
Una grande schedatura di massa e una minaccia alla libertà di ricerca?
di Federico Giusti
Il Ddl 1660 già approvato alla Camera, o Disegno di legge sicurezza 1236 – come definito in Senato – è ancora in discussione in questo secondo ramo del Parlamento, dove sarà approvato presumibilmente entro il mese di febbraio.
Abbiamo già sviscerato la natura e le finalità repressive e securitarie del Ddl con l’invenzione di sana pianta di innumerevoli reati per i quali sono previste pesanti pene. Un disegno articolato e complessivo che colpisce tutti i soggetti sociali conflittuali e va a comprimere gli spazi di libertà e di agibilità sui territori. Numerose critiche sono arrivate anche dai penalisti e da associazioni legate ai movimenti dell’abitare, di solidarietà con i migranti, oltre ai sindacati e a numerosi docenti e intellettuali.
Ma questa volta vogliamo soffermarci su un articolo in particolare, il numero 31, denominato Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza che, di fatto, include tutta la Pubblica Amministrazione nei dispositivi repressivi e securitari a tutela della cosiddetta sicurezza nazionale:
“1. Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, all’AISE e all’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, l’AISE e l’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli Enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”.
Nei fatti la PA dovrà rendere conto direttamente al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), all’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e all’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), collaborando direttamente in varie forme – dall’informazione alla logistica. Questi organismi potranno chiedere e ottenere dalla PA e dalle società partecipate ampia collaborazione e assistenza per la sicurezza nazionale distogliendo di fatto energie, fondi e risorse dai servizi che il Pubblico dovrebbe erogare e garantire.
Si va quindi prefigurando un sistema securitario e di controllo ed è proprio la nozione onnicomprensiva di sicurezza nazionale a rappresentare un problema poiché le legislazioni emergenziali diventano nei fatti la prassi usuale e quotidiana. Ora, senza scomodare il passato, qualche analogia con i regimi autoritari dovrebbe balenare nella testa del legislatore quando si trasformano dati riservati e sensibili in materia di informazione obbligata. Da qui a ipotizzare anche l’utilizzo della Polizia Municipale per attività di ordine pubblico e di intelligence, secondo noi, il passo è breve.
Senza scomodare il garante della privacy possiamo comunque asserire che nel nome della sicurezza nazionale si andrà in deroga alla norma che tutela la riservatezza dei dati? E non vale solo per i dati relativi ai cittadini ma potrebbe riguardare anche i progetti sociali o di ricerca per avviare, forse, una immane schedatura di massa? E se così fosse, non saremmo di fronte a uno stato di polizia?
Rafforzare e giustificare il potere investigativo in capo ai servizi di informazione potrebbe non solo condurre a schedature di massa ma anche limitare l’autonomia e la ricerca, ma perfino la stessa attività della PA aggirando le norme costituzionali.
venerdì, 24 gennaio 2025
In copertina: Foto di Herbinisaac da Pixabay