vertigini, ansietà, depressione del riflesso tussigeno, ipotermia, sudorazione, miosi; allucinazioni, convulsioni, coma; depressione respiratoria”. Due farmaci, quindi, che possono deprimere la funzione respiratoria in un paziente con la stessa già compromessa dalla malattia?
Infine, sempre da foglietto illustrativo, si apprende che nel somministrare il Propofol si “deve procedere con particolare attenzione nei pazienti con disturbi del metabolismo lipidico” – e Pirazzoli era diabetico. Inoltre, assumendo già il cortisone, somministrato in Pronto Soccorso, la sua glicemia in poche ore si era alzata da 190 a 214 (come da Cartella clinica).
La vicenda giudiziaria
«Un sacco nero»: con queste parole Cristina Pirazzoli descrive cosa è rimasto loro del padre. «Noi non lo abbiamo mai più visto. Nemmeno piangendo ci hanno mostrato il corpo. Solo l’addetto alle pompe funebri, che lo conosceva, ci ha confermato che era lui. Tutto ciò che abbiamo ottenute sono le Cartelle cliniche, di cui abbiamo fatto richiesta successivamente e, dalle stesse, la nostra Consulente di parte, la dottoressa Barbara Balanzoni, ha notato che alcune procedure non sono state fatte o non sono state registrate. Ad esempio, non gli hanno fatto una emogasanalisi (8), non è stata compilata come da iter la Cartella ogni ora né gli hanno provato la saturazione a cadenza regolare». O almeno non risulta dalla documentazione.
Dopo un periodo di lutto, in cui entrambe le sorelle non si capacitavano di quanto successo, Cristina Pirazzoli prosegue: «A dicembre del 2021, una domenica sera, vedo un video – che è stato poi cancellato – che mi suscita dei dubbi su quanto era accaduto a nostro padre, ossia sul fatto di avere iniettato morfina e Propofol (in altri casi si è preferito il midazolam, 9). A quel punto avevamo già fatto un esposto tramite un avvocato perché non riuscivamo a capire come mai gli avessero somministrato la morfina (10). Il giorno dopo abbiamo chiamato, mia sorella e io, l’avvocato – che poi abbiamo cambiato – e gli abbiamo chiesto di fare un’integrazione all’esposto relativamente all’uso di Propofol. Dopodiché abbiamo scelto Barbara Balanzoni come medico legale e consulente di parte e, tra luglio e agosto 2022, siamo riuscite a contattarla e a mandarle la Cartella clinica. La sua risposta fu che avremmo proceduto per omicidio colposo».
Ovviamente, nelle mani delle sorelle Pirazzoli, a parte la Cartella clinica, dato che il padre è stato cremato (anche per suo volere), non è rimasto nulla. Infatti, nonostante la Legge di cui abbiamo scritto all’inizio (la n. 130/2001), è Cristina a raccontarci che: «Io chiesi all’impresa funebre se avessero tenuto i campioni di liquidi biologici e annessi cutanei e mi è stato risposto che non era obbligatorio e che, comunque, non lo fa nessuno».
Nel frattempo, dopo che le sorelle avevano cambiato avvocato, la Procura faceva richiesta di archiviazione dell’esposto presentato tempo prima. Continua Cristina: «Attraverso il nuovo legale, ci siamo opposte e siamo state chiamate davanti al GIP di Ravenna. Ci siamo presentate, ovviamente con il nostro avvocato e Balanzoni, mentre la Procura non aveva mandato nessuno. Il Giudice a quel punto respingeva l’archiviazione, dava ulteriori sei mesi per le indagini e consigliava al nostro avvocato di procedere per l’incidente probatorio. Tale incontro tecnico, che si è svolto qualche tempo dopo in aula a Ravenna, nuovamente davanti al GIP, ha visto la presenza di un professore ordinario di anestesia di Padova, nominato dal Giudice, insieme a un medico legale. Il primo ha sostenuto che non vi fosse indizio di reato, che era vero che la Cartella clinica aveva delle lacune, che personalmente non avrebbe consigliato la morfina ma non rilevava alcuna correlazione tra questa scelta e il decesso (11). Dopo sei mesi per le indagini, siamo tornate in Tribunale insieme al nostro legale e a Barbara Balanzoni. Questa volta si presentano l’avvocato e il medico legale della controparte, oltre ai CT del Tribunale, mentre per la Procura c’è solo una sostituta. Noi si fa anche presente che non era stato chiesto il consenso alla sedazione e all’intubazione né al paziente né ai familiari, ma sia il CT del Tribunale sia il medico legale di controparte (che è primario a Rimini) negano che tale procedura sia obbligatoria e affermano che, nei loro reparti, non si chiede mai il consenso. E qui chiudiamo. A dicembre dell’anno scorso riceviamo, da Barbara Balanzoni, la seconda richiesta di archiviazione da parte del medesimo Pubblico Ministero che la stava richiedendo anche per un altro caso, seguito sempre da Barbara».
