Siamo allo sdoganamento del ridicolo piccoletto coi baffi?
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Dopo che Elio Germano ha calcato buona parte dei palcoscenici italiani – dal vivo o in 3D – recitando il Mein Kampf (all’inizio probabilmente come esperimento antropologico, 1), eravamo curiosi di capire perché un altro esponente della cosiddetta sinistra italiana – questa volta teatrale – come Stefano Massini, si fosse cimentato col pamphlet autocelebrativo di quel narcisista sociopatico che va sotto il nome di Adolf Hitler (consigliamo la lettura di Anatomia della distruttività umana di Erich Fromm per capirlo meglio).
Pensavamo, conoscendo un po’ i lavori di Massini, come 7 minuti, di trovarci di fronte a un dramma a tesi, o didattico, in cui Massini, citando parti dell’opuscolo che era regalato ai soldati e, dal 1933, alle coppie il giorno del matrimonio (in Italia, il Comune di Milano regala I promessi sposi di Manzoni), avrebbe fatto paralleli con la storia che stiamo vivendo. Per citare alcuni esempi a caso: la superiorità della ‘razza eletta’ ariana che ha portato all’Olocausto con quella rivendicata oggi dagli israeliani per commettere il genocidio dei palestinesi; oppure l’odio per lo straniero che si potrebbe identificare con quello per il migrante, in un’Italia che ha appena inaugurato un Campo di concentramento (pardon, di accoglienza) in terra di Albania; o ancora, l’idolatria per i simboli runici e il misticismo da operetta con le svastiche che fanno bella mostra di sé sui bicipiti degli uomini del battaglione Azov; e non dimentichiamo il pericolo di un risorgente movimento neo-nazista e neo-fascista che sta invadendo l’Europa, mentre l’ultima Risoluzione dell’Onu di condanna al neo-nazismo (passata a larga maggioranza) ha avuto 54 voti contrari, quasi esclusivamente dell’Occidente – e, tra questi, dell’Italia. E così via…
Quel libro, La mia battaglia (scritto da un nevrotico imbianchino austriaco mentre si trovava nel carcere, con Rudolf Hess, di Landsberg am Lech per il fallito putsch di Monaco del 9 novembre 1923), affrontato oggi con occhio critico potrebbe essere una lettura interessante per mostrare chiaramente i paralleli tra l’Unione Europea del 2024 e la Repubblica di Weimer del 1933. Siamo al collasso morale, politico ed economico ma continuiamo a ballare, come sul Titanic, illudendoci che non ci sia un domani…
Con questo spirito siamo andati in una Pergola sold-out, nel tardo pomeriggio del 15 novembre 2024, tra ottantenni e ventenni che si contendevano l’ultimo posto a sedere disponibile. E lì abbiamo scoperto altro…
Chi era Emil Erich Kästner?
Il testo del monologo di Massini parte da un personaggio realmente esistito, Emil Erich Kästner, descritto come autore di libri per ragazzi, che non volle andare in esilio e restò in Germania senza poter più scrivere un rigo e vedendosi bruciare non solamente i propri, ma dovendo assistere a ogni rogo di libri per tutto il periodo nazista. L’uomo avrebbe incontrato, finita la guerra, un giovane che lo avrebbe riconosciuto e all’affermazione di quest’ultimo che a mandare al rogo i libri erano stati i nazisti, Kästner avrebbe risposto che no, che la distruzione di 100 milioni di libri era stata causata da un solo libro, il Mein Kampf appunto. Prendendo spunto da questa affermazione, Massini si e ci chiede perché quel libro sia stato tanto censurato (cosa non vera perché in Italia e nel mondo si può reperire ovunque, tranne che in Cina, Austria e Israele). Forse perché potrebbe nuovamente avvelenarci lo spirito?
