Il documentario di RT doppiato in italiano da Vincenzo Lorusso
di Simona Maria Frigerio
Ha 18 anni. Un volto angelico, due occhi cristallini e quei tratti slavi che lo rendono insieme delicato e testardo. Testardamente innamorato del suo popolo, della sua terra, della sua lingua, dei bambini che, come lui, hanno vissuto infanzia e adolescenza conoscendo solamente la guerra. La guerra degli ucraini contro altri ucraini che, come lui, hanno radici russe di cui sono orgogliosi – perché la Russia è stato il primo Paese a tentare di realizzare il comunismo, la Russia ha respinto ogni invasione straniera, la Russia non è implosa e non ha ceduto al ricatto occidentale, la Russia che accoglie come una grande madre popoli uniti da una lingua e una storia, dall’orgoglio di avere sconfitto il nazi-fascismo, ma anche di rispettare – come rivendica un giovane, ormai veterano, al fronte – tutte le religioni e i credi, ivi compreso l’ateismo.
Capiamo perché Bruxelles vieti di guardare Russia Today. Ha le sue buone ragioni. Non solo potrebbe venire il dubbio agli europei che la versione ufficiale che i russi abbiano invaso una pacifica Ucraina sia falsata e, forse, corrisponda di più al vero che sono intervenuti dopo otto anni di una massacrante guerra civile, scatenata da Kyiv contro il suo stesso popolo. Ma potrebbero pensare di non voler spendere il 5% del Pil – rinunciando a ogni servizio pubblico e di assistenza – per difendersi: perché questo ragazzo volontario, di appena 18 anni, non sta minacciandoci, si sta difendendo lui – e gli aggressori sono i nostri alleati che agiscono per nostro conto e che noi armiamo.
Il documentario è un racconto di parte? Ovvio. È girato da un reporter di guerra embedded nell’esercito russo (come tanti ce ne sono in quello statunitense), ove militano migliaia di giovani (e meno giovani) del Donbass. Del resto, come Oskar Lafontaine ha dichiarato, riguardo alle affermazioni scritte nel suo ultimo libro, My friend, it’s time to go, non soltanto gli interessi economico-politici statunitensi ed europei non coincidono, ma “il Pentagono impiega 27.000 persone, che forniscono informazioni ai media e diffondono la prospettiva e la propaganda statunitense nel mondo” (t.d.g., 1). RT, quindi, va tacitata per non disturbare il manovratore e la sua narrazione di parte che, come sappiamo, può cambiare casacca dalla sera al mattino – ciò che è recentemente capitato con il terrorista Al Jolani.
E a proposito, un breve inciso: la verde (sic!) Baerbock non è da meno, essendo andata personalmente a stringere la mano ad Al Jolani (il quale ha preferito evitare di toccare una donna), così come sembra abbia voltato le spalle a Scholz (2) per l’ostinazione del cancelliere nel bloccare la fornitura di armi all’Ucraina in vista delle elezioni – in pratica il secondo anteporrebbe il volere (e il voto, in uno Stato democratico) dei cittadini tedeschi alla fedeltà all’alleato Zelensky.
Ma torniamo al documentario, che ha il pregio di scaraventarci dalle nostre comode poltrone nelle trincee della presa di Avdiivka (liberata il 18 febbraio 2024), tra feriti, morti, sangue, sporco, fango, il rumore assordante delle mitragliatrici e degli scoppi dei proiettili lanciati dai carri armati. Possiamo immaginarci persino l’odore quando vediamo il volto striato di terra e sudore, il braccio denudato che mostra forse ossa rotte che premono sotto la pelle, e accompagniamo su quell’ambulanza il ferito in sala operatoria: l’odore agre del ferro – sia sangue sia mitra – ma anche umidore di corpi, polvere, paura e pietà (per quelli già morti, amici e compagni per due settimane o due mesi, e poi non più: “Non ti devi affezionare”, avverte il giovane volontario).
La guerra del Donbass ci sembra – ed è per certi versi – ipertecnologica. Forse per questo ci pare più asettica, ci rende meno compartecipi delle sorti di quel popolo. Pensiamo sia solamente uno scontro tra potenze: l’Occidente portatore di giustizia, libertà e democrazia contro la Russia, arretrata culturalmente, dittatoriale e pericolosa a causa del suo armamento nucleare. Forse per alcuni è solamente un bieco calcolo economico: impossessarsi del bancomat energetico per rilanciare un’Europa che è andata troppo oltre per cambiare la narrazione di una Merkel – la quale si vanta di aver preso in giro Putin coi Trattati di Minsk e non si accorge di aver distrutto l’economia tedesca e aver fatto da spalla a Biden mentre si prendeva gioco di noi e di lei, del Nord Stream e dell’Unione Europea.
Questo documentario riporta gli esseri umani al centro della narrazione, con la loro forza e la loro fragilità di carne e sangue. Chissà che qualche soldato inglese o francese, che adesso i brillanti leader di quei due Stati vogliono mandare in Ucraina per ricoprire non si sa quale ruolo (l’emmesima missione di pace? O per garantire impianti e miniere che Kyiv ha già svenduto per altre armi?) non si accorga che non sarebbe la solita passeggiata: in Donbass si combatte come a Caporetto, e la guerra ha meno appealing, quando la si guarda da una trincea di sacchi, sulla prima linea del fronte.
(1) https://globalter.com/en/oskar-lafontaine-germany-must-recognize-that-it-has-different-interests-from-those-of-the-us/
(2) https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/baerbock-molla-scholz-per-gli-aiuti-allucraina-pensa-solo-alle-elezioni/ar-AA1xs0eO?ocid=BingNewsSerp
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venerdì, 31 gennaio 2025
In copertina: Vietnam, Zona Demilitarizzata. Dai cunicoli sotterranei non tutti i vietnamiti sono veramente usciti… (Foto della Redazione di InTheNet)