Israele arresta e uccide giornalisti più dei Narcos?
di La Redazione di InTheNet
Premessa. Il rapporto annuale redatto da Reporter Senza Frontiere indicava in 45 il numero dei giornalisti uccisi in servizio, in tutto il mondo, tra il 1° dicembre 2022 e il 1° dicembre 2023, di cui 4 in Messico (considerato tra i Paesi – non ufficialmente in guerra – più pericolosi per chi voglia difendere la libertà di stampa sul campo). Finalmente una buona notizia, essendo il dato più basso registrato dal lontano 2002, quando le vittime erano state 33 – anche se si faceva notare come, sempre in Messico, l’autocensura fosse diventata il miglior mezzo di difesa per la categoria… D’altro canto, il periodo peggiore si era avuto tra il 2012 e il 2013 con 140 giornalisti uccisi soprattutto nelle guerre in Siria e Iraq.
Tutto ciò è ormai storia passata di fronte ai dati che arrivano dai Territori Occupati in Palestina. Secondo The Intercept (1), in un articolo dell’11 ottobre di quest’anno: “almeno 126 giornalisti sono stati uccisi dalle forze armate israeliane dal 7 ottobre 2023” (ovvero in circa 12 mesi, in un unico Stato e da un solo esercito). La denuncia riporta i dati del Committee to Protect Journalists (2). Nel pezzo i colleghi precisano che “almeno 5 tra i giornalisti sono stati deliberatamente colpiti da Israele a causa del loro lavoro” mentre proseguono le inchieste sulle ragioni dell’uccisione di altri 10. Inoltre, “in Cisgiordania, CPJ ha documentato l’arresto di 69 colleghi dall’inizio della guerra, con 43 tuttora in carcere”.
Ma non basta. Chiunque denunci i crimini di Israele rischia l’arresto – cosa che i palestinesi sperimentano da anni con le detenzioni arbitrarie che possono protrarsi per mesi. Perfino Yuli Novak, a capo di B’Tselem, l’organizzazione non governativa che ha pubblicato recentemente un Report sulle condizioni dei prigionieri palestinesi in 17 istituti di reclusione israeliani (3 e 4), dopo aver fornito il proprio parere di esperto di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha rischiato un’incriminazione in base alle medesime accuse formulate contro un collaboratore di The Grayzone, Jeremy Loffredo, ossia “presunta collaborazione col nemico in tempo di guerra”.
Il caso Loffredo (5), reporter ebreo-statunitense, è l’ultimo in ordine di tempo, dato che si è verificato l’8 ottobre scorso, quando è stato fermato con altri tre colleghi, ai quali sono stati sequestrati illegalmente macchine fotografiche, cellulari e oggetti personali, per poi essere strettamente bendati e minacciati – e uno tra loro persino malmenato per essersi rifiutato di consegnare quanto richiesto. Mentre gli altri giornalisti sono stati rilasciati senza alcuna imputazione dopo 11 ore di detenzione, Loffredo è stato accusato di collaborare con il nemico, avendo pubblicato materiale inerente i siti (uno militare e l’altro del Mossad) colpiti dai missili iraniani. Sebbene tale materiale sia stato pubblicato anche dall’israeliano YNet (e non sembra che l’Iran abbia bisogno dei giornalisti per sapere dove si trovino gli obiettivi da colpire in Israele), i dubbi che il caso fa sorgere sono almeno tre. Infastidisce gli israeliani che il mondo si accorga che non sono invincibili? Oppure è il Premier Netanyahu che non vuole che gli israeliani comprendano di non essere invulnerabili? O ancora, più semplicemente, si vuole ‘dare una lezione’ alla stampa quando devia dalla narrazione ufficiale?
Del resto, dopo il lancio iraniano di missili balistici del 1° ottobre scorso, reportage sui siti colpiti sono stati firmati anche da Matt Gutman di ABC News e Nick Schifrin di PBS Newshour (oltre al già menzionato YNet).
La risposta di The Grayzone all’accusa israeliana contro il proprio reporter – ossia di ‘lavorare’ per il nemico in tempo di guerra – è stata, a ogni modo, ferma e precisa: “ciò semplicemente suggerisce che il Governo israeliano vede gli statunitensi e la stampa libera come un obiettivo legittimo. In effetti, noi siamo un canale indipendente senza alcuna relazione, finanziaria o di altro tipo, con alcun Paese straniero od organizzazione politica”. E forse è proprio questo il problema: pretendere di essere indipendenti e rivendicare la libertà di stampa – non come esercizio di retorica bensì come prassi quotidiana. Loffredo è rimasto ‘detenuto a piede libero’, nel senso che gli israeliani ne hanno trattenuto il passaporto fino al 20 ottobre, mentre cercavano prove per riportarlo nuovamente di fronte a un giudice che convalidasse un secondo arresto. Le ultime notizie – del 22 scorso – lo davano finalmente libero di tornare in patria (a differenza di altri suoi colleghi, probabilmente senza passaporto statunitense).
Quando, ci chiediamo noi, i cittadini europei e statunitensi si renderanno conto che se gli ultimi ‘cani da guardia’ del potere saranno messi a cuccia, la democrazia potrà definirsi definitivamente seppellita?
(1) L’articolo originale: https://theintercept.com/2024/10/11/us-journalist-jeremy-loffredo-released-israel-detained/
(2) Per approfondire: https://cpj.org/
(3) La prima parte del Report tradotta in italiano: https://www.inthenet.eu/2024/08/30/welcome-to-hell/
(4) Le conclusioni del Report tradotte in italiano: https://www.inthenet.eu/2024/09/06/welcome-to-hell-le-conclusioni/
(5) Le dichiarazioni ufficiali di The GrayZone: https://thegrayzone.com/2024/10/11/israeli-jails-grayzones-jeremy-loffredo/
venerdì, 25 ottobre 2024
In copertina: Jeremy Loffredo in una foto su The GrayZone.com