Ripartiamo da Lenin?
di Federico Giusti
La prima domanda alla quale rispondere ogni qual volta si parla di guerra e di imperialismo dovrebbe essere di natura pratica, ossia la valutazione delle iniziative messe in campo per contrastare i processi di militarizzazione delle scuole, dell’università, dei territori, quali iniziative reali abbiamo messo in campo per denunciare la natura imperialista della guerra e le sue ripercussioni sulle condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Nella nostra storia abbiamo sempre giudicato la guerra imperialista come una sconfitta per la classe operaia trasformata in carne da macello per rispondere agli interessi finanziari ed economici propri del capitalismo.
La differenza rispetto al passato è che oggi la guerra è arrivata direttamente nel vecchio continente, anzi era già arrivata nel 1999 con l’attacco all’ex Jugoslavia sostenuto dalla Nato anche con la complicità di parte dei comunisti che, allora, erano presenti nei governi di centro sinistra, in Italia e in altri Paesi europei. E non ci sembra che negli ultimi trent’anni sia avvenuta una seria autocritica di quel nefasto operato adoperandosi direttamente, in casa nostra, per contrastare la guerra e l’imperialismo.
Rispetto al 1999, o alle mobilitazioni di inizio secolo, la risposta dei movimenti contro la guerra è stata decisamente più debole, le principali organizzazioni sindacali e sociali si sono limitate a qualche passeggiata senza mai mettere in campo iniziative concrete, scioperi, proteste contro l’invio di armi, e una costante opera di informazione sulle cause e sugli esiti del conflitto esterno anche sulla nostra società.
Prova ne sia la sottovalutazione dei processi di militarizzazione della scuola e dell’università avviati quasi vent’anni or sono e che oggi vedono militari presenti nelle scuole di ogni ordine e grado in varie vesti: educatori, insegnanti di ginnastica, alfieri del patriottismo e sostenitori di un revisionismo storico che esalta anche battaglie combattute dall’esercito italiano a fianco del nazi-fascismo.
La retorica e l’ideologia della patria dovrebbe essere avversata con tutte le proprie forze, ad esempio costruendo iniziative attorno al 4 Novembre o in occasione di festività come quella che ricorda le Foibe o, ancora, per confutare, quando si parla di Olocausto, l’equiparazione dell’antisionismo con l’antisemitismo. Ma nulla, o ben poco, è stato fatto in questi anni.
Oggi constatiamo non solo la debolezza dei movimenti contro la guerra ma anche la tendenza tipicamente occidentale di impartire lezioni alle Resistenze dei popoli: l’adesione alla piazza del 12 Ottobre è stato un grave errore politico. Schierandosi, nei fatti, dalla parte di quella Autorità Nazionale Palestinese che ha assunto posizioni e pratiche compiacenti tanto con la Nato quanto con Israele e finendo con il rafforzare l’egemonia di Hamas.
Ma, allo stesso tempo, dovremmo anche chiederci la ragione per la quale su un tema rilevante come quello della Nato si sia diffuso un silenzio assai preoccupante che, limitando la critica a qualche considerazione ideologica, non ha mai percepito l’importanza di costruire delle contro-narrazioni, delle iniziative in occasione dell’anniversario della nascita di quell’alleanza di guerra denominata Alleanza Atlantica.
E ancora più sconcertante è stato il silenzio attorno ai piani di riarmo europei, ai libri bianchi sull’intelligenza artificiale che, impiegata in Palestina dall’esercito di Israele, è tra le cause dei cosiddetti effetti collaterali che hanno portato all’uccisione di oltre 50 mila civili (1).
La domanda, ancora oggi senza risposta, riguarda sia l’analisi dei processi di guerra, tra i quali l’economia di guerra, che porta alla criminalizzazione e alla ferocia repressiva contro i nemici interni come dimostra il DdL 1660; e allo spostamento di ingenti risorse dal sociale alla produzione di tecnologie duali, trasformando la stessa ricerca in campo universitario nel banco di prova scientifico per la realizzazione di efferati e innovati sistemi di arma.
La retorica che accompagna il tema della pace è ormai insopportabile, non si analizzano le cause oggettive della guerra e dei processi di militarizzazione dei territori, non si coglie la natura del nuovo neo Keynesismo di guerra con cui il capitalismo occidentale cerca di superare la crisi di sovrapproduzione oltre a depredare i popoli di metalli rari e risorse energetiche delle quali lo stesso capitalismo ha forte bisogno. E perfino l’analisi del mondo multipolare si limita a narrazioni giornalistiche, magari pregevoli, senza mai porsi il quesito di come costruire una risposta nel corpo sociale.
Un’iniziativa contro la guerra, contro i processi di involuzione democratica che ne deriveranno andando a restringere gli spazi di libertà e di agibilità collettiva nei Paesi europei dovrebbe indurci a non perdere ulteriore tempo in disquisizioni che servono solo a occultare la nostra estraneità ai processi reali in corso.
La decisione di inviare a Kiev dei missili a lunga gittata capaci di colpire infrastrutture a 1.000 km di distanza rappresenta una scelta destinata a rendere ancora più acuta la crisi internazionale assoggettando i Paesi europei ai voleri del loro padrone statunitense (2). Ma la parte del capitale europeo ormai vincente spinge direttamente verso la guerra aperta, come dimostra il documento di Mario Draghi sulla produttività o le scellerate scelte belliche operate dal centro-sinistra in Germania.
Dovremmo avere la forza, ma anche l’onestà intellettuale, di prendere atto dell’estraneità dei comunisti dai contesti territoriali dove sono nati movimenti e realtà contro i processi di militarizzazione, agire al loro interno per sviluppare consapevolezza che non ci si possa limitare alla lotta contro una nuova installazione militare senza prendere in esame il ruolo effettivo della Nato, la militarizzazione della società e la deriva autoritaria e securitaria in atto nei Paesi occidentali.
Qualunque discussione si voglia costruire sulla guerra non potrà eludere questi problemi e soprattutto evitare la classica domanda leninista: che dobbiamo fare per contrastare lo stato delle cose presenti?
(1) https://valori.it/intelligenza-artificiale-gaza-israele/
(2) Ricordiamo che il Presidente Putin ha recentemente approvato i fondamenti della politica statale russa nel campo della deterrenza nucleare: “L’aggressione contro la Federazione Russa o i suoi alleati da parte di uno Stato non nucleare con il sostegno di uno Stato nucleare è considerata un attacco congiunto. La Russia si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari in risposta all’uso di armi di distruzione di massa contro di essa o contro i suoi alleati”
Consigli di lettura:
L’Imperialismo
Lenin
introduzione Valentino Parlato
Le Idee
Editori Riuniti
(possibile reperirlo in rete anche di seconda mano)
venerdì, 13 dicembre 2024
In copertina: Lenin, immagine di Victoria da Pixabay (particolare)