A Palazzo Reale una preziosa retrospettiva che va al di là dell’Urlo
di Luciano Uggè
In un’uggiosa Milano, che già di per sé non è mai molto allegra, non è però difficile, avendo del tempo libero e i mezzi economici, inventarsi qualche cosa da fare, meglio se a livello culturale.
In piazza del Duomo l’occhio è attratto dalla pubblicità della mostra su Edvard Munch, di cui tutti hanno in mente solo L’Urlo (utilizzato anche per campagne contro l’interruzione volontaria di gravidanza).
Un dubbio sorge spontaneo conoscendo le opere dell’artista e la melanconica giornata: forse qualcosa di meno impegnativo, da un punto di vista interiore, non sarebbe una cattiva idea… Ma la curiosità prende il sopravvento, nonostante la coda, i prenotati favoriti, i non prenotati che attendono il loro turno “quando ci sarà posto”. Fortunatamente l’attesa si protrae per poco, il che lascia ben sperare che non vi sia un eccessivo affollamento all’interno delle varie sale.
La mostra a Palazzo Reale è curatissima, e affronta le diverse tematiche dell’opus di Munch con materiale esplicativo a illustrare il lungo e articolato percorso pittorico. Il consiglio è di prendersi il tempo per affrontarlo con calma in modo tale da assaporare al meglio il suo universo interiore e l’espressione delle sue ossessioni. Ricordiamo, infatti, che il pittore norvegese, soprattutto durante il soggiorno a Berlino, fu molto amico di un altro misogino di gran classe quale il drammaturgo svedese August Strindberg, di cui fu in un certo senso lo specchio visivo (o Strinberg fu l’eco drammaturgica delle sue figure). Come scrisse lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan, Munch “porta con sé il sentimento tragico della vita, che pervade la letteratura scandinava”. E più oltre: “L’amore diventa ossessione sessuale, la vita morte. La rappresentazione stessa deve in un certo senso autodistruggersi: la parola deve diventare, o tornare ad essere, urlo. Il colore deve bruciarsi nella sua stessa violenza: non deve significare ma esprimere”.
Le sale risultano, quindi, predisposte in base alle tematiche: ambiente/natura (quella di una Scandinavia malinconica, dove l’orizzonte è insieme smisurato e incombente), baci, vampiri e altro, ma anche in base ai sentimenti e alle più intime frustrazioni dell’uomo prima ancora che dell’artista. La prima sala presenta alcuni ritratti molto incisivi, Autoritratto, (1881-82, olio su carta sbiancata su cartone) oppure Laura Munch (1882, olio su carta), dagli sfondi cupi che fanno risaltare i tratti dei volti.
Come per altri pittori coevi, non possono mancare i momenti di vita nei locali aperti al pubblico. Al tavolo del caffè, al esempio (1883, olio su tela), con i colori che si dispiegano in una tavolozza con le figure appena accennate che quasi emergono, con difficoltà, tra i colori circostanti. Più definito e solare, Dal viale Karl Johan (1889, olio su tela).
Nelle sale successive sono i ricordi e le perdite subite dall’artista a irrompere sulla tela. L’angosciante Visione (1892, olio su tela), con l’azzurro delle acque che si stempera tra cigni e immagini fluttuanti e un fantasma che, dal passato, sembra riproporsi quale tormento dell’anima di Munch. La bellissima figura di Chiaro di luna I (1896, Xilografia stampata a colori), ove il tratto preciso rende un tutt’uno figura e ambiente che si compenetrano. Così come in La bambina malata I (1896, litografia stampata a colori), ove il tratteggio appena definito fa risaltare il volto emaciato della giovane. Ed è proprio questa dimensione, ossia quella delle stampe, che a Palazzo Reale trova una sua collocazione precisa, mostrando non solamente una serie di tecniche perfettamente padroneggiate da Munch ma anche la capacità espressiva di tali media che mai sono ancelle della pittura.
La morte, come presenza ineludibile, incalza. Un esempio, Sul letto di morte. La febbre (1893, pastello su cartone non imprimito), agghiacciante nel pur semplice tratto con i fantasmi della vita che aleggiano sullo sfondo e una diagonale che inevitabilmente rimanda a quelle di Van Gogh.
Negli anni successivi sarà il colore vivo, bruciante a subentrare al tratteggio e allo sfumato come in La stanza della morte (1915, olio su tela). Un colore che carbonizza la vita mentre ne esalta la potenza intrinsecamente distruttiva. Particolare è la costruzione pittorica di Bambina in procinto di affogare (1904, olio su tela) che pare rimandare a una successiva opera di De Chirico del 1968, Ritorno di Ulisse.
Del quadro più celebre dell’artista – che può dirsi aver ispirato una tra le più celebri e grottesche saghe del cinema splatter – L’urlo è presente nella versione litografica del 1895, che, del dipinto universalmente noto, conserva i tratti salienti. Un quadro nato da visioni personali dell’artista – apparse nel cielo – ma che gli amici, che lo accompagnavano quel giorno, non videro. Un grido, quindi, che nasce dalla consapevolezza di essere l’unico a vedere davvero la realtà o di rendersi conto della propria ‘follia’?
Terribile nella sua semplicità, La tempesta (1908-09, xilografia). Mentre l’amore si manifesta in Bacio vicino alla finestra (1891, olio su tela), ove i colori tenui e le immagini poco definite e quasi piatte sembrano ripiegarsi su se stesse, su un mondo interiore intriso di nostalgia. Il dinamismo e la potenza dei sentimenti affiorano in Il bacio (1897, olio su tela), in cui le figure sembrano fondersi in un unicum come nel quadro omonimo, dai colori sgargianti e solari, che Klimt realizzerà esattamente dieci anni dopo.
