Quando il rilancio del settore Pubblico si avvale di strette che, invece, lo depotenziano
di Federico Giusti
Nella relazione annuale sui servizi pubblici, il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), Renato Brunetta, giudica alquanto carente “la cultura della manutenzione”, presentando un quadro con molte ombre soprattutto in merito ai processi innovativi giudicati improcrastinabili per la Pubblica Amministrazione italiana e rispetto ai quali i ritardi sono evidenti.
Sulle pagine de Il Sole 24 Ore, il ministro Paolo Zangrillo ha ripreso le dichiarazioni di Brunetta auspicando che la Pa nel suo complesso proceda sulla strada della modernizzazione adeguandosi a nuove esigenze – peraltro non meglio precisate.
Fin qui nulla di nuovo, potremmo parlare di considerazioni vaghe e anche astratte ma dovremmo andare oltre le parole di circostanza perché quando si dice di mettere la centro dell’operato pubblico la persona si intraprende una strada impervia, un po’ come accaduto con il privato sociale con la cessione al mondo cooperativo di innumerevoli servizi un tempo a gestione diretta.
Il rilancio e la valorizzazione del settore pubblico dovrebbero partire da ben altri presupposti ossia affrontare i servizi nel loro complesso, servizi poi non prettamente individuali ma collettivi, rivolti a utenze variegate ma pur sempre di massa.
Cosa significa allora mettere al centro la persona?
Ipotizzare servizi individuali quando, invece, la carenza riguarda l’intera Pa e, in particolare, settori come la ricerca e la sanità? Dopo anni di blocco delle assunzioni e della contrattazione la Pubblica Amministrazione ha organici inadeguati e buste paga leggere: avere allontanato l’uscita dal lavoro con la Legge Fornero ha salvaguardato le casse pubbliche – così come un grande aiuto è rappresentato dal ritardo nell’erogazione del Trattamento di Fine Servizio (equiparabile al Tfr del settore privato), che lascia la forza lavoro in balia dei prestiti bancari solo per avere accesso a un diritto costituzionale.
Cosa si intende, quindi, per “sviluppare progetti innovativi” quando in molti uffici e servizi non si riesce a investire in processi tecnologici e si lesina perfino sulla concessione della modalità lavorativa agile? Nei vari comparti della Pa il numero dei precari è ancora assai elevato e, a tal riguardo, ci sono anche richiami della Ue sul diverso, e iniquo, trattamento riservato proprio al personale non di ruolo nella scuola.
Dopo anni di decrescita è ripresa a salire la speranza di vita. Rispetto a qualche anno fa sono aumentati i diplomati e i laureati ma da qui a ipotizzare una vera inversione di tendenza corre grande differenza. Se si considerano occupati anche quanti lavorano pochi giorni all’anno le statistiche non possono essere prese sul serio, i divari di genere poi, per quanto ne dicano i Ministri al Governo, sono ancora elevati e superiori alla media dell’Unione Europea. Inoltre, avere conseguito un diploma o una laurea non significa costruire dei percorsi lavorativi attinenti al titolo di studio e anche questo punto viene deliberatamente taciuto: non basta qualche docente o rettrice o preside in più per dichiarare di aver superato i divari di genere. Al contrario, i diritti sociali non sono mai stati deboli come oggi, anzi sono addirittura scomparsi in ogni forma rivendicativa di carattere sociale.
Dopo la pubblicazione del rapporto Gimbe (1) sulla sanità arriva una sorta di mezza ammissione di Brunetta laddove dichiara che “le risorse finanziarie dedicate agli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda Onu 2030 sono spesso inferiori alla media europea, soprattutto nel settore della sanità, dove, nonostante la spesa pubblica sia aumentata dal 2020, rimane tra le più basse d’Europa”. Senza un servizio sanitario efficiente la spesa delle famiglie va a beneficio del settore privato e della sanità integrativa.
Anche la spesa per l’istruzione, nel frattempo, continua a essere inferiore, e non di poco, rispetto alla media europea. Si parla, quindi, con approssimazione del “processo di irrobustimento delle amministrazioni pubbliche” quando manca personale in ogni comparto e, soprattutto, in quello sanitario (2). Non è dato nemmeno sapere cosa invece intenda Brunetta per “rinnovata cultura della manutenzione”: il valore sociale dell’intervento pubblico è svalorizzato da innumerevoli decisioni, dai ritardi cronici per la realizzazione di nuovi ospedali, nuove scuole, per restituire laboratori e palestre moderne alle giovani generazioni.Le responsabilità della mancata manutenzione infrastrutturale ricadono su scelte errate e di lungo periodo – basterebbe vedere lo stato in cui si trova la rete idrica nazionale; ricordare i doppi turni, mattina e pomeriggio, in alcune regioni del Sud, e non solo, per mancanza di spazi nell’edilizia scolastica; l’assenza di un piano di edilizia popolare (l’ultimo risale a oltre sessant’anni fa); e non ci soffermeremo sull’idea stessa di rigenerazione urbana che costruisce un’ipotesi di città a uso e consumo della speculazione immobiliare – o comunque del privato.
Capiamo dalle parole di Brunetta che vi è nell’aria una sorta di abdicazione del pubblico tanto che si parla di rinnovate logiche di Public Private Partnership (Ppp) o si ipotizza di affidare la cura manutentiva alle Camere di commercio.
Non siamo davanti al rilancio dell’intervento pubblico, bensì alla sua progressiva marginalizzazione.
(1) Per approfondire si rimanda al 7° Rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale: https://www.salviamo-ssn.it/attivita/rapporto/7-rapporto-gimbe.it-IT.html
(2) Il Ministro della Salute Orazio Schillaci, a inizio 2024 dichiarava: «Stimiamo che manchino 4.500 medici e 10.000 infermieri». Questo nonostante le promesse fatte in tempo di pandemia da Covid-19
venerdì, 18 ottobre 2024
In copertina: Una manifestazione statunitense in favore della Sanità pubblica e del diritto alla salute. Foto di Jay R. da Pixabay