A questo punto sale su un secondo palco, interamente illuminato e leggermente in pendenza, dove si immedesima nelle pagine più autobiografiche di zio Adolfo, filtrate dalla sua propria poetica, interpretando i languori di un giovane austriaco di provincia che si rode perché non vuole diventare un impiegatuccio come suo padre e, passo dopo passo, tra scrosci di libri e di specchi (molto in stile Eimuntas Nekrošius e, del resto, questa è una co-produzione con il Piccolo di Milano), diventa sempre più cosciente della propria grandezza e della propria razza – tra esoterismo e anti-marxismo, superomismo e neo-darwinismo sociale – fino a chiudere con grandeur, predicando le sue future arringhe a folle sempre più estatiche tra scrosci di applausi veri da parte del pubblico in sala. Poi scende dal secondo palcoscenico, Adolfo torna a essere Massini, il quale chiude affermando (quasi inaudito) che le parole non sono solo inchiostro, bensì azioni. E sì, su questo concordiamo: lo ha dimostrato la signora ottantenne con bastone, accanto a noi, esaltata dalla “possanza” (suo preciso termine, usato per comunicare il proprio stato di esaltazione al marito seduto dall’altra parte) delle parole di Hitler, che se avesse potuto sarebbe salita sul palco, accanto al gerarca coi baffetti, o all’altro coi pantaloni alla zuava. L’applauso per il mattatore auto-immedesimatosi nei crucci del provinciale borghesuccio non si sa se sia stato più forte da parte dei nostalgici delle tirate di Vittorio Gassman, o di quelli per la camicia nera o bruna.
Ma torniamo alla domanda del titolo e partiamo da lì per smitizzare quest’orgia nerissima. Chi era Emil Erich Kästner?
In realtà, sebbene si arricchì grazie ai libri per ragazzi, Kästner è entrato nella storia della letteratura tedesca per ben altro. Nel 1928 pubblica Herz auf Taille, una raccolta di poesie in cui si pone come punta di diamanto della Nuova Oggettività – un movimento ferocemente satirico che, in ambito pittorico, trovò tra i suoi massimi esponenti in pittori e illustratori del calibro di Otto Dix e George Grosz. Oltre a centinaia di articoli satirici e critici, nel 1931 pubblica anche un romanzo, Fabian. Storia di un moralista, che metaforicamente denuncia il disfacimento della Repubblica di Weimar e muove un’acuta satira della società coeva che va affermandosi (siamo ormai alla vigilia dell’ascesa di Hitler). Ovviamente quando i nazisti arrivano al potere nel 1933, ‘non possono che escluderlo’ dalla Camera degli scrittori del Reich e bruciare opere letterarie così critiche per il regime. Ma anche gli Alleati ci misero la loro, dato che molti tra i suoi articoli del periodo di Weimar – quelli che poi lo consacreranno come scrittore ‘serio’ del Novecento in lingua tedesca – saranno distrutti nel bombardamento della casa in cui viveva, a Berlino, nel 1944. Già da tutto questo noterete differenze con il personaggio descritto da Massini nel suo monologo a teatro. Kästner, peraltro, non è vero che non toccò più penna, dato che continuò a scrivere pubblicando in Svizzera, soprattutto romanzi apolitici e di intrattenimento, ma fu anche co-sceneggiatore – sotto lo pseudonimo di Berthold Bürger – del film Il barone di Münchhausen, prodotto per celebrare i 25 anni dello studio UFA di Berlino, nel 1943. In pratica, si barcamenò in quegli anni né più né meno di molti altri. E nel Dopoguerra – anche questo Massini tace dal palco – Kästner, convinto pacifista, non sarà d’accordo con la politica del Cancelliere Adenauer e la sua rimilitarizzazione della Germania Ovest né con l’adesione alla NATO. Protesterà, inoltre, contro il dispiegamento di armi nucleari sul territorio tedesco e la guerra degli statunitensi in Vietnam.
Certamente il romanziere per ragazzi che vede bruciarsi i libri e resta in silenzio, rogo dopo rogo, pur di restare a Berlino è molto più poetico del personaggio reale (ma scomodo). Quando Massini gli fa dire che fu un libro a farne bruciare 100 milioni non solo riscrive la storia ma invita a una narrazione fuorviante. Perché furono i tedeschi – e non solo i nazisti – a bruciare i libri. I tedeschi tutti, complici silenziosi o ferventi ammiratori di zio Adolfo, furono tutti egualmente colpevoli dell’Olocausto – come denuncerà nel suo capolavoro, L’Istruttoria, Peter Weiss. Certo quando Weiss scriveva erano altri tempi, tempi in cui in Germania come in Italia, ci rendevamo conto che quel cancro che aveva fatto germinare e sostenuto il nazismo e il fascismo era rimasto al suo posto senza essere estirpato: dal grande capitale all’impiegato della pubblica amministrazione, dall’intellettuale al bottegaio, dal piccolo borghese all’artista. Tutti ripuliti, tutti sepolcri imbiancati. Ma per un Montale, in Italia, che rifiutò la tessera del Fascio, ci furono i Morandi, i Pirandello, i Giulio Carlo Argan che collaborarono e sostennero e perfino esaltarono Mussolini e il Fascismo. E in Germania non fu diverso. Siamo tutti colpevoli – e noi italiani sia delle leggi razziali sia della Risiera di San Sabba. Altro che un libro!