I contrasti pittorici e il dualismo figurativo affiorano in La donna (La Sfinge, 1894, olio su tela) per accentuarsi in Rosso e bianco (1899-1900, olio su tela) ove si nota il contrasto tra la pacatezza delle due donne e i fantasmi che aleggiano in un cielo cupo presago di sciagure. La figura dai capelli rossi, tanto cara a Munch (che era poi Tulla Larsen) torna e ritorna come un’ossessione d’artista e di uomo. Del resto, i capelli e la loro funzione fascinatrice, da Medusa, sono al centro di Attrazione II (1896, litografia stampata a colori), ove il legame tra gli amanti di Escher pare assoggettarsi ai diktat della figura cristologica sullo sfondo. Similarmente perduti al genere umano, i protagonisti di Verso la foresta I (1897, xilografia stampa a colori) e Due esseri umani. I solitari (1899, sempre una xilografia stampa a colori). Nel primo soprattutto si ritrovano le tracce di un simbolismo à la manière di Boccioni.
In Madonna (1895, litografia colorata a mano), vi è tutta la morbidezza e dolcezza della madre par excellence resa umana, ma anche la sensualità della Giuditta I di Klimt (del 1901) – non a caso la modella fu probabilmente l’amante del pittore, la scrittrice norvegese Dagny Juel-Przybyszewska. E i tratti sono stranamente simili a quelli di La spilla. Eva Mudocci (1903, litografia), che ritrae un’altra tra le sue probabili amanti, la violinista anglosassone il cui vero nome era Evangeline Hope Muddock .
Ma l’ossessione di Munch sappiamo essere stata Tulla Larsen, che irruppe prepotentemente nella vita e nell’iconografia dell’artista nel 1898. Il loro rapporto amoroso, dopo un inizio felice, subì il contraccolpo delle fobie di Munch che, convinto di poter trasmettere tare ereditarie, propose alla donna un amore platonico. Tulla, con ben altre esigenze, lo lasciò e, per questo, il pittore trasfigurò il proprio odio in una serie di immagini ai limiti della patologia. I suoi fulgidi capelli rossi saranno presenti, non a caso, in Vampiro (1895, olio su tela) ove la donna usurpa il potere e il ruolo del Conte Vlad – succhiando all’uomo la sua linfa vitale. Quasi un Au lit (1891) di Édouard Vuillard nella scelta di quelle macchie à la nabis, Vampiro II (1902, tavola di legno).
In Testa d’uomo tra i capelli di donna (1896, xilografia stampata a colori) si evidenzia, secondo l’artista, la capacità della donna di sottomettere e imbrigliare l’oggetto del proprio desiderio, ossia il maschio. L’odio per l’amante/amata aumenta sino a trasformarla nella (forse propria) nemesi in L’assassina (1906, olio su tela) e nella protagonista di La morte di Marat (1907, olio su tela), tema caro a molti artisti, tra i quali ricordiamo Jacques-Louis David.
L’artista sceglie l’en plein air in alcuni quadri degli anni successivi, in cui si concentra anche sul corpo maschile (vedasi Uomini che fanno il bagno, 1913/15, olio su tela). Molto interessante per l’uso del colore fauve l’opera L’uomo che fa il bagno (1918, olio su tela) con la terra e il mare che diventano un tutt’uno e una certa geometrizzazione del panorama à la Cezane. Di poco precedente, Il falciatore (1917, olio su tela) che esprime il suo dinamismo in un campo neo-impressionista. Interessante, da questo punto di vista, anche il dipinto: La storia (1913, olio su tela) che, non sappiamo come mai, ma ci ha ricordato Il pescatore di De Andrè.
Nella parte finale della mostra sono esposti, in sequenza temporale, una serie di autoritratti che mettono in evidenza il passaggio, negli stessi, dell’utilizzo di uno sfondo monocromatico sul quale si staglia nettamente la fisionomia di Munch giovane (anche con un certo autocompiacimento) ad autoritratti ove lo sfondo e la figura paiono compenetrarsi in una coloristica espressionista come in Autoritratto all’inferno (1903, olio su tela), che rimanda inevitabilmente a Une saison en enfer di Arthur Rimbaud. Piacevole l’acquerello, Autoritratto con il blocco degli schizzi (1914/19, acquarello e pastello su carta), delicato nelle tonalità ma molto espressivo; fino ad Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940-43, olio su tela), in cui si ravvedono le influenze di Matisse o Braque anche nella composizione piatta della stanza.
Chiudiamo con due capolavori indiscussi. Notte stellata (1922-24, olio su tela), che mette in evidenza un insieme di tecniche pittoriche e contrapposizioni di utilizzo del colore quasi non ci si trovasse fronte a un’unica opera e però l’insieme suscita una sensazione di pace e riconciliazione, rara in Munch. Last but not least, Le ragazze sul ponte (1927, olio su tela), immagine scelta anche per la Locandina della mostra e che si fa vessillo di un ricco contrasto pittorico pur nelle sua semplicità. Ancora una volta respiriamo un senso di pace e di riconciliazione con l’ambiente naturale che ci circonda.
Una retrospettiva che richiede tempo e voglia di conoscere un artista poliedrico, che nelle sue opere esprime sentimenti contrastanti e visioni che sublimano il reale attraverso la sua intima essenza d’uomo.
La mostra continua:
Palazzo Reale
piazza del Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 26 gennaio 2025
Orario: da martedì a domenica dalle ore 10.00-19.30, giovedì chiusura alle ore 22.30
Munch
Il grido interiore
realizzata in collaborazione con il Munch Museet di Oslo
venerdì, 22 novembre 2024
In copertina: La Locandina della mostra con Le ragazze sul ponte (1927, olio su tela), in esposizione