Perché tanto accanimento mediatico solo contro l’Iran?
di Simona Maria Frigerio
Non so se ci avete fatto caso, ma ormai è impossibile guardare qualsiasi programma tv senza che il presentatore, l’ospite (o il protagonista del serial) non faccia da propagandista anti-iraniano. Da Amore criminale (che dovrebbe insegnarci a guardare a casa nostra, quando si tratta di violenza sulle donne) ad altre serie crime fino alla fiction più becera, eccoti qualcuno che deplora la condizione femminile – non genericamente nei Paesi del Golfo, ma specificamente in Iran.
Se in Italia si è arrivati a considerare femminicidio qualsiasi delitto commesso da un uomo contro una donna, senza tenere conto di un’altra serie di fattori che dovrebbero connotare questa fattispecie di reato – quali le violenze fisiche e psicologiche, ripetute nel tempo; lo svilimento della compagna; il suo condizionamento e l’eventuale allontanamento forzato da parenti, amici e interessi; e il bisogno ossessivo di controllo e possesso maschile – e non si è ancora nemmeno compreso che il peggiore nemico della donna è quel senso melenso di romanticismo a causa del quale si confonde il malessere con l’amore (batticuore, scenate, pianti, gelosie, schiaffi, richieste di perdono, regali, frasi da ‘baci Perugina’, canzoni pop, eccetera) – continueremo a fare retorica per riempire i palinsesti, presentando le donne solo come vittime e mai come essere senzienti, che non hanno bisogno di essere salvate se non da se stesse. E se in questa Italietta dove mai una donna è uno stalker (cosa che peraltro non è vera dati alla mano: e le donne sanno essere particolarmente violente sui social, dove si sentono protette dal mezzo) o una carnefice che ammazza un figlio o sfregia la vettura o il volto (della rivale) di un ex fidanzato, anche con l’acido; ed è già difficile capire cosa ci accade e in quali tranelli ideologici finiamo quando ci infiliamo in condizioni di minorità presentandoci come eternamente bisognose di protezione; figuriamoci se riusciamo a capire perché di tutte le donne presenti in Paesi islamici importi, all’Occidente, solo la ‘liberazione’ delle iraniane – magari a suon di bombe come abbiamo fatto con le afghane, ora nuovamente in balia della sharia e dei talebani che la applicano con particolare zelo.
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E allora partiamo dal Kuwait, quello Stato da difendere contro le mire di Saddam Hussein (a capo di un Iraq che, in quegli anni, vedeva la convivenza pacifica di islamici e cristiani), in cui ci risulta che il delitto d’onore esista tutt’oggi e il maschio che lo commette non è legalmente perseguito (1) – a differenza, ad esempio, del Libano. Inoltre, i musulmani sunniti kuwaitiani non si fanno mancare nulla a livello di discriminazione nei confronti delle donne quando si tratta di diritto di famiglia, “incluso l’obbligo per la donna di avere il permesso del maschio-guardiano per sposarsi, e la perdita dell’assegno di mantenimento del marito se si rifiuta di conviverci senza giustificazione. Le donne possono fare domanda di divorzio solo in pochi casi, mentre gli uomini possono divorziare senza restrizioni”. Inoltre le donne kuwaitiane sposate a stranieri “non possono trasmettere la cittadinanza ai propri figli o mariti a differenza dei loro connazionali maschi” (2).
In Arabia Saudita va persino peggio. Una delle poche cose che, recentemente, sono riuscite a ottenere le donne è fare il pellegrinaggio alla “Mecca senza un maschio-guardiano” – sebbene debbano far parte di un gruppo organizzato (in stile ‘vacanze Piemonte’…). “Un parente maschio è tuttora necessario perché la donna abbia il permesso di sposarsi, iniziare alcune attività, lasciare la prigione (sic!) o l’abitazione dove subisca abusi”. Anche per effettuare un aborto legale vi è bisogno del consenso del parente maschio e la pratica è consentita solo per ragioni mediche. In Arabia Saudita non esiste il diritto di famiglia e le relazioni domestiche sono appannaggio delle sharia. Quindi, matrimonio e divorzio sono condizionati al permesso del maschio-guardiano e le procedure per ottenere quest’ultimo sono più complicate per le donne che per gli uomini. “Fino al 2019, non esisteva una normativa che impedisse alle donne saudite di ritrovarsi divorziate senza nemmeno saperlo, il che significava che non sapevano nemmeno se avevano diritto agli alimenti” (3).
Ma l’Arabia Saudita è anche famosa per il suo alto tasso di condanne a morte. La decapitazione è il metodo privilegiato e nel solo 2022 ne sono state eseguite 144 (4).
