La privatizzazione dell’acqua tra le cause della tragedia californiana
di La Redazione di InTheNet (traduzione di Simona Maria Frigerio)
Forse a vegetariani e vegani non farà piacere sapere che le monocolture estensive di semi, quali pistacchi e mandorle, sono tra le cause della scarsità d’acqua in California. Ma così è: per produrre 1 sola mandorla occorrono 1,1 galloni d’acqua (e 1 gallone è pari a quasi 4 litri). Di conseguenza, propugnare ideali vegetariani e vegani può essere eticamente plaudubile, per alcuni, ma non è certamente una soluzione ecosostenibile.
Nello specifico, dietro alle monocolture intensive ed estensive in California vi sono, tra gli altri, Stewart e Lynda Resnick (1), che dal 1994 si sono accaparrati diverse sorgenti californiane grazie a una serie di accordi poco noti al grande pubblico, e si sono anche arricchiti vendendo quella stessa acqua al settore pubblico – sebbene il sistema idrico privatizzato fosse stato costruito con le tasse dei cittadini. Ed ecco che l’acqua bene pubblico – campagna trasversale vinta grazie a un referendum in Italia – diventa l’emblema della necessità di conservare servizi primari alla collettività a scapito del capitale e del liberismo che lo accompagna.
I Resnick possiedono la Wonderful Company, valutata circa 6 miliardi di dollari, e che produce oltre a pistacchi e mandorle, mandarini, fiori, uva e altra frutta, consumando per le produzioni intensive e, quindi, più lucrose circa 150 miliardi di galloni d’acqua annualmente. Per capirci: tale quantitativo è maggiore di quanta acqua può contenerne il bacino idrico di Santa Ynez, che raggiunge solo i 117 milion di galloni – e che è rimasto all’asciutto per quasi un anno (1).
Sempre nello stesso articolo di The Canary apprendiamo che la privatizzazione ha preso il via con l’acquisto della Kern Water Bank, una tra le maggiori riserve d’acqua del sottosuolo della California. Sebbene il progetto fosse stato finanziato con fondi pubblici, la Kern Water Bank è stata concessa a privati nel 1994 con i Monterey Agreements (accordi contestati in vari gradi di giudizio per 26 anni), ai quali hanno preso parte i maggiori proprietari terrieri, tra i quali i Resnick. L’acqua da bene pubblico è diventata appannaggio di pochi contractor privati, tra i quali la Westside Mutual, una sussidiaria interamente in mano alla Wonderful Foods e, guarda caso (apprendiamo sempre dai colleghi di The Canary) Bill Phillimore, che dirige il settore orientale della Wonderful Foods, è altresì il Presidente dell’ente ‘pubblico’ che gestisce la Kern Water Bank (2). Secondo le fonti stampa, il gioco avrebbe fruttato (non solo metaforicamente) ai Resnick il possesso di quasi il 60% di una importante risorsa idrica californiana da utilizzare per i propri prodotti agricoli ad alto consumo d’acqua – ma con un appeal eco-friendly e biologico non indifferente, come mostra il sito dell’azienda (3).
Nello stesso articolo – e come ha dichiarato in un’intervista Max Blumenthal, direttore di Thegrayzone (4) – apprendiamo che la lobby dei pistacchi avrebbe fatto pressioni su Washington per acuire le tensioni con il proprio principale competitor a livello mondiale, ossia l’Iran – così da giustificare le sanzioni sul prodotto. Ciliegina sulla torta, come fanno notare i colleghi di The Canary, mentre i Resnick – che possiedono la Fiji Water – “importano acqua imbottigliata dal Sud Pacifico, esportano colture ad alto consumo di acqua dalla California”.
La scusa del nucleare
Le sanzioni unilaterali statunitensi non hanno solamente il fine di evitare che l’Iran sviluppi armi nucleari (anche se, dal momento che Israele ha disatteso gli accordi internazionali, sviluppandole, non si capisce perché altri Stati, come il Pakistan ha già fatto, non possano procedere in tal senso), ma anche di favorire il commercio di postacchi – come faceva notare Irene Pasqua, già nel 2019, in un articolo pubblicato da Ispi Watch.
Circa il 70% della produzione di “oro verde, nome con cui è stato rinominato il pistacchio per via del suo prestigioso valore commerciale, è concentrata nei dintorni di Kerman, la regione più arida dell’Iran. Grazie all’ampio utilizzo di acqua di falda, l’Iran riesce a produrne fino a 230 mila tonnellate all’anno, di cui solo il 10-15% destinato al consumo interno. Il pistacchio è infatti tra i più importanti beni esportati dal Paese e ricopre un ruolo chiave nel processo di diversificazione dell’economia iraniana, ancora fortemente legata agli introiti petroliferi”(5).