Il Mein Kampf e la trasposizione di Stefano Massini
Perché abbiamo supposto che Massini riscriva la storia? Semplicemente perché non fu la lettura del libello a trasformare la Germania nel Terzo Reich – ma una trista congiuntura di interessi tra grande capitale, insoddisfazione popolare e un nugolo di picchiatori e propagandisti che si coagularono intorno al futuro Führer. Facciamo un passo indietro.
Pubblicato per la prima volta nel 1925, fino al 1933 – anno in cui Hitler ‘grazie’ all’incendio del Reichstag, ottiene i pieni poteri che gli consentono, in qualità di Cancelliere, di proporre e firmare leggi senza il consenso del Parlamento – il pamphlet vende solo 241mila copie. In otto anni non si può parlare di successo editoriale per tempi in cui i libri si vendevano a milioni – pensiamo che Emil und die Detektive, pubblicato nel 1929, del succitato Emil Erich Kästner, venderà oltre due milioni di copie e sarà tradotto in 59 lingue (viene quasi da credere che zio Adolfo ne fosse invidioso…). Il Mein Kampf è composto da due volumi di 12 e 15 capitoli, la prima parte quasi esclusivamente autobiografica (quella su cui si concentra anche Massini) e la seconda dedicata all’ideologia del Partito Nazionalsocialista – quasi totalmente tralasciata sul palco, insieme a quegli ‘ameni passaggi’ sulla distruzione del debole e del malato come molto più ‘umana’ della loro difesa; sulla necessità dello ‘spazio vitale’ per la cosiddetta ‘razza eletta’; oltre alle ‘fantasie’ ariosofiche, esoterico-occultiste e antisemite, della Società Thule; e all’esaltazione della guerra che (parafrasando i Futuristi) sarebbe stata la sola ‘igiene del mondo’ (3).
Il personaggio che ci troviamo di fronte – e con il quale si identifica emotivamente lo spettatore – è un giovane provinciale con aspirazioni più elevate e che adombra la situazione di povertà della propria infanzia, commuovendo la platea perché in famiglia non possono nemmeno accendere la stufa (in stile Piccola Fiammiferaia). Passa poi agli anni trascorsi a Vienna, in cui cerca di mantenersi dipingendo all’aperto nei giorni di bel tempo (un fantasioso en plein air da bohémien romantico, partorito da uno spiantato che si manteneva grazie alla pensione da orfano e, quindi, con un sussidio statale, mentre era talmente talentuoso da essere rifiutato dall’Accademia delle Belle Arti di Vienna per ben due volte, nel 1907 e nel 1908). Poi assistiamo al suo andare in battaglia, da volontario (dimenticandosi Massini di puntualizzare che, il 25 maggio del 1913, Hitler si era trasferito a Monaco di Baviera pur di evitare di prestare servizio militare nell’esercito austro-ungarico). Quindi, ci commuoviamo per le sue ‘ferite’ sul campo di battaglia e il suo eroismo (ma Massini non sbugiarda Hitler che racconta nel pamphlet di aver partecipato, il 29 ottobre del 1914, alla prima battaglia di Ypres, dove sarebbe stato l’unico sopravvissuto, mentre la verità storica documenta che furono solamente 13 i soldati caduti, e la vera battaglia si compirà a 10 chilometri di distanza e nei giorni successivi). Poi il pubblico ascolta i patemi del giovane soldato ferito, che è reclutato come ‘informatore’ da quelli che potevano essere i servizi segreti della Repubblica di Weimar (in pratica, faceva la spia nei comizi e negli incontri dei vari sindacati dei lavoratori e dei movimenti di ispirazione marxista del periodo – in quegli anni, ad esempio, gli spartachisti erano guidati da due figure carismatiche come Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht). E, senza alcun accenno alle pesanti conseguenze, per la Germania, del Trattato di Versailles – che causarono povertà e revanscismo nel popolo tedesco – arriviamo (inspiegabilmente in quanto non si cita alcun fatto storico), in un’orgia di luce (grazie ai potenti riflettori già descritti), a zio Adolfo che, nel 1919, dopo aver tenuto il suo primo comizio pubblico, fa presagire agli spettatori della Pergola il suo brillante futuro da dittatore che lo porterà, di comizio in comizio, dalle sale ai teatri e poi fino alle piazze, di fronte a folle sempre più oceaniche che ascolteranno i suoi discorsi (che noi definiremmo deliranti). Ecco, quindi, che la chiusa è su un futuro di gloria senza intoppi – dimentichi della tragedia della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto.