Sempre nel 2022, l’esecuzione “di 81 prigionieri, avvenuta il 13 marzo” ha rappresentato “un allarmante aumento dell’uso della pena di morte”. La pena di morte si applica anche ai minorenni e agli omosessuali, che a volte se la ‘cavano’ solo col carcere e/o la fustigazione.
E ora veniamo all’Iran, dove anche da testimonianze dirette (di iraniane e iraniani di passaggio in Italia per studio o lavoro, da noi raccolte negli ultimi anni), sembrano coesistere due realtà parallele, quella delle leggi in vigore e quella della pratica quotidiana della cittadinanza. Ad esempio, nonostante sia possibile per un uomo sposare fino a 4 donne (come prevedeva il Profeta Maometto e, forse, ai suoi tempi – visto che l’unica fonte di sostentamento proveniva dal maschio e, dato l’alto numero di guerre, le vedove erano molte – la decisione era comprensibile), nella pratica, in Iran la poligamia non è quasi mai praticata. Così come sebbene l’età minima perché una donna si sposi è 13 anni (e 15 per i maschi), le donne si sposano generalmente tra i 20 e i 30 anni. “Nel 2014, l’età media delle donne che si sposavano era 23”, mentre quella degli uomini 28 anni. Questo non significa che non esistessero matrimoni forzati, combinati tra le famiglie in cui la minore era un’adolescente – ma erano eccezioni (già dieci anni fa) e non la regola.
Anche per quanto riguarda i “casi di divorzio, spesso si concludono con l’accordo dei coniugi in tribunale. Le donne devono provare che il marito abbia abusato di loro fisicamente o sia instabile psicologicamente solo nel caso l’uomo non voglia divorziare”. Inoltre, l’ex Presidente Akbar Hashemi Rafsanjani “ha approvato una legge che riconosce un assegno di mantenimento se è il marito a voler divorziare. Nel 2014, oltre il 20% di tutti i matrimoni finivano con un divorzio” (5).
Nonostante le leggi sulla modestia nel vestirsi (che, cosa mai riportata in Occidente, interessa anche gli uomini): “Meno donne nelle città maggiori indossano lo chador nero avviluppante, mentre molte giovani indossano semplicemente delle sciarpe che coprono appena i capelli. Molte donne hanno iniziato a indossare leggings aderenti”. Nel frattempo, l’opinione pubblica si è modificata “significativamente, secondo il Centro di Ricerca del Parlamento in un Report del 2018. Nel 2006, il 55% di coloro che avevano risposto al questionario sosteneva che lo Stato avrebbe dovuto ‘agire contro’ le donne che non indossavano l’hijab; entro il 2014, solo il 40% affermava che lo Stato avrebbe dovuto agire contro chi violava la legge”. Inoltre, le donne iraniane possono trasmettere la cittadinanza al marito straniero e ai loro figli.
A furia di inzigare, l’Occidente ha però ottenuto un grande risultato per le donne ma anche per gli uomini iraniani, ossia la recente legge sull’Hijab e la Castità (6), che ha moltiplicato le restrizioni sul vestiario e le pene per chi violi le stesse. L’immodestia “per donne e ragazze si identifica con l’indossare abiti aderenti o che espongono qualsiasi parte del corpo al di sotto del collo, sopra le caviglie, o sopra gli avambracci. Per gli uomini, si riferisce ad abiti aderenti che lasciano esposte parti del corpo sotto il torace e sopra le ginocchia o senza maniche e che mostrano le spalle”. Tale legge, voluta dal precedente Presidente e approvata da una Commissione ristretta del Parlamento, e contro la quale si è pronunciato, durante la campagna elettorale, l’attuale Presidente Masoud Pezeshkian – che si oppone anche all’obbligo forzato dell’hijab – potrebbe essere in parte ‘neutralizzata’, soprattutto per quanto riguarda l’inasprimento delle sanzioni, da una decisa presa di posizione di Pezeshkian che, però (come il Presidente italiano), non può opporsi che alla firma di una legge parlamentare – in quanto è a quest’ultimo organo a cui spetta il potere legislativo.
In pratica, le continue interferenze occidentali, invece di aiutare le donne (e gli uomini) in Iran, stanno creando le condizioni per un inasprimento delle norme che aumentano il controllo sociale. E del resto, il DdL 1660 è la risposta tutta italiana all’agibilità sociale dei movimenti che intendano opporsi alle scelte del Governo, dell’Europa o del capitale.
(2) https://www.hrw.org/world-report/2022/country-chapters/kuwait
(3) https://theweek.com/60339/things-women-cant-do-in-saudi-arabia
(6) https://www.hrw.org/news/2024/10/14/iran-new-hijab-law-adds-restrictions-and-punishments
venerdì, 6 dicembre 2024
In copertina: Foto di Syauqi Fillah da Pixabay