Negli anni, mentre la California ha investito in colture più redditizie degli agrumi (nel momento che venivano meno alcune esenzioni statali), la rivoluzione iraniana ha permesso alle nuove lobby statunitensi dei pistacchi (mandorle, noci, eccetera) di avvantaggiarsi sui mercati internazionali, grazie allo strumento delle sanzioni.
Se è vero (come segnala Ispionline) che, attualmente, Iran e Stati Uniti detengono tra il 70 e l’80% dell’offerta mondiale di pistacchi, entrambi i Paesi soffrono del progressivo inaridimento dei suoli visto il bisogno di acqua per l’irrigazione di queste monocolture estensive che, oltretutto, hanno ricadute negative anche sull’impollinamento e sull’inquinamento dei suoli. Per ovviare alla concorrenza, già l’amministrazione Obama aveva riaffermato le politiche sanzionatorie degli anni 70/80 “a discapito del commercio di pistacchio iraniano”(5). Nel 2010, infatti, l’ex presidente Us, in risposta al fallimento dei negoziati sul programma di arricchimento dell’uranio di Teheran, decideva “di bloccare l’autorizzazione per le importazioni negli Stati Uniti di numerosi beni di origine iraniana, tra cui il pistacchio”(5) – commercio che riprenderà solamente nel 2016 e sarà interrotto nuovamente da Trump nel 2018. “Nonostante le sanzioni statunitensi non colpiscano direttamente le esportazioni dall’Iran verso Paesi terzi, questi provvedimenti impongono restrizioni logistiche e finanziarie che condizionano la capacità dei produttori iraniani di garantire stabilità al proprio export”(5). La conseguenza più lampante è sotto gli occhi di tutti. Soprattutto negli ultimi anni, anche nei supermercati italiani, i pistacchi iraniani sono stati sostituiti da quelli californiani – ma non da quelli, ad esempio, siciliani, visto che le nostre produzioni non sono così intensive ed estensive e, quindi, è più conveniente per i produttori locali destinarle al mercato dolciario.
Nel frattempo, essendo entrata nel gioco la Repubblica Popolare Cinese, che è tra i maggiori importatori di pistacchi sia iraniani sia statunitensi, lo scontro sui dazi, che Trump potrebbe portare alle più serie conseguenze, potrebbe favorire la leadership iraniana nel commercio di pistacchi. Ma non dimentichiamo che, come in California, anche il settore agricolo iraniano è responsabile del maggior consumo di acqua dolce nel Paese (toccando addirittura quota 90%), mentre aumentano i periodi di siccità che accrescono ulteriormente il bisogno di risorse idriche per far fronte alle esigenze di queste coltivazioni. Al di là dello spreco, a causa di sistemi di irrigazione poco efficienti, in Iran, e obsoleti, negli States; come fa notare Kelsey Hinton, direttore delle comunicazioni del Community Water Center (CWC), organizzazione non profit attiva nella Central Valley e nella Central Coast californiane, dopo oltre una decade “dalla dichiarazione della California che l’acesso sicuro all’acqua potabile e a costi sostenibili è un diritto umano, circa un milione di californiani non ha ancora acqua da bere potabile. E il problema impatta sproporzionatamente sulle piccole comunità rurali di colore, particolarmente quelle dei contadini latinoamericani. In queste aree, l’acqua nei terreni è spesso contaminata con residui dell’agricoltura che includono alti livelli di pesticidi così come di nitrati, usati come fertilizzanti o scarti di allevamenti intensivi”(6). Ricordiamo che i nitrati, non visibili a occhio nudo, sono stati associati a forme tumorali e malattie della tiroide, oltre che a patologie collegate alla gestazione e ai neonati.
La soluzione, secondo molti osservatori (anche statunitensi), sarebbe quella di puntare sugli investimenti pubblici nei beni comuni e nella prevenzione delle emergenze, su incentivi per favorire gli allevamenti locali e le produzioni biologiche (che impattano meno sull’ambiente anche a livello di pesticidi), decentrando la distribuzione, contrastando i monopoli e, non ultimo, le monocolture estensive.
(1) Articolo che consigliamo di leggere per intero:
https://www.thecanary.co/global/world-analysis/2025/01/13/the-resnicks-la-california
(2) Per approfondire i passaggi della Kern Water Bank:
https://www.kwb.org/background-key-dates
(3) Il mondo Wonderful: https://www.wonderful.com/who-we-are
(4) Intervista con sottotitoli in italiano:
(5) Consigli di lettura: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/oro-verde-un-altro-volto-della-grande-sfida-24305
(6) La situazione del sistema idrico statunitense:
https://www.nrdc.org/stories/americas-failing-drinking-water-system#agriculture-contamination
venerdì, 24 gennaio 2025
In copertina: Foto di Alexa da Pixabay