Un po’ Morante, un po’ Deledda
di Emilio Nigro
Chi scrive di un libro, ma anche di un’opera d’arte, uno spettacolo teatrale, una visione cinematografica, se ne separa. Nell’azione di analisi, di critica, quindi di divisione. Si separa dalle spinte interiori, dal magma provocato, se l’opera risulta capace di tale coinvolgimento. O, ci si separa dal rapimento, se il critico non se ne appropria – perché prendere dell’arte è appropriarsene – rimanendo freddamente distaccato nelle sue fantasie da presunto onnisciente.
Ci sono opere che dissipano ogni dubbio. Sul coinvolgimento. Che a goderne sia il più cinico degli intellettuali o il più umile dei lettori (il pubblico migliore, sgombro da pregiudizi di ogni sorta, affamato). Opere dirette a rivoluzionare la geografia che interiormente tracciamo nel tentativo di orientarci. Senza pianificarlo. Trasparentemente.
Ginestre di Alessandra D’Agostino è un’opera tale. Letteraria. Perché non tutto si può definire letteratura. Alessandra è competente. E mi perdonerà se ne parlo come se fosse prossima, senza il dovuto ossequio dovuto formalmente all’autrice, sulle carte. Mi perdonerà se non ne parlo in terza persona in ogni occasione o come dovessi presentarla in una biografia di allievi o davanti a un pubblico o un parterre di parrucconi (così frequente purtroppo!). Alessandra è competente, dicevo. Scrive perché sa farlo. Non per esibirsi, come la maggior parte dei pennivendoli attuali. Ha un profilo normale, diremmo anche schivo, si nasconderebbe al suo stesso sguardo, se potesse. Quello sguardo che dice tutto. A chi sa vedere. Ma pure a chi guarda e basta. Lo sguardo non mente. Lo sguardo di chi vede ogni cosa. E la tratteggia forzatamente filtrata attraverso il bosco della malinconia, di chi ha provato i dolori più atroci. I dolori procurati dal destino. I dolori procurati dagli uomini. Il male puro, senza spiegazioni.
E la potenza di Ginestre – una delle tante eruzioni di questo magma fuori, verso la terra calpestata da noi umani – è la deflagrazione del dolore delicatamente, senza pretesa che diventi motivo di spettacolarizzazione. Un dolore a cui si sente di dare dignità, farlo uscire dal corpo infetto per fluire balsamo a lettori non ipocriti. E risuscitare un senso di pietas messo a dura prova dal virtuale, dall’eccessivo, dall’indurirsi allo stupore.
Non è la sola traccia, no, certo. La lettura di Ginestre è sensoriale. Si sentono gli odori, di una terra antica e vivida rimasta intatta, la Calabria, i profumi di terre straniere attraversati per i protagonisti (personaggi anonimi, emarginati, autentici, e per questo fuori dalle giostre degli standardizzati…), si toccano le carni, urtate dalla violenza, si vedono i mutamenti di rabbia dei furiosi, l’estrema serenità degli umili, si sentono sotto i polpastrelli, i tessuti dei guanti cuciti dalle nonne ai nipoti (meravigliosa immagine ricorrente).
Si potrebbe finire qui. Soffermarsi sulla scena, riprodotta, dell’anziana a cucire un paio di guanti col pensiero che proteggano le mani dalla durezza del freddo. Si potrebbe finire qui. Tutto l’ethos in una immagine. Di una semplicità estrema e di una estrema, interminabile, proiezione. Il pensiero di avere cura. Dell’altro. Ecco, la cura, altro elemento cardine della prosa di Alessandra, autrice pura, novecentesca, un po’ Morante, un po’ Deledda, per eco, non maniera, originale nel suo stile asciutto, rotondo e acuminato, fiabesco e realista, la cura, nell’approssimarsi al lettore con la concentrazione di confezionare un manufatto. Che non è ‘prodotto’, piuttosto dialogo invisibile con chi intende viaggiare, attraverso l’opera, dentro e fuori da sé. Predisporre al rapporto.
Conosce tutti i trucchi del mestiere, da studiosa, la D’Agostino, ma non li adopera. Ne ricama con minuzia il giusto per non lasciare il flusso al verace, allo scrivere di ‘pancia’. Ne risulta un raffinato arabesco, a chiarificare sul mondo. Perché anche a questo serve l’arte, se bisogna trovare uno scopo.
Edito dai tipi Giulio Perrone, Ginestre si annovera tra i frutti più gustosi del 2024, 146 pagine di racconti in cui i personaggi sembrano rappresentarci inconsapevolmente, nel loro spessore quotidiano, senza essere eroi, né assassini, né epicamente ritratti. Uomini, e donne. Guardati dagli occhi malinconici ma infinitamente chiaroveggenti di Alessandra. Per cura. Una cura collettiva.
Ginestre
di Alessandra D’Agostino
Collana Affiori
Giulio Perrone editore, 2024
venerdì, 18 ottobre 2024
In copertina: La copertina del libro (particolare per ragioni di layout)