Un crescendo che strappa l’ovazione a scena aperta (alla Pergola) e che, ovviamente, cancella gli anni successivi del sociopatico, che sarebbe finito in carcere – dove avrebbe scritto questo libello insieme puerile e vanaglorioso.
Perché Massini non scende dal palco per puntare il dito sulla platea esaltata, chiedendole se si accorga a quali parole sta plaudendo?
L’importanza dell’immedesimazione
Un teatrante esperto come Stefano Massini quando sceglie di immedesimarsi nella psicologia del narcisista coi baffetti non può non sapere cosa provocherà nel pubblico. Come insegnava Bertolt Brecht esiste una reazione emotiva al drammatico così come una risposta razionale all’epico. “La prima incoraggia lo spettatore a immergersi nell’intreccio, ad accettarlo come uno sviluppo inalterabile e lineare dell’esperienza. La seconda distanzia lo spettatore, presenta la propria azione come modificabile, costringe chi guarda a prendere in esame altre possibilità e a giudicarle comparativamente” (2). Se l’attore si immedesima porterà anche il pubblico a farlo, compartecipando le emozioni, i pensieri e le sorti del personaggio. E così, ecco che una platea di oggi (in una Firenze più prossima alla Banda Carità che torturava, stuprava e uccideva nella palazzina al n. 67 di via Bolognese, che non agli eroici gappisti della Liberazione), ci ha ricordato come proprio l’immedesimazione possa portare la folla a seguire e condividere la veemente eloquenza di un Hitler – supportato, però, dalle campagne propagandistiche di un Goebbels, dalle squadracce di Röhm, e dalla maestria coreografica di una Leni Riefenstahl (che fu, al di là di ciò, un’eccellente regista).
A chi ha partorito questa operazione teatrale e a chi ha applaudito non rendendosi conto di starsi esaltando come il popolo italiano sotto il balcone di Palazzo Venezia a Roma, consiglieremmo altri libri – come Il Capitale di Karl Marx, L’Imperialismo di Vladimir Il’ič Ul’janov (Lenin), La Teoria dello Sganciamento di Samir Amin o I discorsi e le idee di Thomas Sankara – tutti molto più attuali di quanto si pensi.
Noi, questo è l’unico dittatore che vogliamo ascoltare:
(1) Dalla recensione scritta allora: “Il testo si basa su passaggi dal Mein Kempf (La mia battaglia, il libro di Adolf Hitler pubblicato nel ʻ25) e il fine potrebbe essere quello di un esperimento sociale, ossia far comprendere al pubblico quanto sia facile riconoscersi nelle ovvietà da cartomante di Hitler (rammentando come le cartomanti siano fini psicologhe – similmente al Führer – che sanno quanto/do generalizzare e percepiscono dove colpire); o forse osservare, come scienziati, le reazioni del pubblico a mano a mano che si rende conto di cosa stia ascoltando e fino a che punto vi si sia riconosciuto. La banalità del male, come avrebbe scritto Hannah Arendt”. https://www.inthenet.eu/2020/10/30/esercizi-di-fantastica-e-segnale-dallarme-la-mia-battaglia-vr/
(2) Da Teorie del Teatro di Marvin Carlson
(3) “Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”, Primo Manifesto del Futurismo
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro della Pergola
via della Pergola, 12/32 – Firenze
venerdì, 25 novembre 2024, ore 17.30
Mein Kampf
di e con Stefano Massini
da Adolf Hitler
scene Paolo Di Benedetto
luci Manuel Frenda
costumi Micol Joanka Medda
ambienti sonori Andrea Baggio
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana
venerdì, 22 novembre 2024
In copertina: Stefano Massini (foto di Filippo Manzini, gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Teatro della Pergola)