
La casa dove Sun yat-sen raccolse 8mila dollari per la Rivoluzione
di Luciano Uggè
Al 120 di Lebuh Armenian sorge una piccola dimora edificata nel 1875 e abitata dal fondatore del partito Kuomintang, oggi ricordato sia a Taiwan sia nella Repubblica Popolare Cinese come uno dei padri della Cina moderna – insieme a Mao Zedong.
Nato nel 1866 e deceduto a Beijing il 12 marzo 1925 (quindi, quasi esattamente un secolo fa), Presidente provvisorio della Repubblica di Cina, dopo la caduta dell’ultimo imperatore, medico e globe trotter instancabile nel cercare fondi per la causa rivoluzionaria, Sun morì prima che Chiang Kai-shek rivelasse il suo volto dittatoriale, usando le armi e i finanziamenti statunitensi per combattere i comunisti di Mao in una sanguinosa guerra civile, invece dei giapponesi (accanto agli Alleati, Churchill, Roosevelt e Stalin).
Tornando a Sun, la sua presidenza durò poche settimane a causa degli intrighi dei generali (allora paragonabili ai signori della guerra), che volevano mantenere il Paese diviso. Sun si batteva, al contrario, non solamente contro la dinastia manciù dei Qing, ma anche per riunificare la Cina, educare la popolazione, liberarla da una sudditanza simile a quella dei servi della gleba, ribellandosi al contempo alle ingerenze inglesi (che, sappiamo, avevano piegato la Cina con le due guerre dell’oppio). Purtroppo non poté mai vedere il risultato delle sue fatiche vista la morte prematura nel 1925.
Sun, però, arrivò a propugnare la decolonizzazione, la nascita della repubblica e la distribuzione egualitaria delle terre solo intorno al 1904, idee che si concretizzarono, l’anno dopo, nel manifesto della sua nuova associazione, la Tongmenghui, che rivendicava i famosi tre principi: indipendenza nazionale, potere del popolo e benessere del popolo (anche se le idee del materialismo storico marxista, con il superamento delle classi, erano lontane dalla sua utopia egualitaria).


Ma torniamo alla palazzina a due piani affittata da Sun nel 1910, ufficialmente per ospitare un club di lettori, la Penang Philomatic Union – in realtà, come copertura per le riunioni del suo partito di opposizione, il Nanyang Tongmenhui – dove il dottore tenne un famoso discorso tra gli affiliati della comunità cinese (maggioritaria tutt’ora a Penang), che fruttò 8mila dollari alla causa rivoluzionaria.
La dimora, nel 1926 è stata acquistata da un mercante cinese, Ch’ng Teong Swee, il cui ultimo discendente vi racconterà molti aneddoti sulla convivenza non facile sia con i malaisiani (che si sono liberati dalla colonizzazione britannica nel 1965 ma non hanno radici storiche sull’isola di Penang, a maggioranza cinese, e per secoli porto fiorente sulla rotta portoghese, cinese, indiana e del Sud Est Asiatico); sia con la neocolonizzazione dei ricchi inglesi, giapponesi e cinesi di Hong Kong, che stanno acquistando a cifre stratosferiche gli appartamenti di lusso dei grattacieli appena al di fuori dell’area protetta dall’Unesco, o interi palazzi, nell’area, che restaurano per riadibirli a hotel e punti di ristoro, cacciando la popolazione locale sempre più povera; e infine con i turisti, soprattutto provenienti da Singapore, che invadono con le loro navi da crociera il porto, vomitando migliaia di persone che restano in città solo poche ore, per un giro frenetico in risciò e la visita guidata a Fort Cornwallis.
Se entrerete nella Casa Museo, oltre a toccare con mano la storia passata e presente di Penang – ma altresì della Cina – respirando quel momento rivoluzionario che i russi avrebbero vissuto qualche anno dopo con la caduta dello zar, potrete anche venire a contatto con alcuni cimeli di Sun (molte fotografie, alcuni mobili intarsiati in madreperla, gli strumenti del medico, eccetera) ma anche con gli attrezzi dell’antica cucina locale, come il torchio per stendere i noodle ricavati dall’interno della noce di cocco o una specie di tritacarne utilizzato per estrarre il succo del bambù (tecnica che si utilizza ancora oggi nelle strade di George Town).

Interessante anche la similitudine con le case/botteghe di Hội An (in Vietnam), dotate anch’esse di porta sia sul fronte sia sul retro e senza finestre. Qui, la porta sul retro serviva ai congiurati per scappare in caso di retate (e non per il carico/scarico delle merci dal fiume). Anche qui la luce proveniva e proviene da un compluvium centrale. Inoltre, il piano terra, durante i monsoni si allagava e la famiglia viveva per mesi occupando solo il primo piano (attualmente non visitabile a causa della fragilità dei pavimenti in legno). Dall’impluvium, che ospita rigogliose piante in vaso, sono però visibili le persiane in stile francese che delimitano e oscurano il piano superiore.
Un tuffo nella storia in un angolo sperduto di questo piccolo grande mondo…
venerdì, 14 marzo 2025
In copertina e nel pezzo: foto della Redazione di InTheNet (su gentile concessione dei responsabili della Casa Museo)