
Perché riscrivere i libri non cancella la realtà dei fatti
di Simona Maria Frigerio
Nella canzone Karmageddon, iyah may cita la cultura della cancellazione. Ma quanti sanno di cosa si tratta?
In realtà, oggi ha due significati alquanto distanti tra loro. Da una parte è una forma di ostracismo, a causa della quale qualcuno diviene oggetto di campagne d’odio o di attacchi mirati sui social, ma – fatto ancora più grave – anche da parte dei media mainstream (sempre nella canzone si accenna alle campagne divisive nate con l’epidemia di Covid-19 e che ci costringono per forza ad appartenere a una tribù, come la definisce may, e a quella conformarci negando qualsiasi posizione difforme o critica).
Dall’altra, come ha osservato Noam Chomsky, è un mezzo tecnologicamente avanzato (pensiamo all’uso e abuso di algoritmi e fact-checker) per indirizzare l’opinione pubblica e ottenerne il consenso acritico: “mettendo a tacere i dissidenti che parlano apertamente” e arrivando a “distruggere carriere accademiche”, censurando anche articoli e libri (come si è sperimentato negli anni della pandemia, quando medici e ricercatori dissenzienti rispetto alla narrazione ufficiale sono stati sospesi, radiati o bollati con i peggiori epiteti).
Proprio questo secondo punto è il più interessante in quanto implica il riconoscimento di un potere decisionale sproporzionato lasciato nelle mani di un Musk o di uno Zuckerberg di entrare in ogni dibattito pubblico, operando di fatto una omologazione a un pensiero unico dominante su questioni in cui proprio il dialogo potrebbe far maturare scelte anche politiche controcorrente (come, ad esempio, la decisione di dirottare i fondi per la guerra a oltranza in Donbass, il genocidio dei palestinesi o per la Nato verso le priorità della popolazione europea e statunitense in fatto di welfare, e riportando al centro del dibattito l’autodeterminazione dei popoli e il diritto a combattere contro una potenza occupante da oltre 70 anni).
Ma il politicamente corretto ha generato anche altri mostri in quanto può spingersi a boicottare artisti e opere scomode, che siano film, libri o installazioni. Fino a pretendere di epurare romanzi, saggi, testi filosofici, pellicole o drammi teatrali perché si conformino a una lettura del mondo fuori contesto, in quanto contemporanea. In pratica, persino William Shakespeare o un qualsiasi autore del passato dovrebbe essere riscritto in alcune parti in quanto le sue opere conterrebbero elementi – antisemitismo, razzismo, xenofobia, patriarcato, eccetera – che non coincidono con i valori attuali. La nostra società occidentale pensa di essere arrivata a un tale livello di evoluzione del pensiero che qualsiasi oggetto – persino un’opera dell’ingegno di cinquecento o duemila anni fa – deve adeguarvisi.
Negli States da Mark Twain a Ernest Hemingway, da J. D. Salinger ad Harper Lee o William Faulkner hanno subito la mannaia della cancel culture. Pensate che Harper Lee è stata autrice de Il buio oltre la siepe, oltre a collaborare con Truman Capote per le interviste che servirono a quest’ultimo per scrivere il suo capolavoro, A sangue freddo. Entrambi libri probabilmente non politically correct, visto che il primo descriveva la condizione di segregazione e razzismo subita dagli afroamericani, e il secondo cercava di capire le ragioni di due poveri diavoli trasformatisi in assassini a sangue freddo per paura, ignoranza e un sistema che schiaccia chiunque non sia un vincente.
Per fortuna in Italia, la Corte Costituzionale con la sentenza 155/2002 ha ribadito che: «Il diritto all’informazione garantito dall’Articolo 21 deve essere caratterizzato» anche «dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti…». Il che si scontra con la battaglia feroce del PD contro la cosiddetta propaganda russa che ha ormai assunto sfumature maccartiste da caccia alle streghe. Inoltre, nel decreto legislativo n. 208/2021, si invita a contrastare la tendenza contemporanea di distruggere o comunque ridimensionare gli elementi o simboli della storia e della tradizione nazionale.
Tutto ciò non ha solamente valenze politiche o sociologiche, ma rispettare le parole, i quadri, gli scritti, i film e la storia, senza stravolgerli o volerli per forza zittire o boicottare, significa capire meglio chi eravamo e perché oggi siamo ciò che siamo. Negare che le masse accorsero sotto il balcone di Palazzo Venezia per inneggiare a Mussolini, non cambierà il fatto che il nostro Paese fu fascista per due decenni, adottò le leggi razziali e scatenò il Secondo conflitto mondiale al fianco di Hitler. Ma, al contrario, può spiegare la nostra attuale belligeranza, la sudditanza agli States – quali eredi dei cosiddetti Alleati – e una innata voglia di veline e censure in stile MinCulPop.
In pratica, non è lecito riscrivere né un’opera dell’ingegno (Augustus Gloop era e resta il ciccione de La fabbrica di cioccolato ) né la storia (Auschwitz fu liberato dall’Armata Rossa e non dagli statunitensi!).
venerdì, 28 marzo 2025
In copertina: Foto di ha11ok da Pixabay