
Festeggiamo i 110 anni dalla nascita della donna che osò puntare il dito contro il KKK
di Simona Maria Frigerio
Eleanora Fagan, in arte Billie Holiday, nacque il 7 aprile 1915 a Filadelfia e morì, ammanettata a un letto di ospedale, il 17 luglio 1959, consumata più dall’odio dei bianchi per non essere una musicista afroamericana funzionale al sistema che non per l’abuso di alcool, stupefacenti o amori sbagliati.
Lady Day, il nomignolo che le diede Lester Young – musicista col quale collaborò e suo amico – sapeva usare la voce duttilmente come se fosse uno strumento musicale, in sintonia con le migliori sperimentazioni jazzistiche del periodo e successive. La sua padronanza del tempo e dei ritmi, le sue capacità espressive e le doti per l’improvvisazione ne hanno fatto una tra le migliori interpreti non solo jazz, ma musicali, del Novecento; e però la sua caparbietà e la sua indomita denuncia l’hanno messa all’indice nel mondo Wasp, che ha usato l’Fbi per stroncarne la vitalità.
Figlia di una ballerina (con la quale crebbe in povertà) e di un suonatore di banjo, iniziò presto a conoscere la violenza – maschile e del potere – subendo uno stupro a soli 11 anni che la fece finire in riformatorio per due mesi con l’accusa di adescamento (ovviamente non essendo stata creduta dal giudice in quanto afroamericana).
All’Hot Cha di New York debutta come cantante ad appena 14 anni, e ben presto è notata da un produttore musicale tanto che inizia a incidere i primi dischi e, nel 1935, firma un contratto con la prima casa discografica importante.
Fuma erba, beve molto (sarà ricoverata per cirrosi epatica), poi passa all’eroina, il suo corollario di amanti di entrambi i sessi è lungo – ma la sua vera nemica è la polizia. A maggio del 1959 è ritrovata incosciente nel suo appartamento; ricoverata in ospedale è arrestata per possesso di stupefacenti. Ma è altro quello che non possono perdonarle: aver cantato la verità. Non solamente quella della violenza domestica (patita da sua madre come da lei nei successivi innamoramenti o matrimoni) di My man beats me…; o del potere, emblematica l’inchiesta, The United States vs Billie Holiday, aperta a Filadelfia nel 1947 – dopo che la cantante fu inseguita sulla sua Cadillac (crivellata dalle raffiche della polizia) e trattata alla pari di un gangster.
Per anni sotto il controllo della Narcotici (le trovarono anche 60 grammi di eroina), era una sorvegliata speciale – più di altri suoi colleghi jazzisti o scrittori altrettanto dediti agli stupefacenti. Nel 1948 una retata in casa le costò un anno e un giorno di prigione, ma l’ossessione dell’Fbi era più profonda e aveva altre motivazioni. Non era solo una donna afroamericana di successo, era la cantante che con voce straziata incise Strange Fruit nel 1939 e, nei successivi vent’anni, si rifiutò sempre di escluderla dal suo repertorio dal vivo: la cantò persino al Café Society di New York – mentre i bianchi uscivano dal night club orripilati. Quelli erano gli anni in cui un afroamericano poteva essere fermato o pestato dalla polizia perché fumava una sigaretta fuori dal club dove lavorava – fatto che accadde proprio nel 1959 di fronte al Birdland e segnò per sempre la vita di Miles Davis.
Ma perché gli States non perdonarono mai Lady Day per Strange Fruit? Perché con una serie di metafore facili da decifrare (Gli alberi del sud hanno uno strano frutto, / Sangue sulle foglie e sangue alle radici, / Corpi neri oscillano nella brezza del sud, / Uno strano frutto appeso agli alberi di pioppo), ma altamente poetiche, denunciava i linciaggi e le impiccagioni degli afroamericani – bruciati, mutilati, evirati – negli Stati segregazionisti del Sud, dal Ku Klux Klan. Gli strani frutti appesi erano i loro corpi, che Billie mostrava a quei Wasp che si credevano tanto civili perché permettevano a dei neri (o nigger, come li definivano ancor più spregiativamente), oltre che di lustrare loro le scarpe e pulire i cessi di dimore lussuose e hotel, di esibirsi nei prestigiosi night club newyorkesi.
Black Lives Matter, ben prima del movimento per i diritti civili, ben prima delle Black Panthers, ben prima di Malcolm X, iniziò col canto disperato e ribelle di Lady Day. Qui, dal vivo, nel 1959:
venerdì, 11 aprile 2025
In copertina: Foto di Welcome to all and thank you for your visit! da Pixabay (particolare per ragioni di layout)