L’ultima tappa, al momento, di questo che – come scrivevamo – è un vero calvario, umano prima ancora che giudiziario, è la decisione di Federica e Cristina, coadiuvate da Balanzoni e dall’avvocato: «di denunciare ai carabinieri tutti, tranne il GIP! Ovvero sia i tecnici del tribunale sia il PM».
Da allora silenzio. Passano i mesi. Cristina e Federica rimangono in “vigile attesa” come scherzano a denti stretti loro stesse, durante l’intervista.
Va notato che con la Riforma Cartabia sta venendo avanti una pratica che, benché onorevolmente tesa ad abbreviare i tempi della giustizia in Italia, rischia di dimenticare uno tra i punti cardine del nostro sistema giudiziario, ossia l’accertamento della verità: “ancorando il rinvio a giudizio al concetto di ‘ragionevole previsione della condanna’ (12)”. Quindi, l’unica carta che nel frattempo possono giocare le sorelle Pirazzoli è una manifestazione – pacifica – che hanno indetto per il prossimo 22 maggio di fronte al Tribunale di Ravenna per chiedere verità e giustizia. Se non le lasceremo sole, forse come per loro anche per tante altre famiglie si aprirà uno spiraglio di luce.
Ognuno di noi domani potrebbe essere ricoverato in un ospedale e finire in un reparto di terapia intensiva: è indispensabile avere fiducia nella classe medica e nelle strutture ospedaliere pubbliche; ma è altrettanto importante essere certi che su interventi invasivi (dalla sedazione all’intubazione e altri) sia sempre chiesto il nostro consenso o, in caso di nostra incapacità, sia chiesto alle persone che ci amano.
* George Orwell
(2) Già il 22 aprile 2020 dei ricercatori italiani, riprendendo gli studi cinesi scrivevano “There is a well-established link between inflammation and increased risk of deep vein thrombosis (DVT)”: https://link.springer.com/article/10.1007/s00134-020-06040-3
(3) Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19
(4) Lo score della Glasgow Coma Scale (GSC) può assumere valori che variano da un minimo di 3 a un massimo di 15. Il valore di 15 è quello che si ottiene in caso di paziente cosciente, mentre valori uguali o inferiori a 8 rappresentano uno stato di coma
(5) FiO2 (frazione inspirata di ossigeno) somministrata attraverso un dispositivo per l’ossigenoterapia
(6) https://www.siemens-healthineers.com/it/point-of-care/blood-gas/rapidpoint-500-systems
(7) Il Propofol è un farmaco usato nel campo dell’anestesia. È un agente ipnotico, a breve durata d’azione, che viene somministrato per via endovenosa
(8) Un esame del sangue che misura la quantità di ossigeno e anidride carbonica presenti nel sangue, oltre al pH
(9) Farmaco per indurre sedazione, non adatto in caso il paziente presenti problemi polmonari che causano difficoltà respiratorie: https://www.my-personaltrainer.it/benessere/midazolam.html
(11) Si veda anche il racconto di Barbara Balanzoni: https://www.inthenet.eu/2025/02/21/eutanasia-o-tragica-fatalita/
(12) Sulla Riforma Cartabia si veda: https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-penale/2123-ragionevole-previsione-di-condanna-e-giustizia-predittiva-una-modesta-proposta-per-la-riforma-dell-art-425-c-p-p in cui Cataldo Intrieri e Luigi Viola scrivono: “La legge delega sulla riforma del codice di procedura penale tra le molte ambizioni nutre anche quella di ridisegnare l’udienza preliminare, ancorando il rinvio a giudizio al concetto di ‘ragionevole previsione della condanna’. La formula evoca uno dei grandi e più discussi temi della modernità: il modello algoritmico della giustizia predittiva. Sino ad oggi il dibattito è rimasto confinato alla materia civilistica ma il diffondersi della ‘cultura del precedente’ e dell’interpretazione come fonte del diritto impone una riflessione anche nel campo del diritto penale, superando vecchie preclusioni. Lo impone essenzialmente un concetto che è entrato a far parte del lessico giuridico negli ultimi anni come essenza di un nuovo principio di stretta legalità: la prevedibilità dell’interpretazione della norma. La presente riflessione vuole essere una prima sintesi sui possibili impieghi della giustizia predittiva proprio in funzione di un utile riforma dell’udienza preliminare, giacché il senso di una ‘ragionevole previsione’ porta con sé un criterio di valutazione necessariamente probabilistico, legato al criterio del ‘più probabile che non’ come parametro di giudizio preliminare a fronte dell’‘oltre ogni ragionevole dubbio’ del giudizio propriamente definitivo del merito”
venerdì, 18 aprile 2025
In copertina: Foto stock di Simon Orlob; nel pezzo, foto stock di Herbert II Timtim (entrambe da Pixabay)